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Cambiare le narrazioni per cambiare il mondo

Il delicato ruolo dei media nel racconto della violenza

É stato un raptus dopo l’ennesimo litigio”… “l’ho uccisa per gelosia”… “lui lavorava, lei stava dalla mattina alla sera al telefonino”…

Capita spesso di leggere o ascoltare nei media frasi e titoli come quelli succitati. “Un assassino – racconta l’avvocata Tiziana Cecere presidentessa dell’associazione antiviolenza Fermiconlemani, in un noto caso di cronaca di cui mi sono occupata, quello del brutale assassinio della giovanissima Noemi Durini, veniva chiamato ‘fidanzatino’ su tutti i giornali. Le vittime di violenza spesso vengono violentate una seconda volta”.

Con queste parole tonanti l’avvocata ci spiega il fenomeno della vittimizzazione secondaria delle donne. Cioè, le conseguenze dei titoli o racconti sbagliati: i media, alla stregua di tribunali, forze di polizia, assistenti sociali, possono rendere di nuovo vittima la donna, sbagliando terminologia, angolo di visuale, titolo, fotografia, associazioni o contestualizzazione.  

L’errore più comune è guardare al caso ancora troppo dal punto di vista di lui, citando giustificazioni che diventano moventi. E’ invece auspicabile nei casi di violenza adottare il punto di vista della vittima, in modo da ridarle la dignità e l’umanità che, in una cronaca quasi sempre morbosamente centrata sulla personalità dell’omicida, sono spesso perdute. Si parla ancora di raptus nei femminicidi e si cerca l’empatia col carnefice.Purtroppo da inizio anno si contano oltre 10 femminicidi al ritmo di uno ogni 3-5 giorni. In molti casi si sente spesso parlare di “raptus di follia” senta tenere in considerazione che a livello scientifico il raptus è riconosciuto solo nel 5% dei casi di femminicidio, nella maggioranza dei casi il delitto è figlio di una cultura patriarcale ben radicata. A volte la narrazione segue  lo schema secondo il quale  il carnefice era buono, poi arriva il fulmine a ciel sereno e lui ammazza la donna.  In altre circostanze  la ricostruzione della violenza spinge all’empatia verso quel pover’uomo che una donna egoista ha deciso di abbandonare. La vittima viene raccontata come una donna che si separa, toglie i figli al marito, i soldi, la casa. Il punto di vista, insomma, è quello dell’assassino.Il problema è culturale, affonda le radici in quella società patriarcale che è il terreno fertile della violenza. La soluzione si trova in un lungo lavoro di formazione: formazione a tutti i livelli e gradi; a volte, anche professionisti avveduti cascano nell’errore di condividere, senza usare filtri, stereotipi che provengono dal racconto di polizia, carabinieri, magistrati o altre categorie.Per tutte queste ragioni la chiave sta sempre nella formazione di tutte le categorie professionali che vengono a contatto con le vittime. Ed in questo senso la mia associazione, nell’ambito di un nuovo ed ambizioso progetto che vedrà schierate professionalità di altissima specializzazione di cui disponiamo, a breve offrirà percorsi formativi specifici per tutte le categorie coinvolte nel delicato alveo della prevenzione, del supporto ma anche della cronaca delle fenomenologie devianti.La violenza contro le donne, i bambini ed altre vittime vulnerabili pone questioni sociali, sanitarie e giuridiche che vanno affrontate da operatori esperti e qualificati. Il saper riconoscere, ascoltare, proteggere e curare le vittime di violenze richiede, infatti, una preparazione professionale specifica, al passo con le evoluzioni sociologiche del fenomeno e con gli strumenti di contrasto e di tutela che ne conseguono. È anche necessario che gli operatori possano sviluppare un know how attraverso il quale concorrere alle strategie di prevenzione primaria della violenza (e anche il racconto mediatico concorre a ciò), divenendo attori protagonisti della gestione complessiva del fenomeno. Un simile approccio richiede quindi di superare valutazioni e soluzioni semplicistiche che rischiano di adombrare la complessità del fenomeno e di suggerirne rimedi inadatti”.

Il team di Fermiconlemani

LEZIONI DI STILE: E’ TEMPO DI SNEAKERS. COME INDOSSARLE IN OGNI OCCASIONE.

La nostra Ottavia Ditroia, responsabile progetto “Benessere ed Empowermwnt”, esperta d’immagine e personal shopper ci apre uno squarcio sul mondo delle tanto amate sneakers.

C’è chi non vedeva l’ora di indossarle nuovamente e chi, invece, non ha mai smesso di farlo.

C’è chi non le ama particolarmente e chi sì e vorrebbe indossarle in ogni occasione e non sa come abbinarle nel modo corretto.

C’è chi pensa che siano appropriate solo per andare in palestra o comunque per occasioni assolutamente informali e chi, al contrario, ama indossarle con abbinamenti inaspettati.

Per tutte le sneakers lovers e non, quanto leggerete qui di seguito vi catapulterà nel mondo delle calzature comode, è vero, ma senza mai rinunciare al glamour!

Ci sono, infatti, sneakers e sneakers, perchè sembrano tutte uguali ma non lo sono affatto.

Sul mercato ce n’è un’infinita varietà ed ogni modello può essere abbinato in modo differente, anche per l’ufficio, per esempio.

Vediamo quali sono i modelli più nuovi e quali outfit possiamo creare.

