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“CHILD MOLESTER “Scopriamo insieme chi sia e quali siano le conseguenze traumatiche dopo un abuso sessuale su un minore.

Il “child molester”, dall’inglese “colui che abusa di bambini”, è un individuo che agisce abuso sessuale nei confronti di soggetti minori.

In questa categoria rientra quindi: il coinvolgimento dei bambini in attività sessuali – anche semplicemente chiedendole o facendo pressioni di questo genere –, l’esposizione indecente dei genitali, lo sfruttamento sessuale dei minori e l’utilizzo del bambino per produrre materiale pornografico.

Secondo la letteratura, gli abusi sui minori possono verificarsi in diversi contesti, nello specifico quelli in cui la presenza dei bambini è abitudine, ad esempio le scuole o le abitazioni private.

Molti, e gravi, sono gli effetti psicologici nella mente delle vittime, che possono includere depressione, disturbo post-traumatico da stress, ansia, bassa autostima, autolesionismo, propensione alla vittimizzazione in età adulta o alle dipendenze (es. alcolismo o uso di droghe), senza considerare anche le lesioni di natura fisica. Uno studio finanziato dal National Institute of Drug Abuse degli Stati Uniti, ha rilevato che “tra più di 1.400 donne adulte, l’abuso sessuale infantile era associato a una maggiore probabilità di tossicodipendenza, dipendenza da alcol e disturbi psichiatrici”. Molti bambini possono mostrare anche comportamenti regressivi, ad esempio succhiare il pollice o fare pipì a letto. Se consideriamo le forme d’incesto, quindi se l’abusante è un membro della stessa famiglia, i traumi psicologici possono considerarsi ancora più gravi e a lungo termine.

Infatti, secondo le ricerche, il 30% dei child molester sono parenti delle vittime, il più delle volte fratelli, padri, zii o cugini. Circa il 60% sono conoscenti (es. babysitter o vicini di casa) e solo il 10% sono estranei. Sempre analizzando gli studi, la maggior parte degli abusi sessuali sui minori è commessa da uomini, mentre una piccola parte (14%) da donne.

Inoltre, menzione d’obbligo va fatta sui matrimoni precoci: secondo l’UNICEF, il matrimonio precoce rappresenterebbe infatti “la forma più diffusa di abuso sessuale e sfruttamento delle ragazze“.

Nel parlato comune, il termine “pedofilo” viene comunemente associato a questo tipo di abusi ma in maniera errata. I crimini sessuali su minori non rientrano infatti nella pedofilia, a meno che il reo non abbia uno specifico e parafilico interesse sessuale per i bambini in età prepuberale.

Holmes&Holmes (2002) suddividono così gli autori di reato:

  • Situazionale: non preferisce i bambini, ma agisce l’abuso solo a determinate condizioni;
  • Regressivo: in genere ha relazioni con gli adulti, ma un fattore di stress lo induce a cercare i bambini come sostituti;
  • Moralmente indiscriminato: deviante sessuale a tutto tondo, che può commettere altri reati sessuali estranei ai bambini;
  • Ingenuo/inadeguato: spesso caratterizzato da patologie mentali che gli provocano disabilità, percepisce i bambini meno minacciosi e quindi più adatti a esperienze sessuali;
  • Preferenziale: ha un vero interesse sessuale nei bambini:
  • Sadico: reo violento;
  • Fissato: ha poca o nessuna attività sessuale con individui della propria età, descritto come un “bambino troppo cresciuto“.

Da un punto di vista psicoterapeutico, è assolutamente necessario agire immediatamente sulle vittime, subito dopo l’abuso subito.

Il bambino/bambina ha subitaneamente bisogno di essere preso in carico, iniziando un trattamento terapeutico per rielaborare il trauma. Il rischio maggiore, infatti, è che i sintomi psicologici possano acuirsi e durare nel tempo soprattutto se, nella peggiore delle situazioni, le persone con le quali si confida (es. un parente) negano il problema o incolpano addirittura il bambino dell’accaduto.

La prevenzione, inoltre, ricopre un ruolo fondamentale: attività nelle scuole, nei centri d’ascolto, nelle famiglie, sono fondamentali per diffondere informazione e formazione, in primis ai genitori, ma anche agli insegnanti e agli addetti ai lavori (psicologi, medici, personale sanitario, membri delle forze dell’ordine).

È ormai caduta l’antica convinzione che ai bambini non si possa parlare di sesso: è invece necessario, utilizzando i giusti modi e le giuste modalità comunicative, diffondere una sana informazione, così da aiutarli anche a distinguere i pericoli nel loro ambiente, familiare o scolastico, e approcciarsi, nel futuro, alla loro vita sessuale nel migliore dei modi.

Ai genitori, invece, è assolutamente rivolto il prezioso messaggio di avere il coraggio di denunciare, anche i parenti o gli amici più stretti, senza negare o sminuire il problema. Il benessere del proprio figlio è sicuramente più importante del “giudizio esterno” o di qualsiasi altro limite autoimposto dalla famiglia.

Dr. Marco Magliozzi, psicologo, psicoterapeuta, criminologo,

Fondatore e Responsabile Area Psicologica di Fermiconlemani

IL FURTO D’IDENTITÀ DIGITALE DAI FAKE AL PHISHING

Il furto d’identità digitale è assimilabile al reato di sostituzione di persona previsto dal Codice Penale nel libro II Titolo VII all’art.494; attraverso questa fattispecie prevista dal legislatore del 1930 infatti, oggi è possibile includere anche le falsificazioni avvenute online.

Le modalità di questo reato sono molteplici, partendo da utenti che si fingono qualcun altro sul web per vantaggio personale, i cosiddetti fake, fino a veri e propri sistemi che alterano l’utilizzo di servizi online per vantaggio patrimoniale.

La norma, essendo stata riadattata al furto d’identità digitale e non essendo stata creata ad hoc, risulta generica e dunque fortemente influenzata dall’interpretazione della Magistratura.

Attualmente questa fattispecie prevede due falsificazioni alternative ovvero la sostituzione completa di persona, oppure l’attribuzione di un nickname, uno status o delle qualità personali false; risulta infatti punibile anche chi attraverso una falsa qualifica professionale organizza colloqui di lavoro per scopi personali.

Per comprendere in maniera completa questo reato appare essenziale fare delle comparazioni con il sistema e la dottrina statunitense, patria delle piattaforme digitali e di ciò che ne è correlato. In America, infatti, il furto d’identità digitale si divide in tre categorie, non associate a scopo di profitto economico: il catfishing, falsa identità contro una pluralità di utenti e il digital knidapping.

