Giulia è morta. Uccisa di chi diceva di amrla.

Ieri si sarebbe laureata e invece giaceva sul fondo di un lago morta ammazzata.

Giulia Cecchettin è morta. È stato trovato ieri il corpo della 22enne sparita da una settimana insieme all’ex fidanzato, Filippo Turetta, ricercato e indagato per omicidio. Il cadavere della ragazza era nei pressi del lago di Barcis, in provincia di Pordenone, con addosso i vestiti che aveva al momento della scomparsa una settimana fa. 

Secondo la ricostruzione fatta dalla polizia, Filippo l’ha abbandonata al bordo della strada e l’ha lasciata rotolare lungo un dirupo per una cinquantina di metri, fino a quando il corpo di Giulia si è fermato in un canalone. 

Su Turetta pende un mandato d’arresto europeo firmato dalla Procura di Venezia. Ora si cerca l’auto, che è stata avvistata l’ultima volta a Linz (Austria), in Tirolo, domenica – e non mercoledì come era stato precedentemente detto. 

Giulia è la 105esima donna ad essere uccisa nel 2023. Filippo, il suo assassino, è stato definito da più parti “il classico bravo ragazzo”.

Un fenomeno complesso e multidimensionale che va sotto il nome di “teen dating violence” (TDV), una sigla per indicare fenomeni di violenza e/o molestia nelle relazioni sentimentali tra adolescenti si sta diffondendo ampiamente anche in Italia. La TDV comprende qualsiasi forma di abuso, sia fisico sia emotivo o sessuale, che si verifica in una relazione romantica durante l’adolescenza.

Studi recenti hanno esplorato la TDV applicando a una ricerca condotta su adolescenti il concetto di sessismo ambivalente, concetto già indagato per il tema più generale della violenza di genere tra gli adulti. Che cos’è lo diciamo parlando delle due forme principali – ecco perché si chiama ambivalente – con cui si manifesta e viene indagato: il sessismo ostile e il sessismo benevolo.

Il sessismo ostile è caratterizzato da atteggiamenti negativi e apertamente aggressivi nei confronti delle donne. Include le credenze che le donne siano inferiori agli uomini, che abbiano intenzioni manipolatrici o che siano in qualche modo meno capaci. Questo tipo di sessismo è più diretto e facilmente riconoscibile come discriminatorio. Il sessismo benevolo è più subdolo e mascherato da atteggiamenti positivi, si basa su idee stereotipate di protezione, idealizzazione e romantizzazione delle donne. Questa forma può sembrare lusinghiera in superficie, ma in realtà è persino più grave di quello ostile, in quanto di fatto perpetua la dipendenza e l’inferiorità delle donne, posizionandole in ruoli tradizionali e limitativi, e agisce potentemente sulle ragazze stesse.

Gli studi hanno mostrato come entrambe le forme di sessismo hanno un impatto significativo sul comportamento e le percezioni degli adolescenti. In particolare: gli adolescenti maschi possono essere maggiormente influenzati dal sessismo ostile. Questo può portare a giustificare comportamenti di controllo o aggressivi nei confronti delle ragazze, vedendo le relazioni attraverso una lente di potere e dominio. Il sessismo ostile può anche condurre alla normalizzazione della violenza e a un’errata interpretazione del consenso nelle relazioni romantiche. Dall’altro lato, per le ragazze, il sessismo benevolo può essere più insidioso. Esso può influenzare la loro autopercezione e il modo in cui accettano il trattamento da parte dei partner maschili. Le ragazze possono arrivare a giustificare comportamenti controllanti o limitativi come segni di “cura” o “attenzione”, accettando e normalizzando così dinamiche relazionali sbilanciate.

Capite bene come la conoscenza del fenomeno è cruciale per qualunque tipo di intervento che voglia affrontare la violenza di genere tra gli adolescenti. Ciò implica un lavoro specifico nell’educare i giovani all’uguaglianza di genere, al rispetto reciproco e alla costruzione di relazioni basate su principi di consenso e parità.

Da anni la nostra associazione sperimenta sul campo l’efficacia di interventi educativi mirati a contrastare il sessismo tra gli adolescenti, sperimentando come i programmi scolastici e specifiche metodologie educative possano svolgere un ruolo chiave nella prevenzione e nel contrasto della violenza e degli stereotipi di genere.