SNEAKER ALTE:  solitamente nere con para in gomma bianca, a volte con il velcro nella parte superiore e l’inconfondibile marchio rotondo sul lato che indossavamo per la scuola negli anni ’80 e ’90. Sono le classiche Converse All Star che di recente abbiamo visto ai piedi di tutte le influencers del mondo. Con queste sneakers possiamo creare outfit casual-chic di stile se le abbiniamo ai nostri maxi dress per un’uscita con le amiche, oppure ad un paio di mom jeans, t-shirt grafica e blazer  per lo shopping, il cinema, ecc.. Quando le temperature saranno più fresche al posto del blazer potremmo indossare anche un trench e al posto dei mom jeans, un paio di pantaloni in eco pelle o una maxi gonna;

SNEAKER DA TENNIS: come quelle vegane di Veja, brand francese che hanno ammaliato anche Meghan Markle. Sono le sneakers che potrete usare per occasioni leggermente meno informali come l’ufficio, per esempio. Sono perfette con i tailleur pantalone oppure con blazer, camicia/blusa e jeans con gamba dritta. Sono le calzature ideali per maxi gonne, bermuda o gonnelline al ginocchio e chiodo per passare dall’ufficio all’aperitivo;

SNEKER SAINT LAURENT: per intenderci, quella ricolma di stelline dorate o argentate. E’ in pelle con suola in gomma, piuttosto sottile ed estremamente comoda. E’ il classico modello super versatile che può essere indossato in moltissime occasioni d’uso, da mattina a sera, h24 con gonne lunghe, pantaloni dal taglio maschile, jeans, bermuda, gonne midi al ginocchio, ecc..

SNEAKER NEW BALANCE: super tecnica, con suola in gomma ondulata, perfetta per lunghe passeggiate anche sotto la pioggia perché è impermeabile. Da indossare sia con abbigliamento tecnico per la palestra che anche con jeans cropped e blazer per aggiungere un tocco di stile ad una sportiva per eccellenza;

SNEKER GOLDEN GOOSE: super di tendenza già dallo scorso autunno, la loro popolarità non accenna ad arrestarsi, anzi cresce ogni giorno di più. Fanno parte di una fascia di prezzo piuttosto alta e c’è chi le ama e chi le ritiene decisamente poco comode soprattutto in considerazione del prezzo. Dal punto di vista dello stile, però, sono impareggiabili e super chic. Io le vedo benissimo in ogni occasione in cui vogliamo camminare su una scarpa bassa ma con stile, quindi perfetta con tailleur pantalone e pantaloni sartoriali, ma anche gonne lunghe e jeans con gamba dritta.

Ottavia Ditroia

Quanti like valiamo? La legge dell’apparenza sui social

A cura del nostro socio fondatore Dott. Marco Magliozzi, psicologo-psicoterapeuta, esperto in criminologia.

Secondo recentissimi studi, pubblicati da Agcom e Audiweb, ognuno di noi passa in media su internet ben 6 ore al giorno (il 25% della propria giornata).

Nello specifico, due ore su sei sono dedicate all’utilizzo dei social network, come Facebook, Instagram, TikTok.

La matematica vuole quindi che il 12,5% della nostra vita sia virtuale, un tempo enorme dedicato esclusivamente a costruire un’immagine di sé, un alter ego, molto spesso, lontano dalla realtà e da chi siamo veramente.

La legge dell’apparenza

Volente o nolente, il mondo online, e nello specifico i social, hanno alimentato la legge dell’apparenza: le persone tendono a voler apparire migliori (o addirittura diverse) da come sono nella realtà.

Molti conoscono la serie televisiva Black Mirror, nella quale ogni puntata è ambientata in un futuro alternativo e distopico.

Nella puntata dal titolo “Caduta libera”, assistiamo a un mondo nel quale vige la legge della reputazione social: più una persona è popolare e ottiene like, più vantaggi e benefici avrà a livello sociale, come la possibilità di vivere in quartieri altolocati, acquistare auto di lusso, cenare in ristoranti stellati.

Una società, quindi, totalmente ossessionata dal giudizio esterno e nella quale gli altri hanno pieno potere sulle vite di altre persone. Con un solo like posso creare o distruggere la felicità del prossimo.

Un mondo nel quale vige la legge dell’apparenza, del finto complimento e dell’approvazione fine a sé stessa. Essere spontanei diventa un pericolo ed è quindi molto meglio fingere di essere qualcun altro, indossando una maschera.

Non è forse quello che, talvolta, accade nella nostra società attuale?

I social odierni, infatti, strumentalizzano la fidelizzazione dell’utente attraverso la gratificazione che passa attraverso l’uso dei like.

Questo sistema rafforza, proprio a livello biochimico cerebrale, il comportamento della persona: pubblicare foto e video, ottenendo in cambio dei like, diventa quindi un modo per accrescere la propria idea di sé stessi e la propria autostima, creando nel tempo una vera e propria dipendenza psico-fisiologica. 

L’altro lato della medaglia è, purtroppo, che tutto ciò avviene solo virtualmente, in un mondo inesistente che potrebbe crollare da un momento all’altro.

La selfie dismorfia

Non solo like, ma anche selfie. I social sono il regno dei selfie, le foto scattate di sé stessi in primo piano, che simboleggiano la “perfezione” del momento, nascondendo difetti ed esaltando (o addirittura trasformando) i nostri pregi.

Gli esperti hanno però notato anche dei pericoli: si parla in questo caso di selfie dismorfia, ovvero una vera e propria ossessione per il selfie, che DEVE essere obbligatoriamente perfetto, onde evitare giudizi esterni o qualsivoglia critica.

La foto scattata diviene un biglietto da visita che deve essere inattaccabile e fonte di attrazione.

Ecco che, quindi, la spasmodica attenzione verso la perfezione potrebbe dare vita a un susseguirsi di comportamenti che, talvolta, si avvicinano al bizzarro:

  • ripetere una foto anche decine di volte, senza mai essere soddisfatti del risultato;
  • lamentarsi dell’amico/partner che scatta la foto perché secondo noi non è bravo/capace;
  • lamentarsi dei propri difetti che, sempre secondo noi, la foto mette in risalto;
  • focalizzarsi su alcuni difetti specifici, ad esempio: “ma che nasone che ho”, “no, questa foto no! Si vede che ho la pancia!”, “oddio che brutta foto, si vedono i fianchi grossi”.
  • preoccuparsi di quello che potrebbero pensare gli altri non appena guarderanno la foto pubblicata;
  • usare filtri che modificano, fino a rendere innaturale la foto, come ad esempio ringiovanire la pelle, ritoccare colore/luminosità ecc., cambiare il colore degli occhi e così via.