Il primo, da cui prende il nome anche il famoso programma tv di MTV, rimanda ad un vero e proprio “fake” dunque, alla condotta di chi “attira qualcuno in una relazione creando un personaggio online immaginario” (Oxford dictionary). Il catfish, attraverso l’inganno sui social network, raggira altri utenti intrattenendo relazioni virtuali senza mai svelare la propria vera identità, fisica e personologica.

La seconda categoria non sviluppa una relazione con un solo utente, ma interagisce con una molteplicità di utenti, in modo diretto o indiretto, anche attraverso degli intermediari a volte inconsapevoli della situazione creatasi.

Infine, con digital knidapping ci riferiamo a un utente che attraverso giochi di ruolo, quindi nascondendo la propria identità e non falsificandola, controlla altri individui non solo all’interno del gioco stesso.

Tornando alla legislazione italiana, identifichiamo questo reato come plurioffensivo, e procedibile d’ufficio, poiché esso lede la fede pubblica e una pluralità di utenti indeterminati: gli individui a causa di questi criminali, non riescono a fidarsi degli altri e non vivono serenamente i rapporti stretti online.

Analizzando gli elementi soggettivi del reato di furto d’identità digitale, notiamo come anche il tentativo è configurabile poiché la vittima potrebbe essere ingannata anche se il delitto non viene consumato, pur venendo in contatto con un profilo fake o altresì attraverso una mail sospetta di phishing.  

Inoltre, è riconosciuto il dolo specifico: l’autore, con coscienza e volontà, deve porre in essere l’atto al fine di arrecare un danno procurandosi un vantaggio patrimoniale o non patrimoniale.

In alcuni casi invece, potrebbe configurarsi un reato impossibile quando manca l’elemento offensivo: un utente potrebbe utilizzare dei dati diversi dai propri per la registrazione ad un sito o sostituire la propria identità con una inesistente; la giurisprudenza però a volte cerca di configurare anche questi come reati per la teoria della generalprevenzione.

Il furto d’identità digitale si ricollega ad altre due tipologie di illeciti sul web: il phishing e il cyberlaudering.

A livello normativo, il phishing non è categorizzato precisamente, ma viene interpretato considerando il reato-mezzo, la sostituzione di persona, e il reato-fine ovvero la frode informatica.

Attraverso la “mail esca”, inviata apparentemente da siti istituzionali al fine di aggiornare dati personali con il collegamento a un link, il cybercriminale ingannerà l’utente riportandolo su un’altra piattaforma creata ad hoc: ed è proprio così che si sviluppa l’identity theft succeduto dall’ identity abuse.

Spesso, a stretto contatto con il phisher potrebbe esserci il financial manager, ovvero colui che utilizza i proventi dei dati sottratti per il riciclaggio di denaro, ovvero il cyberlaudering. 

Analizzando questo reato dal punto di vista criminologico, invece, risulta importante dare attenzione alle tracce digitali che vengono lasciate sui sistemi di vittima e offender, importanti per la digital evidence e il profiling.

Gli elementi di prova devono essere suddivisi in tre fasi: l’identificazione dell’autore, attraverso lo studio dell’attacco e dell’obiettivo; l’analisi dei dati, attraverso la valutazione di motivazioni e skills, e infine il profiling vero e proprio.

Per identificare l’autore del reato si parte dunque dalla tipologia di attacco effettuato e dalla motivazione che lo ha spinto a scegliere un determinato sistema e determinate vittime.

È importante risalire all’utilizzo che il criminale ha fatto dei dati rubati ed alla complessità dell’attacco, i quali ci forniscono informazioni sulle competenze tecniche applicate ai cybercrimes. In base al metodo di aggressione, infatti, è possibile definire anche il livello di conoscenza dei linguaggi di programmazione, indagando l’utilizzo di codici già usati o innovativi.

Attraverso queste informazioni base, è possibile dunque, svelare i tratti caratteristici personologici e il progetto criminoso dell’offender.

Il profilo della vittima, invece, è molto più complesso da delineare: l’attacco potrebbe essere indirizzato verso utenti scelti o casuali oppure verso server ed enti istituzionali. Nel caso di singoli utenti scelti, essi potrebbero conoscere il criminale oppure potrebbero possedere simili caratteristiche attrattive. Altre vittime, invece, potrebbero essere selezionate casualmente da piattaforme istituzionali attraverso l’attacco a server di home banking, gestori telefonici e servizi di pubblica utilità.

La vulnerabilità rimane l’elemento comune di tutte le vittime, che essa sia dovuta alla disinformazione o alla mancanza di misure di sicurezza e così la prevenzione attualmente rimane l’arma più potente contro i cybercriminali.

Dunque, cosa fare concretamente per evitare d’incorrere in rischi come questo?

Il primo consiglio che sento di dare a tutti gli utilizzatori del web è di leggere attentamente prima di accettare qualsiasi tipo di autorizzazione e soprattutto di analizzare l’interlocutore che si incontra dall’altra parte dello schermo.

Se si nutre qualche dubbio rispetto alla mail ricevuta o alla richiesta di amicizia sospetta e non si riesce a capire la vera identità dell’utente, è sempre meglio farsi consigliare da un nostro caro o conoscente che è più preparato nell’utilizzo di pc e web.

Ognuno di noi dovrebbe supportare soprattutto anziani e bambini, che spesso per disinformazione, sono i più esposti a questi fenomeni.

Ricordiamoci: alcune volte, fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.

Claudia Colonna, assistente sociale, criminologa, socia di Fermi con le Mani

Più SOLI durante la pandemia

Il virus ha colpito in modo sproporzionato le persone anziane e quelle affette da patologie pregresse. In quasi tutti i Paesi, almeno il 90 % dei decessi per COVID-19 si è verificato tra le persone di età pari o superiore a 60 anni. In molti Paesi, circa la metà o più dei decessi per COVID-19 si sono registrati tra le persone domiciliate nelle residenze sanitarie assistenziali (RSA). In molti Paesi, la risposta iniziale al virus si è concentrata sulla protezione dei pazienti e dei lavoratori nelle strutture ospedaliere.