Molti adolescenti sono regolarmente esposti a varie forme di violenza di genere, sia fisica che virtuale. Tuttavia, uno degli aspetti più preoccupanti è la difficoltà che questi incontrano nel riconoscere la violenza di genere come tale, in un’età in cui le relazioni interpersonali iniziano a diventare più complesse. Inoltre, gli stereotipi di genere radicati e le norme sociali possono offuscare la percezione di ciò che è accettabile e ciò che non lo è in una relazione, conducendo a una normalizzazione di comportamenti che, in realtà, sono abusivi o discriminatori.

È dunque essenziale che le scuole, le famiglie e le comunità lavorino insieme per fornire ai giovani le competenze e le conoscenze necessarie per identificare e contrastare la violenza di genere. Questo implica non solo l’educazione sui diversi tipi di violenza e sui loro segnali di allarme, ma anche la promozione di un dialogo aperto e onesto sul rispetto reciproco, sul consenso e sulle relazioni sane, sempre che le scuole, le famiglie e le comunità siano preparate a farlo; e qui entra in campo la necessità di formare e informare gli adulti di riferimento, soprattutto gli educatori, sui temi di cui stiamo trattando.

Fermiconlemani continuerà instancabilmente a battersi affinché vi sia un’attenzione più profonda e strutturale su questi aspetti, che raccolga le indicazioni normative europee, attraverso azioni educative e di prevenzione che vadano oltre la stupida e insostenibile vulgata “no gender o si gender” che ormai è una caricatura a uso di una popolazione per lo più disinformata, compresi gli operatori del settore.

Lo dobbiamo a Giulia Cecchettin, che ieri si sarebbe laureata e invece giaceva nel fondo di un lago morta ammazzata, lo dobbiamo a tutte le donne oggetto di violenza, lo dobbiamo affinché non accada più -e non è un’utopia-, ma lo dobbiamo anche ai Filippo Turretta -che sarà condannato e sconterà la sua pena-, affinché ve ne siano sempre meno.

Le cose possono, potevano e potrebbero andare diversamente se tutti assieme decidessimo di costruire una società differente.

Possiamo anche credere che Turretta sia un tipo tranquillo e non violento, come sostengono i suoi genitori, ma non c’entra nulla con quel che è accaduto, perché la violenza di genere investe meccanismi profondi, meccanismi di mascolinità dannosa introiettata. Filippo le voleva bene? In modo malato sì. La diciamo meglio: in modo stereotipato, un modo apparentemente normale ma che normale non è, perché trattasi di mascolinità dannosa; e a leggere i dati, ahimè, comune a troppi adolescenti e adulti. Trattasi di quella coltura-cultura che è la base della cosiddetta piramide della violenza ed è esattamente quella che dobbiamo smontare e polverizzare.

Prof. Pierfrancesco Impedovo, PhD

Quanti like valiamo? La legge dell’apparenza sui social

A cura del nostro socio fondatore Dott. Marco Magliozzi, psicologo-psicoterapeuta, esperto in criminologia.

Secondo recentissimi studi, pubblicati da Agcom e Audiweb, ognuno di noi passa in media su internet ben 6 ore al giorno (il 25% della propria giornata).

Nello specifico, due ore su sei sono dedicate all’utilizzo dei social network, come Facebook, Instagram, TikTok.

La matematica vuole quindi che il 12,5% della nostra vita sia virtuale, un tempo enorme dedicato esclusivamente a costruire un’immagine di sé, un alter ego, molto spesso, lontano dalla realtà e da chi siamo veramente.

La legge dell’apparenza

Volente o nolente, il mondo online, e nello specifico i social, hanno alimentato la legge dell’apparenza: le persone tendono a voler apparire migliori (o addirittura diverse) da come sono nella realtà.

Molti conoscono la serie televisiva Black Mirror, nella quale ogni puntata è ambientata in un futuro alternativo e distopico.

Nella puntata dal titolo “Caduta libera”, assistiamo a un mondo nel quale vige la legge della reputazione social: più una persona è popolare e ottiene like, più vantaggi e benefici avrà a livello sociale, come la possibilità di vivere in quartieri altolocati, acquistare auto di lusso, cenare in ristoranti stellati.