Non solo: la reiterazione di questo comportamento ossessivo rischia anche di trasformare, in negativo, la propria idea di sé stessi, generando una percezione falsata del proprio corpo, divenendo sempre più insofferenti e ipersensibili al giudizio esterno, diminuendo l’autostima e divenendo dipendenti dai complimenti degli altri. 

L’importanza della prevenzione e dell’educazione

L’adolescenza, ovvero il periodo della vita nel quale si entra a piè pari nel mondo social, è il momento giusto per poter fare prevenzione, sensibilizzando e informando i ragazzi sull’uso corretto della tecnologia.

Il messaggio importantissimo da inviare riguarda l’attenzione verso il mondo reale, sottolineando il concetto che i social sono soltanto una finestra virtuale, che non rispecchia assolutamente ciò che siamo veramente.

Tutte le critiche (o i complimenti) ricevuti online andrebbero sempre ridimensionati.

Troppe volte, ahimè, abbiamo assistito a tragedie, come ad esempio suicidi, dovuti all’impossibilità di sopportare la vergogna del giudizio social.

In ragazzi nei quali l’autostima è alta e il senso di sé non intaccato dal mondo online, questo non sarebbe accaduto.

L’associazione Fermconlemani ha, tra i suoi obiettivi, anche quello di guidare le nuove generazioni verso un sano utilizzo dei social network, facendo prevenzione non solo nelle scuole ma anche nelle famiglie.
Tanti genitori, purtroppo, danno il cattivo esempio, essendo loro stessi i primi a fruire dei social in maniera errata o scattando selfie in modo maniacale.
Per ritrovare l’equilibrio interiore e la consapevolezza di sé, come esseri umani, è quindi necessario comprendere come internet sia solo essenzialmente uno strumento tecnologico, nulla più.
La vita vera, reale, scorre ogni giorno lontano dagli smartphone e dai computer. Evitiamo di perderla e godiamoci ogni secondo.

Dott. Marco Magliozzi

Ennesima aggressione ai danni di una giovane donna nel barese: il difficile rapporto fra prevenzione e repressione.

La presidentessa Tiziana Cecere e il vicepresidente Pierfrancesco Impedovo si soffermano sulla fallimentare strategia di contrasto alla violenza di genere e sul ruolo strategico della poco praticata prevenzione.

Questa mattina, 2 novembre,  si è consumata l’ennesima aggressione ai danni di una donna  a Monopoli, nel Barese. Poco dopo le 5, infatti, una giovane donna poco più che trentenne è  stata colta di sorpresa dall’ex fidanzato mentre stava uscendo di casa per andare al lavoro. L’uomo, un bracciante agricolo coetaneo della donna, l’ha aspettata fuori di casa per parlare. Pare che tra i due ci sia stata una discussione, poi l’aggressione. L’uomo ha impugnato un coltello e colpito l’ex con almeno 30 coltellate.

In Italia si conta, praticamente, un femmicidio ogni tre giorni, mentre non si riescono a contare gli episodi violenti a danno delle donne e non è solo questione di “ingente quantità”. Ossessione, possesso, prevaricazione, vendetta.

Bisognerebbe concentrare l’indagine criminologica proprio sui motivi, perchè il femmicidio non è solo l’uccisione di una donna in quanto donna, è qualcosa di diverso, più profondo, più camaleontico, più perverso e più problematico.

Quanta razionalità e calcolabilità vi è in queste tipologie di crimini e quanta, invece, irrazionalità e incontrollabilità vi si cela? 

Questa potrebbe essere una buona domanda per indagare l’efficacia preventiva della pena in relazione a tali crimini, dato che l’unica risposta che le istituzioni offrono alla risoluzione del problema è appunto quella sanzionatoria.

Con il termine femmicidio si suole indicare l’uccisione di una donna in quanto donna. Tale definizione venne coniata dalla criminologa Diana H. Russel per indicare una species del fenomeno socio-culturale largamente diffuso e che ha antiche origini, della violenza perpetrata contro il genere femminile il c.d. femminicidio. 

La piaga della violenza sulle donne non ha destato particolari cambiamenti nel corso del tempo, esiste dall’età arcaica e persiste in età moderna (si pensi al fenomeno storico-giuridico del patriarcato dal quale derivava il diritto per il marito o per il padre di correggere, anche e soprattutto con la violenza, la propria moglie o la propria figlia o all’istituto del matrimonio riparatore ex art. 544 c.p. con il quale si cancellava l’onore della famiglia violato consegnando la propria figlia o la propria sorella in moglie al suo aguzzino).

È mutato, invece, il grado di conoscenza del fenomeno, complice specialmente l’attenzione mediatica. Certamente esiste una stretta correlazione tra violenza di genere e situazioni relazionali (l’esito delle indagini OMS e della Convenzione di Istanbul convergono per lo stesso risultato: gli autori delle violenze più gravi sono prevalentemente i partner attuali o gli ex partner 62,7%) e nel caso specifico dei femmicidi, il grado di tale correlazione aumenta vertiginosamente (il 73,2% degli omicidi di donne sono compiuti in ambito familiare).

Tuttavia, nell’ottica di un’analisi compiuta del fenomeno in chiave culturale, sociale e criminale non ci si può fermare a tale correlazione, bensì ci si deve calare nel dinamismo dei ruoli sociali e studiarne il funzionamento. 

Non si uccide solo una donna in quanto tale, si uccide una donna in quanto madre, sorella, figlia, fidanzata, ex fidanzata, moglie, ex moglie.