Solo in una fase successiva sono state adottate misure analoghe per proteggere i residenti e i lavoratori nelle RSA. In alcuni Paesi, c’è stato uno ritardo di almeno 2 mesi tra la segnalazione dei primi casi di COVID-19 e l’integrazione di linee guida per la prevenzione delle infezioni nelle RSA. In un quarto dei Paesi per i quali sono disponibili informazioni, ci sono volute due settimane in più per limitare le visite nelle case di riposo rispetto alle restrizioni imposte negli spazi pubblici.

La prima ondata della pandemia ha sottolineato l’importanza fondamentale di proteggere i pazienti anziani e le altre popolazioni vulnerabili dal COVID-19 per ridurre i ricoveri ospedalieri e i decessi.”

Secondo la WHO – Organizzazione Mondiale della Sanità, il problema dell’impatto della pandemia sulle persone over 60 non è stato ancora adeguatamente preso in considerazione. Sulla rivista scientifica The Lancet e sul Journal of the American Geriatrics Society vari articoli hanno segnalato i rischi dell’isolamento e della “trascuratezza” – che può configurarsi in certi casi come “maltrattamento” o “abbandono” – nei confronti delle persone anziane.

(Armitage and Nellums, 2020; Han and Mosqueda, 2020)

Questi dati evidenziano  la necessità di una forte attenzione alle problematicità psicologiche,comportamentali e sociali che la pandemia ha innescato,quali ansia,depressione e,solitudine,paura,incertezza,specie nei soggetti fragili.

La caratteristica di questa solitudine è quella dell’isolamento fisico, della “detenzione” ;l’umanità vi è costretta per sfuggire un contagio ,per il quale allo stato attuale pare che la vaccinazione di massa sia la cura più efficace. Ed è la prima volta che questa solitudine la si viva tutti nsieme,indistintamente.

Di certo l’attuale isolamento ha più che mai il sapore dell’attesa e della speranza di una rinascita. È un mondo nel quale gli abbracci, i baci, le strette di mano, le passeggiate, gli incontri sono messi al bando perché il virus coglie qualsiasi occasione per diffondersi.

Le persone anziane restano sicuramente le più vulnerabili e a rischio ,durante questa pandemia,individuando fattori di rischio diretti e fisiologici, quali il peggioramento di malattie croniche,e indiretti quali discriminazione a causa dell’età;mancanza di sicurezza,difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari,assenza delle visite dei propri cari;maggiori difficoltà nel fare la spesa, acquistare farmaci …

Si ha paura,paura di contagiare,la paura che la crisi economica arrechi danni a chiunque,ai propri nipoti,figli.. Si ha la sensazione di perdita di controllo,la sensazione di sentirsi in trappola…

Cosa ci si aspetta dopo questa pandemia?

Sarebbe auspicabile un  cambiamento di “sguardo” ,che dia alle persone anziane la possibilità di essere il centro della propria salute fisica e mentale, nel rispetto delle proprie differenze culturali e sociali.

Tutti i dati dell’articolo sono ripresi dal sito del quotidiano sanita’.

Dott.ssa Laura Zingaro, assistente sociale, mediatore familiare, socia di Fermi con le mani

CYBERBULLISMO: AUMENTANO I CASI TRA GLI ADOLESCENTI

L’allarme sociale si aggrava in tempo di quarantena per i pericolosissimi giochi in auge sulla rete informatica degli adolescenti che nascono dalle cattive abitudini che la generazione degli attuali quarantenni ha trasmesso in eredità ai nuovi giovani.

Attualmente l’utilizzo assiduo potremmo dire per tutto il giorno a causa della costrizione a vivere nelle mura domestiche degli smartphone, della rete internet e dei videogames  sta facilitando e facendo aumentare in modo vertiginoso il cyberbullismo.

Per comprendere cosa sia il cyberbullismo e come mai sia diventato un problema sociale, non possiamo far finta di non sapere che i bambini posseggono uno smartphone già dai 9/10 anni e lo usano benissimo, ne sono affascinati e afflitti, ne sono così tanto dipendenti da portarlo nel letto al posto del vecchio caro peluche addormentandosi con il cellulare in mano.

Lo scenario della dipendenza dall’utilizzo dello smartphone e conseguentemente dei social da parte dei bambini e degli adolescenti o come oggi si usa dire “dei giovani adulti” e “nativi digitali” è diventato sconcertante perché motivato nella stragrande maggioranza dei casi nell’assenza di comunicazione all’interno del micro cosmo familiare e dall’assenza di empatia con le figure genitoriali.

L’isolamento dei giovani dai modelli educativi li ha attirati verso gruppi di pari nei quali riconoscersi e con i quali condividere un “credo”, una “mission”, quella dell’”impresa speciale che lasci un segno indelebile nella memoria della società’”, non preoccupandosi che la diffusione di questo segnale è legato alla morte, all’orrore, al pericolo e alla sofferenza.

Il cyberbullismo o bullismo elettronico è definito come un atto aggressivo, intenzionale condotto da un individuo o un gruppo usando varie forme di contatto elettronico, ripetuto nel tempo contro una vittima che non può facilmente difendersi (Smith, P. K., del Barrio, C., & Tokunaga, R. S., 2013). Esso ha però delle caratteristiche identificative proprie: il bullo può mantenere nella rete l’anonimato, ha un pubblico più vasto, ossia il Web, e può controllare le informazioni personali della sua vittima.

Ecco come si concretizza.

E’ nata purtroppo una” passione per i giochi pericolosi” tra i quali il più noto e diffuso é la “Blue Whale Challenge”, gioco infernale nato molto probabilmente dal suicidio di Rina Palenkova che su VKontakte, un social diffuso in Russia, ha documentato passo dopo passo, con foto e video, il suicidio della fanciulla a soli 16 anni.

Il nome balena blu o balena azzurra è ispirato al comportamento tipico delle balenottere azzurre che, ad un certo punto della loro vita si spiaggiano e muoiono in solitudine poiché sono esemplari che si sono persi e non riescono a tornare dal gruppo di origine.

Moltissimi giovani adulti e adolescenti sono stati attratti sul web dal gesto folle e incomprensibile compiuto dalle sedicenni tanto da costituire e far proliferare gruppi sulla rete Web su cui circolano notizie, informazioni e foto inquietanti che inneggiano alla morte e al suicidio.