Una società, quindi, totalmente ossessionata dal giudizio esterno e nella quale gli altri hanno pieno potere sulle vite di altre persone. Con un solo like posso creare o distruggere la felicità del prossimo.

Un mondo nel quale vige la legge dell’apparenza, del finto complimento e dell’approvazione fine a sé stessa. Essere spontanei diventa un pericolo ed è quindi molto meglio fingere di essere qualcun altro, indossando una maschera.

Non è forse quello che, talvolta, accade nella nostra società attuale?

I social odierni, infatti, strumentalizzano la fidelizzazione dell’utente attraverso la gratificazione che passa attraverso l’uso dei like.

Questo sistema rafforza, proprio a livello biochimico cerebrale, il comportamento della persona: pubblicare foto e video, ottenendo in cambio dei like, diventa quindi un modo per accrescere la propria idea di sé stessi e la propria autostima, creando nel tempo una vera e propria dipendenza psico-fisiologica. 

L’altro lato della medaglia è, purtroppo, che tutto ciò avviene solo virtualmente, in un mondo inesistente che potrebbe crollare da un momento all’altro.

La selfie dismorfia

Non solo like, ma anche selfie. I social sono il regno dei selfie, le foto scattate di sé stessi in primo piano, che simboleggiano la “perfezione” del momento, nascondendo difetti ed esaltando (o addirittura trasformando) i nostri pregi.

Gli esperti hanno però notato anche dei pericoli: si parla in questo caso di selfie dismorfia, ovvero una vera e propria ossessione per il selfie, che DEVE essere obbligatoriamente perfetto, onde evitare giudizi esterni o qualsivoglia critica.

La foto scattata diviene un biglietto da visita che deve essere inattaccabile e fonte di attrazione.

Ecco che, quindi, la spasmodica attenzione verso la perfezione potrebbe dare vita a un susseguirsi di comportamenti che, talvolta, si avvicinano al bizzarro:

  • ripetere una foto anche decine di volte, senza mai essere soddisfatti del risultato;
  • lamentarsi dell’amico/partner che scatta la foto perché secondo noi non è bravo/capace;
  • lamentarsi dei propri difetti che, sempre secondo noi, la foto mette in risalto;
  • focalizzarsi su alcuni difetti specifici, ad esempio: “ma che nasone che ho”, “no, questa foto no! Si vede che ho la pancia!”, “oddio che brutta foto, si vedono i fianchi grossi”.
  • preoccuparsi di quello che potrebbero pensare gli altri non appena guarderanno la foto pubblicata;
  • usare filtri che modificano, fino a rendere innaturale la foto, come ad esempio ringiovanire la pelle, ritoccare colore/luminosità ecc., cambiare il colore degli occhi e così via.

Non solo: la reiterazione di questo comportamento ossessivo rischia anche di trasformare, in negativo, la propria idea di sé stessi, generando una percezione falsata del proprio corpo, divenendo sempre più insofferenti e ipersensibili al giudizio esterno, diminuendo l’autostima e divenendo dipendenti dai complimenti degli altri. 

L’importanza della prevenzione e dell’educazione

L’adolescenza, ovvero il periodo della vita nel quale si entra a piè pari nel mondo social, è il momento giusto per poter fare prevenzione, sensibilizzando e informando i ragazzi sull’uso corretto della tecnologia.

Il messaggio importantissimo da inviare riguarda l’attenzione verso il mondo reale, sottolineando il concetto che i social sono soltanto una finestra virtuale, che non rispecchia assolutamente ciò che siamo veramente.

Tutte le critiche (o i complimenti) ricevuti online andrebbero sempre ridimensionati.

Troppe volte, ahimè, abbiamo assistito a tragedie, come ad esempio suicidi, dovuti all’impossibilità di sopportare la vergogna del giudizio social.

In ragazzi nei quali l’autostima è alta e il senso di sé non intaccato dal mondo online, questo non sarebbe accaduto.