Ecco, spostare il focus dell’indagine dal genere ai ruoli sociali assunti dalle donne, in contrapposizione ai ruoli assunti dagli uomini, consente di indagare il fenomeno dalla prospettiva relazionale specifica e in tal modo consente di avere una visione più centrata sui meccanismi relazionali dai quali emergono i conflitti e dai quali dipendono le reazioni violente

Infatti, raramente i femmicidi avvengono come episodi singoli, la maggior parte delle volte rappresentano il culmine della violenza innescatesi nelle dinamiche di cui sopra. Proprio la progressione della violenza è un fattore che può essere sfruttato in ottica preventiva perchè i femmicidi si possono prevenire ma, solo se si agisce in tempo utile e con gli strumenti adeguati a disinnescare l’escalation criminogena. Per raggiungere questo obbiettivo, è evidente che non basta agire sul piano sanzionatorio, prova ne sono i dati statistici negativi a fronte degli importanti interventi normativi susseguitesi nel tempo.

Infatti, tali tipi di interventi sono calibrati per agire in un tempo non funzionale allo scopo che ci si prefigge di raggiungere: la prevenzione non in senso generico ma, la prevenzione di questa particolare classe di reati.

Mai come nel caso del fenomeno della violenza di genere urge agire in maniera, non solo preventiva ma, soprattutto in maniera tempestiva proprio perchè si creano dei meccanismi di evitamento  e di abnegazione del pericolo causati proprio dai dinamismi relazionali. Questo vuol dire che, nella maggior parte dei casi, quando si giunge nella fase in cui la donna denuncia le violenze subite o comunque attiva richieste di aiuto, il fattore criminogeno si è già largamente sviluppato rendendo più complicato la realizzazione dell’effetto deterrente delle misure attualmente disponibili.

<<Condivido ogni singolo pensiero dell’analisi fatta dal collega Prof. Impedovo>>, tiene a sottolineare la presidentessa di Fermiconlemani avv.ta Tiziana Cecere, <<I numeri parlano chiaro e le statistiche sono sempre le stesse.  E ogni volta ci si interroga: cosa non ha funzionato? A che punto siamo nel contrasto alla violenza di genere? Il primo punto è la prevenzione. Se da più di 40 anni il numero dei femminicidi non diminuisce, vuol dire che le politiche sino ad ora pianificate non funzionano a sufficienza, soprattutto non si è mai investito seriamente nella prevenzione e nella formazione. È fondamentale comprendere la natura della violenza maschile alle donne. Non si tratta di un problema di sicurezza, bensì di un fenomeno culturale.  Anche le nuove misure di recente modifica al “Codice Rosso” possono essere guardate con uno sguardo bonario ma non prevengono il fenomeno, arrivano quando è già avvenuto. Una prevenzione “seria” dovrebbe prevedere da un programma di sensibilizzazione focalizzato in particolare modo nel contesto scolastico,  avvalendosi della collaborazione di realtà costituite da professionisti di alta specializzazione come la nostra che ben conoscono i fenomeni e sono in grado di mettere in campo strumenti di educazione emotiva alla non violenza, facendo leva sullo sviluppo, sin da tenera età, della capacità di costruire relazioni basate sui principi di parità, equità, rispetto, inclusività. L’educazione dei bambini e delle bambine al rispetto di genere e il contrasto alla violenza domestica non può essere efficace a meno che non si operi soprattutto sui modelli culturali che sottendono, promuovono, e riproducono disparità di genere nella società. L’azione di prevenzione deve articolarsi in percorsi volti all’esplorazione, all’identificazione e alla messa in discussione dei modelli di relazione convenzionali, degli stereotipi di genere e dei meccanismi socio-culturali di minimizzazione e razionalizzazione della violenza.

Tutto questo Fermiconlemani lo mette già in campo a titolo volontario e gratuito per la collettività nel corso di molteplici e sistematiche iniziative all’interno di istituti scolastici di ogni ordine e grado, grazie allo spirito di servizio di tutti noi professionisti che crediamo nel valore strategico della prevenzione, con la speranza che presto le istituzioni governative comprendano che si tratta dell’unica via efficace per affrontare il fenomeno>>.

Omicidio Lupelli: un altro importante riscontro per la nostra associazione nella lotta ad ogni forma di violenza

Confermate in grado d’appello condanna e risarcimenti alle parti civili.

Ieri, 26 ottobre, è stata resa nota la sentenza d’appello nei confronti di Saverio Mesecorto, imputato per l’omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e rapina ai danni della 81enne Anna Lucia Lupelli, trovata morta nella sua casa al quartiere Carrassi di Bari il 13 settembre 2021, trafitta da otto coltellate.

Dopo la parziale rinunzia della difesa ai motivi d’appello (fatti salvi quelli relativi alla misura del trattamento sanzionatorio), la Corte d’Appello di Bari ha condannato l’imputato reo confesso alla pena ridotta di 23 anni di reclusione, a fronte dei 27 inflitti in primo grado.

Confermati i risarcimenti alle parti civili tra le quali vi è la nostra associazione, patrocinata dalla socia Avv.ta Daniela Corrado a cui vanno i più sentiti ringraziamenti per l’importante risultato ottenuto a riprova dell’elevata qualità professionale del team legale coordinato dall’Avv.ta Serena Zicàri, anch’ella costituita quale patrocinante delle figlie della vittima.

La sentenza diverrà definitiva una volta decorsi i termini ( quarantacinque giorni dalla pronuncia) per proporre ricorso per cassazione, circostanza allo stato assai poco probabile.