Il macabro gioco al massacro da condividere in rete si svilupperebbe così: Un leader detto “curatore”, attraverso i social prospetta ai giovani partecipanti una serie di prove, la condizione per aderire è tenere all’oscuro di tutto i genitori. Le prove consistono nell’adempiere a 50 precetti di natura autolesionistica, uno al giorno, sempre più articolati in un crescendo fino al suicidio che rappresenta l’ultima regola la 50esima. Al cosiddetto “curatore o tutor” devono essere giornalmente

fornite le prove che confermano l’esecuzione delle regole e che consistono in video, foto e testimonianze

Vi sono altri due giochi diffusissimi e molto pericolosi uno è Pull a Pig e l’altro Rodeo Fat Girls.

I giovani adulti organizzano dei giochi che coinvolgono la sfera emotiva e sessuale come il Pull a Pig (letteralmente “inganna un maiale”): inerente un comportamento sadico nei confronti delle ragazze, denigrate per il loro aspetto fisico e la loro fragilità emotiva.

Un gruppo di ragazzi prende di mira una giovane, scegliendo solo quella ritenuta meno attraente e uno tra loro mette in atto un falso corteggiamento per “spezzarle il cuore” svelando solo dopo diverso tempo, che si è trattato di uno “scherzo” tra amici uscendo allo scoperto con un messaggio telefonico: You’ve been pigged”: tradotto “sei stata piggata”.

L’altra versione consentiamoci di dire “sadica” di tale gioco é quella chiamata Rodeo Fat Girls, in cui la vittima viene scelta tra le ragazze più in sovrappeso e vince al termine del gioco chi è riuscito letteralmente “a portare a letto la “peggiore di tutte”. 

Questi giochi che colpiscono anche la sfera sessuale pare arrivino il primo dall’Inghilterra mentre il secondo sembrerebbe essere americano.

Oggi pare che solo in Russia annualmente 1500 ragazzi ogni anno si levino la vita, ma il fenomeno non è così distante da noi, poiché in Italia e addirittura in Bari si sta diffondendo come un volano.

Secondo un’indagine della Società italiani di pediatria il 15% degli adolescenti tra i 14 e i 18 anni in Italia si è procurato autolesionismo per provare sollievo.

Sono agli onori della cronaca i suicidi di alcune ragazzine italiani di tredici/quattordici anni inserite in questi gruppi di pari che con determinazione e attività di lavaggio del cervello e manipolazione mentale mettono in atto dinamiche di istigazione o induzione al suicidio.

Nella mia attività forense di avvocato penalista e criminologa esperta in prevenzione dei crimini violenti e dinamiche settarie ma soprattutto con le attivita’ seguite con FERMICONLEMANI ho assistito nell’ultimo anno alla disperazione di diverse coppie di genitori che sentono fallito il loro modello educativo e che chiedono aiuto alle istituzioni per preservare le giovani vite dei loro figli coinvolti in dinamiche di cyberbullismo che quotidianamente praticano il “Cutting”.

Stiamo assistendo a questo inquietante fenomeno giovanile Cutting termine inglese che deriva da to Cut (tagliare, ferire) messo in atto da giovanissimi che si feriscono la pelle delle braccia o di altre parti del corpo perché dà la sensazione di avere un estremo controllo della loro vita.

I procedimenti penali e civili che ne conseguono coinvolgono oltre i Magistrati anche numerose figure professionali, tra cui psicologi, educatori dei minori, curatori dei minori, assistenti sociali, neuropsichiatri infantili, avvocati, criminologi, organi di pubblica sicurezza, consultori familiari, un vero pool di professionisti che si coordinano per far emergere non solo la verità dei fatti e degli eventi, ma per supportare i minori che tentano il suicidio e le famiglie che devono percorrere una fase di affiancamento psicologico e di recupero del rapporto genitore/figlio.

Mi sento di riferire a tutti i genitori che si dovessero accorgere che i propri figli si isolano continuamente, che preferiscono sempre e solo il web al calore della famiglia ma soprattutto che scorgono tagli ricorrenti su varie parti del corpo, di chiedere immediatamente supporto e aiuto a tutti gli enti competenti, di avvisare immediatamente le strutture scolastiche e di affidarsi solo a professionisti esperti e specializzati nello studio, nello sviluppo e nell’assistenza di tali dinamiche.

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Organizzazioni criminali: quale ruolo hanno le donne?

Lo scorso 5 marzo abbiamo organizzato un’iniziativa online dal titolo “La conferenza donne al potere: ruolo delle donne all’interno delle organizzazioni criminali”, con l’obiettivo di analizzare con addetti ai lavori lo stato dell’arte sulla condizione femminile in contesti criminosi.

Durante la conferenza sono intervenuti relatori di pregio: il Prof. Matteo Villanova, Dirett. Osservatorio Laboratorio Tutela Rispetto Emozionale Eta’ Evolutiva, Docente Universitario “ROMA 3” -Roma; la Prof.ssa Maria Antonella Pasculli, PhD Criminal law and Organized crime, Docente di criminologia Univ. “Aldo Moro”- Bari, socia A.D.G.I. Sez. Bari, l’Avv. Michele Laforgia, Avvocato penalista, Partner di Polis Avvocati S.T.A. Coop; il Dott. Francesco Mura Giornalista, Scrittore, Direttore trasmissione tv e rivista “Delitti e Misteri”; l’Avv. Guglielmo Starace, Presidente Camera Penale di Bari.

Il Presidente di fermiconlemani, Tiziana Cecere, ha introdotto e moderato la tavola rotonda: “Abbiamo avuto importantissima opportunità, quale di affiancare agli interventi dei professionisti, la emozionante testimonianza dell’On. Piera Aiello raccolta dalla Dott.ssa Ivana Ancona, psicologa clinica e della salute, socia di Fermiconlemani”.

L’On.le Piera Aiello nel 1985 aveva diciotto anni e fu costretta a sposare Nicola Atria, figlio del mafioso partannese Vito Atria. Vito Atria fu ucciso nove giorni dopo mentre il figlio Nicola Atria fu poi ucciso il 24 giugno 1991, in presenza sua e della figlia di tre anni. A seguito di quest’evento, Piera Aiello decise di denunciare i due assassini del marito e iniziò a collaborare con la polizia e la magistratura, unitamente alla cognata Rita Atria, con il giudice Paolo Borsellino. Da allora ha vissuto con un’altra identità, fino alle elezioni del 2018. Il Presidente di Fermiconlemani : “Il racconto dell’ esperienza personale di Piera Aiello, ha  proposto un momento di confronto per riflettere sul ruolo della donna nelle organizzazioni mafiose, tema di grande attualità e rilevanza, specie alla luce delle trasformazioni che si sono recentemente registrate nel “sistema di genere” all’interno della criminalitaàorganizzata“.