L’associazione Fermconlemani ha, tra i suoi obiettivi, anche quello di guidare le nuove generazioni verso un sano utilizzo dei social network, facendo prevenzione non solo nelle scuole ma anche nelle famiglie.
Tanti genitori, purtroppo, danno il cattivo esempio, essendo loro stessi i primi a fruire dei social in maniera errata o scattando selfie in modo maniacale.
Per ritrovare l’equilibrio interiore e la consapevolezza di sé, come esseri umani, è quindi necessario comprendere come internet sia solo essenzialmente uno strumento tecnologico, nulla più.
La vita vera, reale, scorre ogni giorno lontano dagli smartphone e dai computer. Evitiamo di perderla e godiamoci ogni secondo.

Dott. Marco Magliozzi

Alcolismo: una dipendenza che genera violenza

L’alcolismo è una delle più gravi forme di dipendenza patologica, che può sfociare anche in episodi di violenza, verso sé stessi o il prossimo.

A cura di: Dott. Marco Magliozzi, psicologo e socio fondatore di Fermiconlemani

L’alcolismo, ovvero la dipendenza da alcol, è uno dei disturbi più diffusi nel mondo.

Secondo le stime, ne soffre il 4,1% della popolazione mondiale oltre i 15 anni!

Le persone con questa dipendenza assumono ingenti quantità di alcol, con conseguenze molto gravi sia sul fisico sia sulla mente.

Non solo: l’alcolismo è anche associato a numerosi sintomi comportamentali molto pericolosi, come guida in stato d’ebbrezza o gesti di violenza, fisica e verbale, verso sé stessi o il prossimo.

Arginarne le cause e lavorare sulla prevenzione risulta quindi essere di fondamentale importanza e l’associazione Fermiconlemani si impegna in tal senso, offrendo un sostegno multidisciplinare: psicologico, giuridico e sociale.

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Nella mente del branco! Stupri e violenze di gruppo

Un seminario per riflettere e tracciare strategie di prevenzione

Il prossimo 19 ottobre presso la biblioteca comunale di Modugno, si terrà un importante seminario organizzato da Ikos Ageform in collaborazione con la nostra associazione dal titolo “Nella mente del branco!”.

L’incontro che inaugura la stagione formativa 2024, vedrà fra i relatori oltre alla prof.ssa Daniela Poggiolini monumentale fondatrice della scuola Ikos, la nostra presidentessa Avv.ta Tiziana Cecere in qualità di esperta criminologa.

Il seminario, per il suo alto valore scientifico, gode dei patrocini dell’Ordine degli Avvocati di Bari (che concederà 2 CFU), dell’Ordine degli Psicologi della Puglia e del comune di Modugno che lo ospita.

Il nostro socio, Prof. Pierfrancesco Impedovo criminologo e giurista, illustra la genesi di questa iniziativa.

L’idea di questo tavolo di approfondimento nasce dall’allarmante escalation di episodi in cui il “branco”  è protagonista; tutti ricorderanno l’orribile stupro – tanto per citarne uno recente – ai danni di una diciannovenne da parte di sette ragazzi, alcuni dei quali minorenni, avvenuto a Palermo lo scorso 7 luglio. Nel cellulare di uno dei presunti autori è stato ritrovato il video della violenza che, come si sa, ha fatto il giro del web.

Lo scandalo, la riprovazione e l’allarme che ne sono seguiti hanno portato tutti noi a porci delle domande, costringendoci a riflettere su cosa stia accadendo. Perché, purtroppo, quelli avvenuti a Palermo non sono fatti isolati. Quotidianamente sui media passano notizie di ragazze e donne abusate in gruppo durante momenti che dovrebbero essere di spensieratezza e divertimento. Sembra delinearsi come un’emergenza che finora abbiamo ignorato e riguarda in modo trasversale molti ragazzi, italiani e non, che vivono sul nostro territorio e che si verificano ovunque nel nostro Paese.

Partiamo da un punto. Alla base di tutte queste violenze vi è sempre lo scatenarsi di un comportamento filogeneticamente primitivo di dominio e predazione del maschio sulla femmina, dove sesso e aggressione sono connessi. Questa disposizione viene a noi dai primordi della nostra evoluzione ed è radicata come possibilità, non certo come determinazione ad agire, nella parte più antica del cervello maschile. La connessione tra sesso e violenza è quindi una possibilità per ogni maschio umano, che viene favorita ed esaltata dal gruppo. 