<< Grazie alla professionalità, competenza e dedizione di tutta l’equipe legale della mia associazione che ringrazio – tiene a sottolineare la presidentessa di Fermiconlemani l’avv.ta Tiziana Cecere -, continuiamo a stare al fianco di tutte le vittime di violenza, dando il nostro contributo affinché riconquistino pienamente ciò che è stato loro tolto, moralmente, psicologicamente e legalmente. Questo nuovo risultato processuale, che arriva dopo numerosi altri, può considerarsi un ulteriore tassello nell’esperienza della nostra associazione, a costante valorizzazione del lavoro di prevenzione e contrasto ad ogni forma di violenza svolto quotidianamente sul campo, attraverso attività d’informazione, ascolto, assistenza legale, contatto con i servizi territoriali e dunque attraverso la creazione di una rete di concreto sostegno alle vittime. Riconoscere ad associazioni antiviolenza come la nostra la legittimazione a stare in giudizio quale parte danneggiata dai reati contestati al maltrattante e, contestualmente il diritto ad essere risarcite, è una conquista di altissimo valore civico al fine di ribadire che la violenza, perpetrata in qualsiasi forma o contesto, ha una ricaduta oltre che nella sfera individuale delle vittime, anche in quella collettiva, in un’ottica di responsabilità dell’intera società>>.

Qui i dettagli di cronaca: https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/bari/1441359/bari-addetto-delle-pulizie-uccise-un-anziana-condanna-ridotta-a-23-anni-in-appello.html

Alcolismo: una dipendenza che genera violenza

L’alcolismo è una delle più gravi forme di dipendenza patologica, che può sfociare anche in episodi di violenza, verso sé stessi o il prossimo.

A cura di: Dott. Marco Magliozzi, psicologo e socio fondatore di Fermiconlemani

L’alcolismo, ovvero la dipendenza da alcol, è uno dei disturbi più diffusi nel mondo.

Secondo le stime, ne soffre il 4,1% della popolazione mondiale oltre i 15 anni!

Le persone con questa dipendenza assumono ingenti quantità di alcol, con conseguenze molto gravi sia sul fisico sia sulla mente.

Non solo: l’alcolismo è anche associato a numerosi sintomi comportamentali molto pericolosi, come guida in stato d’ebbrezza o gesti di violenza, fisica e verbale, verso sé stessi o il prossimo.

Arginarne le cause e lavorare sulla prevenzione risulta quindi essere di fondamentale importanza e l’associazione Fermiconlemani si impegna in tal senso, offrendo un sostegno multidisciplinare: psicologico, giuridico e sociale.

Continua a leggere l’articolo completo clicca sul pulsante qui in basso:

“OGGI NON SO COSA INDOSSARE !!!!!” 4 MOTIVI PER CUI TI CAPITA SPESSO DI DIRLO E COME EVITARE CHE ACCADA IN FUTURO

La nostra Ottavia Ditroia, responsabile progetto “Benessere ed Empowerment”, personal shopper ed esperta di moda e tendenze, ti aiuterà a dirimere ogni dubbio sul giusto outfit.

Diciamo la verità: “Oggi non so cosa indossare” è una frase che ripetiamo ogni volta che dobbiamo vestirci, sia per occasioni particolari, eventi, riunioni in ufficio, meeting fuori città, ma ultimamente ci capita spesso di pronunciarla anche per gli outfit giornalieri, per uscire con le amiche, per andare a fare la spesa, per portare a spasso il cane!!!!!

Perché ci succede sempre più spesso?

Molte sono le risposte a questa domanda e potrebbero essere ricercate per esempio, nel continuo bombardamento di immagini di fashion blogger o sedicenti tali sui social e in genere attraverso i media, oppure perché la nostra vita si sta costellando sempre più di milioni di impegni e quello dell’outfit sta scendendo all’ultimo gradino delle nostre priorità, ma anche solo perché abbiamo cambiato taglia e non riusciamo più a riconoscerci, ecc…….

Niente panico, oggi la vostra Personal Shopper e Personal Stylist preferita verrà in vostro soccorso e vi chiarirà TUTTI i dubbi di stile spiegandovi come creare il giusto outfit per ogni occasione d’uso con il minimo sforzo.

Ma, per farlo, addentriamoci nei motivi per cui questo accade sempre più di frequente. Io ne ho selezionati 5, che ritengo siano i MACRO-MOTIVI ma, se volete, scrivetemi i vostri in particolare e sarò lieta di rispondervi.

Perché voi lo meritate. Ricordatelo sempre.

Eccoli:

L’IMPORTANZA DEI CAPI BASICI: molto spesso tutte le donne che non sanno cosa indossare non hanno capito l’importanza di avere nell’armadio dei capi basici di ottima qualità, che non passeranno mai di moda perché sono capi senza tempo che costituiscono le fondamenta portanti di ogni outfit per ogni occasione d’uso. Parlo, per l’autunno/inverno, di cappotti, di blazer, di giacche di pelle, di maglioncini in cachemire, di jeans di ottima qualità con taglio dritto, classico e senza strappi, di camicia bianca, di almeno un tailleur, ecc… Aggiungo solo che, se ci sono capi sui quali non vi consiglio di risparmiare, questi sono proprio i basici, proprio per la loro versatilità nel corso del tempo.

LA BODY SHAPE: lo abbiamo detto tantissime volte, fino alla nausea, ma mi sento di doverlo ripetere, perché noi donne per tanti motivi non sappiamo come VESTIRE il nostro corpo perché non conosciamo la FORMA DEL NOSTRO CORPO e quindi ci succede di comprare capi che lo mortificano anziché  valorizzarlo. Se impariamo a volerci più bene e la smettiamo di guardare solo i nostri difetti fisici o la nostra taglia, cominceremo a VEDERE il nostro corpo, la sua forma e saremo in grado di capire quanti punti di forza abbiamo e come possiamo sottolinearli per farci sentire più belle e più sicure di noi stesse. In più, l’altro errore che spesso commettiamo è quello di tenere nell’armadio capi che non ci entrano più (perché troppo larghi o troppo stretti) in PREVISIONE di indossarli in un futuro non meglio specificato quando saremo ancora in grado di indossarli. Questo non fa altro che riempire l’armadio di capi che non indosseremo mai togliendo spazio a quelli che invece possiamo indossare ORA. Pensate solo per un attimo a quanto è motivante indossare solo capi che ci vestono alla perfezione e trovare solo quelli nell’armadio. Le mie clienti lo sanno: non è una questione di taglia, ma di forma!