Gli studi dedicati al ruolo della donna nella mafia accompagnati da esempi di storie vere ci rivela come la condizione delle donne all’interno del sistema mafioso oscilli tra complicità, responsabilità e vittimizzazione intesa come subordinazione e sfruttamento. Fermiconlemani vuole offrire una nuova direzione da intraprendere con il progetto “IMPARA A DIRE NO” che ingloba attività teoriche e di sensibilizzazione ad attività pratiche di assistenza e recupero sociale rivolto alle donne che vogliono affrancarsi dai contesti mafiosi.

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Dipendenze affettive e narcisismo: donne che rincorrono i lupi

Il corso si è tenuto a gennaio 2021 ed è stato orientato ad individuare il significato di narcisismo, le sue origini e le più note teorie, a tracciare il profilo della personalità narcisistica negli aspetti personali e interpersonali.

L’iniziativa ha avuto le finalità di fornire strumenti, linee guida, spunti di riflessione e sostegno per chiunque entri in contatto con una personalità narcisistica analizzando il funzionamento narcisistico di personalità, focalizzandosi sull’autostima e sulla disregolazione emotiva.

La metodologia dell’incontro si basa sulla partecipazione attiva: i temi sono trattati valorizzando le esperienze personali, le opinioni, i punti di vista, le emozioni dei partecipanti.

Il planning dell’incontro prevede attività motivazionali, potenziamento dell’autostima, introduzione al narcisismo dalle origini ad oggi, individuazione di linee guida per riconoscere un narcisista, strumenti di sostegno per gestire una relazione con un narcisista, spunti di riflessione su come evitare una relazione con un narcisista, miglioramento delle relazioni tramite l’empatia, confronti sugli strumenti legali di tutela, analisi dei casi di crimini violenti, racconto di esperienze personali.

I professionisti coinvolti sono psicologi, psicoterapeuti, esperti in comunicazione, criminologi, pedagogisti, donne con la propria esperienza personale. Il presidente di Fermiconlemani, Tiziana Cecere: “ L’ultima edizione si è tenuta il 22 gennaio 2021 ma ogni edizione rinnovata del workshop “Donne che Rincorrono i Lupi” è sempre speciale e colma di scambi professionali, di emozioni ed evoluzioni personali delle partecipanti e dei partecipanti. Esatto, ho detto proprio “partecipanti” perché anche gli uomini sono molto interessati. I discenti durante il workshop imparano a riconoscere il narcisismo patologico e quello funzionale per la nostra autostima.”

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Manipolazione mentale: intervista a Lorita Tinelli

Cosa si intende e come si applica la manipolazione mentale? Soprattutto, rivolta alle donne che in questo momento storico stanno sopportando il peso maggiore. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Lorita Tinelli, psicologa, criminologa ed autrice di diverse pubblicazioni.

Quando si parla di donne al tempo del covid viene in mente la super eroina Wonder Woman. Si, perché nell’ultimo anno sulle donne è andato il peso maggiore di questa situazione, si sono occupate dell’impeccabile ordine e igiene della casa, hanno accudito figli e mariti, hanno svolto le mansioni di docenti scolastiche e hanno dovuto lavorare in smart working. Insomma, le donne ai tempi del COVID 19 sono state davvero messe a dura prova e purtroppo moltissime hanno deciso di abbandonare il lavoro. Appunto parlando di smart working si è dato quasi per scontato che far conciliare la gestione della famiglia e del lavoro fossero problemi solo delle donne in particolare mamme. Ciò non crea più di tanto sgomento evidentemente poiché pare che il 27% delle donne lasci il lavoro dopo la nascita del primo figlio.

Da dati raccolti da Agenda 2030 Asvis : in Europa la percentuale di donne inattive a causa di impegni di cura familiari ha raggiunto il 31%, con un peggioramento negli ultimi dieci anni.

Se l’associare la cura dei figli e della casa debbano essere attribuite secondo l’opinione ricorrente, per predisposizione naturale alle donne: tale affermazione da un punto di vista dell’evoluzione della vita familiare, ci farebbe fare un salto indietro di almeno cinquant’anni. Eppure dal 2011 al 2017, ben 165.562 donne hanno lasciato il lavoro specialmente per le difficoltà di gestire lavoro e bambini in tenera età. Purtroppo il trend è ancora in aumento: erano 17.175 nel 2011 e nel 2017 sono salite a 30.672. In Italia i dati dell’Ispettorato del Lavoro su base nazionale relativi al 2017 riportano che : Tre su quattro donne che hanno lasciato il lavoro  il 77 per cento del totale sono mamme. Eppure gli esempi da altri paesi europei sono diversi, infatti nei paesi dove le donne lavorano di più, come Francia e paesi nordici, nascono anche più bambini. Paradossale pensare che in Italia per radice culturale e sociale esista ancora uno sbilanciamento uomo/donna tra la distribuzione dei compiti uomo/donna all’interno della famiglia. Basti sapere che il 51/% degli italiani ritenga che le donne debbano occuparsi dei figli e della casa e ciò fa si che praticamente gli uomini nel lavoro procedano più veloci rispetto alle donne. Gli economisti delle università di Cambridge, Oxford e Zurigo  hanno estrapolato una statistica: sia le madri lavoratrici che quelle disoccupate impegnano circa sei ore a fornire assistenza all’infanzia e istruzione ogni giorno, invece gli uomini valutati come padri medi trascorrano a casa poco più di quattro ore nel fare la stessa attività.

Tale abisso nel divario di genere è stato rafforzato durante la pandemia diventando più frequente e quasi normale nelle famiglie con reddito alto, dove solitamente si preferisca che sia l’uomo a lavorare poiché maggiormente retribuito. Tale atteggiamento agli occhi di molti e soprattutto degli esperti di fenomeni sociali ha dato impulso all’osservazione del fenomeno e alla sua tracciabilità sotto il profilo storico partendo da dati statistici certamente collegati al più noto negozio giuridico : il matrimonio. Da una raccolta dati dell’ISTAT nel 2015 si sono celebrati 194.377 i matrimoni celebrati, un’impennata rispetto al periodo di riferimento dell’anno 2008 che è stata mantenuta anche nel 2016 nel 2017. Risulta che in Italia le donne nonostante raggiungano in tempi brevi la laurea e in misura maggiore degli uomini, gran parte delle stesse ambisca al matrimonio come tappa della vita “quasi obbligatoria” e ad un certo punto come si suol dire “richiedono l’anello mancante” dimenticando tutti i sacrifici fatti in passato nello studio e nel lavoro e, a volte, mettendo da parte loro stesse. Da quanto suddetto ci chiediamo come mai ad un certo punto della loro vita le donne legate sentimentalmente ad un uomo poco prima del matrimonio o durante “mollano” il lavoro.