Sulla base di quanto appena detto, entra in gioco anzitutto un meccanismo di contagio emotivo, tipico del gruppo e anche della folla anonima; esso porta i componenti a vivere in modo automatico e riflesso la stessa attivazione emotiva, che è in questo caso di aggressione e sesso. Basta che uno del gruppo inizi una violenza, e gli altri si comportano mimeticamente allo stesso modo, in un crescendo sfrenato di brutalità privo di consapevolezza. Alcuni individui, per età e caratteristiche personali, sono maggiormente incapaci di opporsi al contagio emotivo: sono quelli poco autonomi dal gruppo, e anzi molto conformisti e dipendenti da esso, quelli poco abituati alla riflessione personale su di sé (cioè a chiedersi: “Che cosa sto facendo? Perché?”) e a scegliere in modo autonomo. Molti non sono nemmeno in grado di riconoscere le emozioni che stanno provando: le agiscono soltanto. In questa condizione la vittima e la sua sofferenza non vengono neppure viste e tantomeno colte; diventa quindi impossibile ogni condivisione empatica, che porterebbe a bloccare l’aggressione.

Per questi motivi il ruolo degli adulti, come educatori, è essenziale. Le cronache ben evidenziano la difesa amorale dei propri figli, attraverso il noto meccanismo di colpevolizzazione della vittima; è uno dei numerosi meccanismi di “disimpegno morale” che permettono di non mettere in discussione un comportamento e anzi di giustificarlo. Il ruolo dei padri e delle madri è decisivo, perché è in famiglia che il bambino impara fin da piccolissimo il rispetto, o al contrario il disprezzo, per le donne nella quotidianità della vita di tutti i giorni. Nella società italiana, dove le madri sono molto presenti, le donne svolgono un ruolo determinante nel favorire indirettamente, con il loro comportamento e i loro giudizi, la prevaricazione maschile, dalle forme più lievi a quelle più gravi. C’è un grande responsabilità in questo senso delle donne come madri. Non si tratta solo di saper porre dei limiti al proprio comportamento impulsivo, ma di essere in grado di vivere con l’altro sesso una relazione veramente umana, fatta di sentimenti e di relazioni individualizzate, ben lontana dalla sopraffazione.

Vi è un drammatico abbandono educativo sui temi della sessualità e degli affetti da parte sia della famiglia, sia della scuola. Occorre anzitutto riconoscere, superando le molte resistenze al riguardo, che esistono nei maschi disposizioni primitive alla prevaricazione che non vanno né legittimate né favorite dalla cultura. A questo riguardo, è necessario essere consapevoli del ruolo pervasivo e distruttivo assunto oggi dalla pornografia per gli adolescenti, in particolare per i maschi. La sessualità proposta dalla pornografia, anche quando non è manifestamente violenta, riduce la donna a oggetto del piacere maschile e favorisce di conseguenza i comportamenti aggressivi di sopraffazione.  

A partire dalla presa d’atto che la violenza maschile sulle donne è il frutto dell’interazione tra disposizioni biologiche e messaggi culturali che le sostengono, occorre favorire la capacità di coniugare sesso e affetti in una relazione personale basata sulla comune umanità. La famiglia e la scuola dovrebbero impegnarsi nell’educazione sessuale affettiva, che non può essere svolta solo dalla famiglia, soprattutto in adolescenza.

Bullismo: violenza fisica e psicologica a scuola

Con l’inizio della scuola riaffiorano anche i problemi di sempre: tra questi, senza dubbio, c’è il bullismo! Vediamo insieme in cosa consiste.

A cura del nostro socio fondatore Dott. Marco Magliozzi, psicologo, psicoterapeuta, esperto in PNL Bioetica

Con l’inizio della scuola riemergono anche i problemi a essa collegati: il bullismo, ad esempio, è uno dei più importanti.

Con questo termine ci riferiamo a un insieme di comportamenti aggressivi, sia fisici sia psicologici, rivolti in maniera continuativa verso una o più vittime, non in grado di difendersi.

Da una parte abbiamo quindi il bullo (o i bulli), ovvero le persone che mettono in atto questi comportamenti violenti, e dall’altra abbiamo coloro che li subiscono.

Le conseguenze del bullismo sono varie e gravi, passando per la sofferenza emotiva/psicologica a quella fisica, a breve o lungo termine.

Il bullismo a scuola

Il contesto nel quale il bullismo si manifesta maggiormente è senza dubbio la scuola.