ARMADIO DISORDINATO: anche su questo argomento specifico ho scritto un articolo tempo fa, ma mi preme ribadire l’urgenza di avere un armadio organizzato e ordinato. Mi chiedo spesso come mai noi donne abbiamo delle dispense così in ordine che sembrano degli scaffali del supermercato, ma non facciamo la stessa cosa con il nostro guardaroba!!! Sempre forse perché ci releghiamo all’ultimo posto delle priorità di una organizzazione familiare. E’ ora di smetterla!!! Noi siamo al primo posto, noi ce lo meritiamo perché se amiamo noi stesse siamo pronte ad amare chi ci circonda. Allora cominciamo ad amare e ad organizzare anche il nostro povero armadio come se fosse una boutique: facciamo in modo di avere grucce tutte uguali e funzionali, dividiamo per tipologia e colore. Facciamolo almeno 2 volte l’anno, in concomitanza con il cambio di stagione. Cerchiamo di sistemare i capi come al punto 2) negli spazi giusti: gli abiti lunghi negli spazi lunghi (eviteremo che si stropiccino), quelli più corti negli spazi più corti. Pieghiamo i maglioni e le t-shirt, mentre appendiamo le camicie alle grucce divise per colore ……sarà semplice trovare tutto in un batter d’occhio;

SENTIRSI IN COLPA: sorvolo su tutte le dinamiche psicologiche che non sono decisamente il mio campo, ma ho notato che è uno dei motivi per i quali noi donne tendiamo a dimenticarci di noi stesse, del nostro stile e addirittura di ciò che contiene il nostro armadio, perché abbiamo mille altre priorità più importanti di noi stesse! Questo ci porta a non pensare per tempo a ciò che indosseremo il giorno dopo o lo stesso giorno e quindi scatta in automatico la fatidica domanda dell’ultimo minuto (che è ciò che ci concediamo: un minuto tutto per noi): “Cosa mi metto oggi? Non ho nulla da indossare”. Proviamo per quanto possibile a sforzarci di trovare 10 minuti di tempo la sera prima, magari è anche rilassante, per aprire il nostro armadio (che avremo opportunamente ordinato) e farci ispirare. Pensiamo alla donna che vogliamo essere e vestiamoci per questo. Mettiamoci al primo posto. Questo non significa che tutto il resto è meno importante. Eviteremo così di prendere la prima cosa che capita per coprirci e non per vestirci.

Ottavia Ditroia

I CAPISPALLA ESSENZIALI E PIU’ COOL PER L’AUTUNNO/INVERNO 2023/24

Ce li svela la nostra Ottavia Ditroia, esperta di moda e tendenze, personal shopper e responsabile dell’area “Benessere ed Empowerment” della nostra associazione

E’ giunta anche la stagione dei capispalla!!!

Qualcuno festeggerà, qualcun altro no probabilmente, ma inesorabilmente dobbiamo cominciare a pensare anche a loro.

Il cambio di stagione potrebbe essere il momento migliore per farlo: ci accorgeremo così se possiamo trascorrere una nuova stagione fredda con i cappotti che abbiamo già nell’armadio (dando loro una bella rinfrescata, mi raccomando) oppure dobbiamo acquistarne di nuovi.

Molte di voi in questo periodo mi stanno chiedendo quali sono i capispalla su cui puntare per questo inverno che coniughino come sempre le 3 ormai famosissime variabili: versatilità, comodità e modernità.

Ecco allora un bell’elenco che farà al caso vostro. Non è necessario, ovviamente, acquistarli tutti. Ognuna di voi pensi al proprio stile di vita, al proprio look e si lasci trasportare nel magnifico mondo dei capispalla:

IL CAPPOTTO CLASSICO: il colore lo decidete voi in base al resto del vostro guardaroba ma sono sicura che graviterà intorno al nero, al blu, al color cammello, al marrone, al beige, al color crema; le più coraggiose sceglieranno colori più vivaci come il rosso, il color senape, il blu elettrico, il fucsia, l’arancio….. La mia unica raccomandazione consiste in questo: ATTENZIONE ALLA QUALITA’; leggete sempre bene l’etichetta e cercate di comprare la qualità migliore che il vostro budget vi permette, perché lo sapete che il cappotto classico (con cintura o meno) è un capo super basico e l’obiettivo è quello di indossarlo per quante più stagioni possibili. Quindi non fatevi attirare nella trappola dei capi in poliestere, ma optate sempre per la lana, misto lana, cachemire. Se vi piacciono i trend, quest’anno i cappotti saranno oversize, cosa che vi permette anche di stratificare con maglioni spessi, con blazer o col chiodo al di sotto;

TEDDY BEAR COAT E/O ECO-PELLICCIA: al di là della sensazione di coccola che regala questo tipo di capospalla, è fondamentale per i giorni invernali più freddi perché è estremamente caldo, soprattutto se accompagnato da sciarpa e cappello in cachemire. Una volta provato, non se ne può più fare a meno, anche perché sa essere molto elegante risolvendo il dilemma del capospalla da indossare per le occasioni più formali sia di giorno che di sera; ma naturalmente è perfetto anche abbinato semplicemente con jeans e maglione. E’ perciò estremamente versatile se lo acquistate nei classici colori: nero, bianco, rosa cipria, beige, marrone. Certo potete osare anche con altri colori, ma qui stiamo parlando degli ESSENZIALI. Un modo semplice per ravvivare un teddy bear coat o una eco-pelliccia dai toni neutri è senz’altro aggiungere accessori colorati: sciarpa, cappello e guanti. Vogliamo parlare poi di quanto è cool?