Dobbiamo pensare che nel 2020 per gran parte delle donne sia impossibile far combaciare una vita professionalmente appagante, l’ambizione e la carriera con la gestione della famiglia o anche semplicemente con il desiderio di farsela? Negli ultimi mesi molte donne sembra siano state obbligate a fare una scelta: a causa dell’emergenza CODIV 19 le donne madri, mogli e lavoratrici non c’é l’hanno fatta da sole a gestire tutto e hanno abbandonato la carriera. Allora occorre affrontare l’argomento per dare una spiegazione convincente e per capire se dietro tali modus operandi si celino scelte personali o imposizioni. Tutti sia uomini che donne siamo alla ricerca dello stato di benessere e felicità nelle diverse aree della nostra vita, soddisfacendo i nostri bisogni emotivi, psicologici e mentali più profondi ma sarebbe utile comprendere nelle relazioni di coppia il rispettivo approccio della grande maggioranza degli uomini e delle donne in relazione al condizionamento dei pensieri sociali, storici e dei retaggi culturali ancora esistenti. E’ demotivante pensare che dopo tante lotte messe in atto da movimenti a tutela delle donne per acquisire diritti nella società e spazi negli ambiti professionali i concetti di libertà ed indipendenza non siano poi del tutto veri.

Sicuramente la scelta di molte donne dai 30 ai 40 anni che abbandonano una carriera anche spesso importante e soddisfacente conquistata con sacrifici per dedicarsi esclusivamente alla famiglia senza un motivo concreto visibilmente (es. senza parenti anziani da accudire, senza lutti da metabolizzare,  senza particolari problemi personali da affrontare…) desta moltissime perplessità agli occhi degli esperti poiché per l’opinione pubblica accudire i figli e gestire la casa non è considerato un lavoro produttivo però lo è ed entra nel calcolo del PIL se tale lavoro viene espletato da una baby sitter o da una colf. Tale fenomeno apre la breccia a numerosi interrogativi che meritano risposte soddisfacenti e anche ad analisi sotto un profilo sociale, psicologico, criminologico, economico e storico da parte di esperti considerando che nelle relazioni di coppia il rapporto sovente non è paritario ed equilibrato. Dunque le ragioni culturali e di educazione secondo il ruolo di genere nel nostro paese pongono l’uomo nella posizione di essere ammirato dalla propria compagna, concentrandosi sulle ambizioni e sulle performance lavorative solo sotto il profilo maschile. Può essere che le donne patiscano tali condizionamenti in un contesto sociale ove ancora alle donne è richiesto il ruolo di donne compassionevoli bisognose di appoggio e protezione e che vengano spesso influenzate dall’uomo nella scelta della loro vita professionale e privata perché orientate a pensare : “quanto è bello e bravo e capace l’uomo sottostimando il loro valore e la loro intelligenza di donne.

Abbiamo voluto approfondire il tema sotto un profilo più specificatamente psicologico legato anche alla manipolazione mentale che molte donne subiscono, chiedendo un parere alla Dr.ssa Lorita Tinelli, psicologa ad indirizzo clinico, criminologa, studiosa delle dinamiche di manipolazione mentale e autrice di diversi libri e articoli sull’argomento, fondatrice del C.E.S.A.P. Centro Studi Abusi Psicologici.

Chiediamo alla Dr. Lorita Tinelli:

D:“quali sono le tipologie di donne più inclini a subire il condizionamento psicologico dell’uomo, nelle relazioni di coppia?”

R: Dacia Maraini nella prefazione del testo della psicoterapeuta Robin Norwood “Donne che amano troppo”, nell’edizione economica della Feltrinelli, esprime una lucida considerazione sulle motivazioni che spingono una donna a vivere una relazione “alterata” dal punto di vista affettivo. Una favola tormentata, basata sulla negazione e sul controllo, piuttosto che sull’accettazione.

La Maraini sostiene che le donne, per ragioni storiche, sono più portate a “pensare male di sé”. E’ stato loro insegnato che sono deboli, dipendenti per natura, paurose, fragili, bisognose di protezione e di guida. Alcuni di questi insegnamenti, per quanto superati, sono entrati a far parte dell’inconscio femminile. Tuttavia, quello che maggiormente influenza negativamente le relazioni sentimentali, compromettendole, sono le esperienze di attaccamento con una famiglia disfunzionale, dove nessuno si è curato dei bisogni emotivi dell’altro. Il mancato vissuto di un affetto autentico trasforma la donna in una dispensatrice di amore e cura da riversare a coloro che sembrano in uno stato di bisogno, relegandola nel ruolo di “crocerossina”. Inoltre, la paura dell’abbandono le farà fare qualsiasi cosa per impedire che quella relazione possa finire, anche quella di aspettare, sperare, continuare di sforzarsi di piacere, assumersi più del 50% delle responsabilità, colpe e biasimo della relazione ed anche a rinunciare a qualsiasi tipo di autonomia.

In queste donne l’autostima è talmente bassa da far credere di non meritare di essere felici e realizzate, ma che piuttosto bisogna guadagnarsi il tutto, sempre, anche con delle rinunce.

Tutto questo porta inevitabilmente a vivere dinamiche di violenza psicologica e fisica

D:“quali sono i meccanismi che alcuni uomini mettono in atto nella relazione amorosa per convincere la donna di non aver valore e di non essere in grado di gestire la famiglia e il lavoro?”

R: Le tecniche di condizionamento vengono praticate con mezzi materiali o psicologici e sono finalizzate a porre la vittima in uno stato di soggezione che escluda o limiti la sua libertà di autodeterminazione. Possono essere usate pressioni psicologiche, come minacce, suggestioni, indottrinamenti, ma anche induzioni di sensi di colpa. La colpa è una delle motivazioni principali per le quali le donne accennano relazioni disfunzionali con uomini altrettanto patologici. Ma anche l’isolamento. Essa è una modalità molto utilizzata che consiste nel far interrompere o raffreddare tutti i contatti sociali e affettivi della vittima, in modo che essa sia sempre più vulnerabile e senza possibilità di aiuto.

Tutto questo indebolisce, giorno dopo giorno, la vittima, distruggendone completamente l’autostima e rendendola sempre più dipendente dalla relazione.

 D.“si possono inquadrare in caratteristiche particolari sotto un profilo psicologico gli uomini che mettono in atto tali comportamenti?”

R: Il manipolatore affettivo è una persona centrata su se stessa e sui suoi bisogni, che mette in atto una serie di strategie per mantenere il controllo del suo territorio e della sua preda. Comunica con le sue vittime in maniera confusa e ambivalente, spesso sarcastica e allusiva. Ma è anche capace di momenti di love bombing. Il tutto confonde la vittima che attiva inevitabilmente tutta una serie di risposte volute dal manipolatore, tali da diventarne dipendente.

D.“le tecniche di manipolazione mentale in cosa consistono e in queste può rientrare anche il  “mansplaining ?”

R: “le tecniche di manipolazione si prefiggono di rendere acquiesciente una vittima e farla rientrare in un rapporto di dipendenza, dove il carnefice ha il controllo di tutto. Alcune delle tecniche più comuni, già citate in queste pagine sono il love bombing, l’induzione di sensi di colpa e l’isolamento. Altre riguardano il controllo delle informazioni cui può accedere la vittima, una incessante ripetizione di concetti e regole da seguire, ricompense e punizioni rispetto a comportamenti accettati o meno dal carnefice. Il mansplaining, termine coniato dalla scrittrice Rebecca Solnit, indica un atteggiamento ‘paternalistico’ che spesso gli uomini utilizzano per spiegare alle donne cose che ormai loro sanno. Esso di sicuro è un rafforzativo della dinamica manipolatoria agita, in cui vengono maggiormente definiti i differenti poteri delle parti in gioco”.

La Dr.Lorita Tinelli ha offerto un prezioso contributo in questo articolo e con la sua partecipazione alla Conferenza Webinar “Sceglie Me o il Lavoro-Le donne che barattano il lavoro con l’amore- Tecniche di Manipolazione Mentale”, tenutasi il 4/6/2020 , alle ore 18:30, sulla pagina dell’A.P.S. Fermiconlemani, insieme alla scrivente Avv. Tiziana Cecere (Pres. Di Fermiconlemani), all’Avv. Giuseppina Di Nubila (Giudice di Pace presso il foro di Bari), l’Avv. Feliciana Bitetto (Pres. A.D.G.I. Associazione Donne Giuriste Italiane di Bari) durante il cui incontro è stato analizzato approfonditamente il fenomeno segnalato in questo articolo in una prospettiva di controllo delle relazioni tossiche e disfunzionali per prevenire i crimini violenti nelle coppie e nelle famiglie.

Ogni volta che una donna lotta per se stessa, lotta per tutte le donne . “(Maya  Angelou)

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Selfie: chi sono i sensation seeker e quali rischi corrono gli adolescenti

Lanciamo un monito a tutti i genitori affinché vigilino sulla mania da selfie che potrebbe colpire i propri figli, in quanto indice di una potenziale patologia. Si chiamano sensation seeker e sono i cercatori di emozioni forti, disposti anche a correre rischi per ottenerle.

Abbiamo analizzato il fenomeno proprio dei selfie perché spesso siamo difronte ad una mania, altre volte addirittura sembrerebbe nascondersi una vera e propria malattia. Ad affermarlo è un gruppo di ricercatori della Nottingham Trent University e della Thiagarajar School of Management a Madurai in India. A dire degli studi effettuati, questo nuovo disturbo mentale presenta diversi livelli di gravità.

Il primo detto borderline, quello più lieve, chi soffre di selfite si scatta almeno tre selfie al giorno senza pubblicarli sui social network. Invece chi risulti affetto da selfite acuta si fotografa almeno tre volte al giorno e le pubblica sui social, ma ben più grave risulta la selfite cronica fattispecie in cui i selfie diventano vere e proprie ossessioni incontrollabili e ingestibili. Tanto è vero che da ricerche statistiche gli amanti delle reti sociali pubblicano un selfie almeno una volta a settimana, per il 63% una volta al giorno, nel14% dei casi e più volte al giorno, nel 13% dei casi ogni 2/3 ore. La pubblicazione del selfie sul web deve raggiungere il miglior risultato possibile in termini di consensi con like perciò pare che la gran parte degli appassionati scatti almeno 4 selfie prima di procedere alla pubblicazione.

Ci siamo chiesti il perché. Quali sono le motivazioni che spingono gran parte degli amanti del web e dei social network a ritrarsi in selfie con commenti forbiti e spesso accattivanti e maliziosi?

Viviamo in un era ammalata di esibizionismo e di affermazione della propria identità evidentemente compromessa da carenza di stima in se stessi e delle proprie capacità. Nell’era dell’”accelerazione delle emozioni” diventa prioritario seguire le tendenze in voga al momento e fare quello che fanno tutti gli altri per timore della riprovazione sociale, dell’esclusione, si esprime la necessità di affermazione della propria identità esponendosi in pubblico con immagini. Probabilmente considerare “la mania del selfie” una malattia mentale potrebbe risultare un po’ esagerato ma d’altronde fare troppi selfie pare celi delle insicurezze e un costante grande bisogno di ricevere conferme dagli altri. Ma lascio la parola agli esperti di psicologia che potrebbero valutare se dietro all’autoscatto eccessivo potrebbe nascondersi qualche problematica più o meno grave, di natura psicologica. Ciò su cui dobbiamo focalizzare l’attenzione é che la comunicazione dei social network e l’aumento dei selfie sono diventati parte integrante della vita quotidiana dei teenager. 

I teenager di oggi i cosiddetti “Millennials” con data di nascita compresa tra il 1980 e il 2000, come scrive il Time rappresentano una generazione di narcisisti la cosiddetta: ^Me Me Me Generation^. Questi adolescenti dei tempi moderni sono appassionati di sensazioni forti dette sensation seeker (alla lettera: cercatore di sensazioni) si riferisce a un tipo di personalità in costante ricerca di sensazioni nuove e intense, unita alla disponibilità a correre rischi per ottenerle. Tali individui non cercano il rischio di per sé, esso è però una conseguenza del fatto che le sensazioni più forti possono essere sperimentate, spesso, solo in situazioni estreme. Ciò che il seeker non sopporta è la noia. È come se queste persone avessero una soglia della noia tarata su un livello molto basso, potendo restare solo un breve tempo senza attivarsi per scrollarsela di dosso. Sempre alla ricerca dell’ultima novità, dell’ultima release di vissuto inebriante, del modo migliore per ridurre la prevedibilità nella propria esistenza. Il seeker è insomma un impaziente.