  1. IL PIUMINO: personalmente non lo amo molto, perché non ritengo che si addica al mio stile, ma ne riconosco la comodità. Io lo abbinerei ad outfit sportivi, per la palestra o per la piscina o per le nostre corsette mattutine o per passeggiate in campagna. E’ innegabile che sia molto caldo, fondamentale soprattutto nelle zone di Italia dove l’inverno sa essere molto rigido. A tutte le amanti del piumino consiglio solo di evitare applicazioni di fiori, paillettes, pizzi o altri disegni e ricami perché rischiereste di sconfinare negli anni ’90. Optate sempre per la semplicità: less is more, always!!

IL TRENCH: la sua stagione è l’ autunno (e la primavera) ed è perfetto per la stratificazione. Si può indossare sopra il maglione, il chiodo, il cardigan o il blazer ed è perfetto quando le giornate non sono molto fredde. E’ particolarmente indicato nelle giornate piovose perché è impermeabile e, per una quantità di calore aggiuntiva, non ci resta che aggiungere sciarpa e cappello. Ne abbiamo parlato tante volte e ormai conosciamo il loro valore all’interno del nostro guardaroba. Mai più senza!!!

IL PARKA: altro capospalla utile a tutte le mie amiche sportive e freddolose là fuori. Il cappuccio di cui è sempre provvisto ci riscalda, ci ripara dalla pioggia e ci coccola un po’ quando fuori è freddo e piovoso ed estremamente grigio. Il verde militare è il suo colore classico, ma ne esistono versioni in tutti i colori. Il mio preferito è in lana impermeabile, imbottito, blu e col cappuccio con la eco-pelliccia perché è indossabile anche per la scuola, l’università e in generale tutte le occasioni casual delle giornata;

IL CHIODO: amico delle giornate autunnali, grande classico in nero ma ormai in commercio se ne trovano di ogni colore e modello. In inverno è declinato in una versione che sta diventando un must have: è più lungo, oversize, imbottito di pelliccia ecologica dello stesso colore o a contrato. Anche il chiodo è un ottimo capo per stratificare appena le giornate diventano più fredde. Consiglio, a tal proposito, di acquistarlo di una taglia in più proprio per poterlo indossare con maglioni pesanti, felpe, eccc…..

Ottavia Ditroia

Nella mente del branco! Stupri e violenze di gruppo

Un seminario per riflettere e tracciare strategie di prevenzione

Il prossimo 19 ottobre presso la biblioteca comunale di Modugno, si terrà un importante seminario organizzato da Ikos Ageform in collaborazione con la nostra associazione dal titolo “Nella mente del branco!”.

L’incontro che inaugura la stagione formativa 2024, vedrà fra i relatori oltre alla prof.ssa Daniela Poggiolini monumentale fondatrice della scuola Ikos, la nostra presidentessa Avv.ta Tiziana Cecere in qualità di esperta criminologa.

Il seminario, per il suo alto valore scientifico, gode dei patrocini dell’Ordine degli Avvocati di Bari (che concederà 2 CFU), dell’Ordine degli Psicologi della Puglia e del comune di Modugno che lo ospita.

Il nostro socio, Prof. Pierfrancesco Impedovo criminologo e giurista, illustra la genesi di questa iniziativa.

L’idea di questo tavolo di approfondimento nasce dall’allarmante escalation di episodi in cui il “branco”  è protagonista; tutti ricorderanno l’orribile stupro – tanto per citarne uno recente – ai danni di una diciannovenne da parte di sette ragazzi, alcuni dei quali minorenni, avvenuto a Palermo lo scorso 7 luglio. Nel cellulare di uno dei presunti autori è stato ritrovato il video della violenza che, come si sa, ha fatto il giro del web.

Lo scandalo, la riprovazione e l’allarme che ne sono seguiti hanno portato tutti noi a porci delle domande, costringendoci a riflettere su cosa stia accadendo. Perché, purtroppo, quelli avvenuti a Palermo non sono fatti isolati. Quotidianamente sui media passano notizie di ragazze e donne abusate in gruppo durante momenti che dovrebbero essere di spensieratezza e divertimento. Sembra delinearsi come un’emergenza che finora abbiamo ignorato e riguarda in modo trasversale molti ragazzi, italiani e non, che vivono sul nostro territorio e che si verificano ovunque nel nostro Paese.

Partiamo da un punto. Alla base di tutte queste violenze vi è sempre lo scatenarsi di un comportamento filogeneticamente primitivo di dominio e predazione del maschio sulla femmina, dove sesso e aggressione sono connessi. Questa disposizione viene a noi dai primordi della nostra evoluzione ed è radicata come possibilità, non certo come determinazione ad agire, nella parte più antica del cervello maschile. La connessione tra sesso e violenza è quindi una possibilità per ogni maschio umano, che viene favorita ed esaltata dal gruppo. 

Sulla base di quanto appena detto, entra in gioco anzitutto un meccanismo di contagio emotivo, tipico del gruppo e anche della folla anonima; esso porta i componenti a vivere in modo automatico e riflesso la stessa attivazione emotiva, che è in questo caso di aggressione e sesso. Basta che uno del gruppo inizi una violenza, e gli altri si comportano mimeticamente allo stesso modo, in un crescendo sfrenato di brutalità privo di consapevolezza. Alcuni individui, per età e caratteristiche personali, sono maggiormente incapaci di opporsi al contagio emotivo: sono quelli poco autonomi dal gruppo, e anzi molto conformisti e dipendenti da esso, quelli poco abituati alla riflessione personale su di sé (cioè a chiedersi: “Che cosa sto facendo? Perché?”) e a scegliere in modo autonomo. Molti non sono nemmeno in grado di riconoscere le emozioni che stanno provando: le agiscono soltanto. In questa condizione la vittima e la sua sofferenza non vengono neppure viste e tantomeno colte; diventa quindi impossibile ogni condivisione empatica, che porterebbe a bloccare l’aggressione.

Per questi motivi il ruolo degli adulti, come educatori, è essenziale. Le cronache ben evidenziano la difesa amorale dei propri figli, attraverso il noto meccanismo di colpevolizzazione della vittima; è uno dei numerosi meccanismi di “disimpegno morale” che permettono di non mettere in discussione un comportamento e anzi di giustificarlo. Il ruolo dei padri e delle madri è decisivo, perché è in famiglia che il bambino impara fin da piccolissimo il rispetto, o al contrario il disprezzo, per le donne nella quotidianità della vita di tutti i giorni. Nella società italiana, dove le madri sono molto presenti, le donne svolgono un ruolo determinante nel favorire indirettamente, con il loro comportamento e i loro giudizi, la prevaricazione maschile, dalle forme più lievi a quelle più gravi. C’è un grande responsabilità in questo senso delle donne come madri. Non si tratta solo di saper porre dei limiti al proprio comportamento impulsivo, ma di essere in grado di vivere con l’altro sesso una relazione veramente umana, fatta di sentimenti e di relazioni individualizzate, ben lontana dalla sopraffazione.

Vi è un drammatico abbandono educativo sui temi della sessualità e degli affetti da parte sia della famiglia, sia della scuola. Occorre anzitutto riconoscere, superando le molte resistenze al riguardo, che esistono nei maschi disposizioni primitive alla prevaricazione che non vanno né legittimate né favorite dalla cultura. A questo riguardo, è necessario essere consapevoli del ruolo pervasivo e distruttivo assunto oggi dalla pornografia per gli adolescenti, in particolare per i maschi. La sessualità proposta dalla pornografia, anche quando non è manifestamente violenta, riduce la donna a oggetto del piacere maschile e favorisce di conseguenza i comportamenti aggressivi di sopraffazione.  

A partire dalla presa d’atto che la violenza maschile sulle donne è il frutto dell’interazione tra disposizioni biologiche e messaggi culturali che le sostengono, occorre favorire la capacità di coniugare sesso e affetti in una relazione personale basata sulla comune umanità. La famiglia e la scuola dovrebbero impegnarsi nell’educazione sessuale affettiva, che non può essere svolta solo dalla famiglia, soprattutto in adolescenza.

Diamo il benvenuto alla rubrica “In armonia”.

A cura della nostra socia Tea Baldini Anastasio, musicoterapeuta.

Argomento di questo primo appuntamento: Artiterapie per il Benessere della Società.

Con questo articolo do inizio ad una rassegna pensata per il blog Fermiconlemani, in questa rubrica tratterò argomenti inerenti il mondo delle Artiterapie, della crescita personale e del benessere psicofisico.

Oggi parliamo delle Artiterapie e del loro contributo per il Benessere della Società.

Le artiterapie hanno un potenziale significativo per contribuire al benessere della società. Ecco alcune delle loro caratteristiche e benefici:

1. Espressione e consapevolezza emotiva: L’arte offre uno spazio sicuro per l’espressione delle emozioni, consentendo alle persone di esplorare e comprendere meglio i propri sentimenti. Questo processo, se supportato da una figura professionale preparata, può favorire una maggiore consapevolezza emotiva, che a sua volta può migliorare il benessere individuale e le relazioni interpersonali.

2. Riduzione dello stress e dell’ansia: L’arte è un’attività creativa che può funzionare come una forma di meditazione attiva. Quando ci si immerge nel processo creativo, le preoccupazioni quotidiane e lo stress possono diminuire, favorendo il rilassamento e la riduzione dell’ansia.

Grazie a metodologie specifiche che con il tempo conosceremo, è possibile raggiungere risultati ottimali.

3. Potenziamento dell’autostima e dell’autenticità, senza escludere l’auto efficacia: attraverso le arti, le persone possono esplorare e riconoscere le proprie capacità creative e la bellezza della propria unicità. Ciò porta alla crescita dell’autostima e all’accettazione di sé stessi, incoraggiando un senso di autenticità e fiducia nelle proprie capacità.

4. Comunicazione e connessione: L’arte può essere un veicolo di comunicazione non verbale, consentendo alle persone di esprimere se stesse e comunicare con gli altri in modi che possono superare le barriere linguistiche o culturali. Attraverso l’arte, le persone possono creare connessioni significative e trovare punti di contatto con gli altri.

5. Processo di evoluzione e trasformazione: L’arte può essere utilizzata come una forma di terapia per trasformare le esperienze traumatiche o dolorose con tecniche specifiche e con il supporto di clinici. Attraverso l’espressione artistica, le persone possono rielaborare e trasformare il proprio dolore, facendo progressi significativi nel percorso di guarigione e ripresa.

6. Creatività e soluzione di problemi: L’arte richiede la capacità di pensare in modo creativo e trovare soluzioni innovative, facilitare lo sviluppo del pensiero divergente. Questa mentalità creativa può estendersi anche alla risoluzione di problemi nella vita di tutti i giorni, incoraggiando un approccio più flessibile, aperto e positivo alla risoluzione dei conflitti e delle sfide.

7. Promozione del cambiamento sociale: L’arte ha un potere unico per veicolare messaggi e idee, toccando le persone a un livello emotivo e suscitando consapevolezza e riflessione su questioni sociali importanti. Attraverso progetti artistici collettivi e iniziative comunitarie, le artiterapie possono promuovere un cambiamento sociale positivo e ispirare una visione condivisa di una società più equa e armoniosa.

In conclusione, le artiterapie possono avere un impatto potente e benefico sulla società nel suo complesso. Favoriscono il benessere individuale e collettivo, promuovono la comunicazione e la connessione, stimolano la creatività e contribuiscono al cambiamento sociale positivo. Speriamo che tali approcci artistici diventino sempre più accessibili e riconosciuti come strumenti importanti per il benessere e lo sviluppo di una società più sana e inclusiva.

Tea Baldini Anastasio