Da ciò va da sé che due adolescenti su tre sono vittima di cyberbullismo e un teenager su quattro pubblica almeno un selfie al giorno e ben il 35% dei giovani ammette di aver fatto un selfie in condizioni di rischio, estreme, altamente pericolose, come alla guida dell’autovettura, del motorino o in bilico sul terrazzo di un grattacielo. Gli esperti dello studio delle condotte criminali certamente non sottovalutano che negli ultimi 5 anni sono aumentati vertiginosamente i furti di identità digitale sui social, la detenzione di materiale pedopornografico, il reato di stalking, il reato di diffamazione online, il reato di minacce e molestie, e di “sextortion”: una richiesta di denaro estorsiva con ricatto dopo l’invio di fotografie che ritraggono la vittima in pose osé.

Sono aumentate le vittime di cyberbullismo e le vittime quali minori di reati contro la persona (dai 14 ai 17 anni).

Strano ma vero, purtroppo molti utenti del web credono che tutte le azioni “apparentemente semplici e inoffensive” messe in atto nella rete, in particolare sui social network come inviare messaggi, postare foto, commenti, notizie o intrattenere relazioni virtuali, siano un gioco, una sorta di passatempo privo di ogni rilevanza giuridica ed emotiva, sottovalutandole erroneamente. I risultati tratti dalle statistiche sono davvero inquietanti e ciò deve sollecitare i professionisti addetti alla prevenzione dei reati in particolare di quei reati ai danni dei bambini e degli adolescenti a valutare, studiare e offrire alle famiglie e agli educatori spunti e riflessioni e sensibilizzazioni per arginare i fenomeni causati dall’utilizzo distorto della rete facendo rivalutare ai giovani la propria quotidianità rispetto alla vita virtuale.

Da tale modalità di prevenzione nasce l’idea di creare “progetti specifici” come “Cosa aspiri a diventare” per la prevenzione dei crimini violenti tra i giovani e delle condotte a rischio adolescenziali, nella sensibilizzazione a ridurre l’abuso di stupefacenti e di alcool, e in stretto collegamento in particolare alle ultime due dinamiche anche nella prevenzione degli incidenti stradali. Fermiconlemani é un’associazione di promozione sociale, formata da un team di professionisti, quali educatori dei minori, pedagogisti, psicologi, psicomotricisti, avvocati e criminologi che si impegna tra le attività nella valutazione e analisi delle sensation seeker coordinati tutti nell’impegno prioritario di diffondere un pensiero di rallentamento e controllo delle emozioni forti e di aumento di consapevolezza del sé e delle identità degli adolescenti. Se non è facile essere genitori ai tempi dei social media, certamente diventa complicatissimo ai tempi del COVID 19 e certamente non possiamo pensare che la soluzione sia eliminare i social dalla vita dei propri figli, risolvendo così il problema alla radice anche perché paradossalmente in questo delicato periodo rappresentano un contatto con il mondo “oltre le mura domestiche”. L’indicazione generale è che sarebbe sempre meglio ritardare il momento di collegamento dei bambini con la rete informatica e i social lasciarli vivere la loro infanzia slegati dalle tecnologie digitali: avranno una vita intera per vivere il web, e prima o poi arriverà il momento in cui non si potrà negare loro di aprire un profilo Facebook o Instagram. Quando quel giorno arriverà, sarà meglio che siano prepararti e ben consapevoli di cosa hanno di fronte.

Occorre, pertanto, un’adeguata informazione nella materia in questionein primis con riferimento agli adulti: oltre a sensibilizzare i giovani all’uso corretto delle proprie immagini in rete, è altrettanto importante educare i genitori, che spesso creano identità digitali ai loro figli – totalmente inconsapevoli – senza preoccuparsi delle ripercussioni future di tale gesto. Ci si trova di fatto al cospetto di una vera e propria ‘nuova frontiera’ del Diritto di Famiglia. Diventa per questo fondamentale il sostegno dei genitori nell’accompagnare i figli in questo percorso, cercando di comprendere insieme a loro limiti e opportunità, rischi e pericoli, senza la paura di far emergere le criticità insite in questi nuovi media. I genitori sono chiamati a rispondere ad una delle sfide più importanti dei nostri tempi: educare i propri figli all’utilizzo dei nuovi media. Perché se, a volte, in questi luoghi virtuali, che sono oramai un’estensione delle nostre vite reali, “comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Riteniamo che la famiglia che si trovi ad affrontare l’educazione rappresentata anche dalla gestione di emozioni, affettività, sessualità, non possa essere lasciata sola nell’affrontare questioni delicate. 

Avv. Tiziana Cecere, presidente “Fermi con le mani”

Dr.ssa Tamara De Luca, vicepresidente “Fermi con le mani”

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Il nostro nuovo sito

Benvenuti sul nostro nuovo sito, il luogo immateriale dell’associazione “Fermi con le mani” che promuove azioni e campagne per il contrasto alla violenza in tutte le sue forme e declinazioni.

Ci sembrava giusto creare una casa anche online dove far confluire tutte le richieste e le domande che possano avere i nostri naturali interlocutori. Mettere su un’associazione che combatte la violenza non vuol dire occuparsi solo di fatti delittuosi, per quanto terribili. Significa promuovere una cultura fondata sul rispetto reciproco, innanzitutto.

Così, un gruppo di amici ha deciso di mettere in comune la propria voglia, le competenze e le professionalità per un fine superiore, quello di sconfiggere la violenza in ogni sua forma, che sia fisica o psicologica. Anche nei nuovi spazi della socialità come il web, all’interno delle piattaforme virtuali che di virtuale non hanno nulla perché gli effetti sono reali sulla vita delle persone.

Nessuno pensi che ciò che accade sui social network non abbia un impatto nella vita fuori dalla piattaforma ed i tanti casi di cronaca ce lo hanno dimostrato in più occasioni, purtroppo. Persone colpite, bersagliate e umiliate online hanno compiuto gesti estremi offline, fino a perdere la vita.

Se anche tu sei stanco di tutto questo, unisciti a noi.