Secondo un’indagine Istat del 2014, più del 50% degli adolescenti, in una fascia d’età compresa tra gli 11 e i 17 anni, sarebbe stato vittima di almeno un episodio di bullismo.

Tra i comportamenti violenti possiamo inserire:

  • umiliazioni e derisioni costanti;
  • esclusione dalle attività di gruppo;
  • offese, parolacce e insulti;
  • diffamazione;
  • violenza fisica.

Conseguenze del bullismo

Subire episodi di bullismo provoca conseguenze sia nell’immediato sia nel lungo termine.

Numerosi studi hanno infatti evidenziato come le vittime rischino di sviluppare nel tempo disturbi psicologici quali:

  • disturbo d’ansia generalizzato;
  • attacchi di panico e disturbo da attacchi di panico;
  • una o più forme di dipendenza patologica;
  • disturbo depressivo;
  • disturbi psicotici;
  • rischio suicidario aumentato.

Anche il bullo, nonostante ricopra il ruolo di “carnefice”, corre il rischio di sviluppare vari disturbi, come ad esempio il disturbo antisociale di personalità.

Bullismo e autostima: quale correlazione?

Potrà sembrare un controsenso, ma sia il bullo sia la vittima condividono una caratteristica: la bassa autostima.

Secondo diversi studi, un buon concetto di sé aiuterebbe i bambini e i ragazzi a ottenere maggiori successi scolastici e relazionali.

Questo, purtroppo, non accade nella dinamica del bullismo.

Soggetti con bassa autostima possono, infatti, divenire sia carnefici sia vittime.

Nel primo caso, coloro che attuano comportamenti aggressivi sono guidati da un tentativo inconscio di guadagnare potere, con l’obiettivo di riempire un vuoto interiore.

Apparentemente forti e attraenti, in realtà i bulli tentano di ottenere ammirazione e attenzione, con il solo scopo di migliorare l’immagine di sé. Profondamente vivono invece una grande sofferenza emotiva.

Nel secondo caso, i soggetti con una bassa autostima sono più indotti alla vittimizzazione, a causa del loro sentirsi inadeguati e dei loro atteggiamenti involontari che “attirano” l’attenzione di coloro che, al contrario, hanno bisogno proprio di una vittima per sentirsi potenti.

Cyberbullismo

Con l’avvento dei social e del massivo uso della tecnologia, il bullismo si è spostato anche online: parliamo in questo caso di cyberbullismo.

Gli atteggiamenti violenti si manifestano dunque sul web:

  • denigrazione e umiliazioni attraverso la pubblicazione di contenuti personali;
  • utilizzo dei social network per offendere e insultare la vittima;
  • uso delle chat di gruppo per aggredire psicologicamente la persona bullizzata.

Secondo diversi studi, il cyberbullismo rappresenta potenzialmente una forma ancor più grave del bullismo.

Infatti, essendo ormai internet come una “seconda casa” per moltissimi adolescenti e avendo il web il potere di diffondere velocemente qualsiasi genere di contenuti, gli attacchi personali contro la vittima andrebbero a colpire non solo il singolo individuo ma anche l’immagine sociale di sé, influendo negativamente sulle relazioni interpersonali e generando gravissimi danni all’autostima.

Bullismo e psicoterapia

La psicoterapia è senza dubbio la strada maestra da percorrere sia per le vittime sia per gli autori di bullismo.

Lavorare sulla propria autostima, gestire al meglio le aggressioni subite e comprendere (nel caso dei bulli) quali dinamiche li portino ad agire in tal modo, è senza dubbio fondamentale.

Rivolgersi agli istituti scolastici è inoltre importantissimo per arginare questa dinamica, proponendo attività di prevenzione con docenti e genitori.

Nei casi più gravi, ovvero quando si manifestino anche aggressioni e lesioni fisiche, è possibile, anzi doveroso, contattare sia la scuola sia i legali.

Se sei vittima di bullismo, se sei una persona che agisce bullismo e desideri cambiare, se sei un genitore di una vittima e vuoi aiutare tuo figlio, puoi contattare la nostra associazione.

Stupro di Palermo: il fallimento educativo, la cultura della violenza, la disumanizzazione della vittima.

Un monito meditato della nostra socia onoraria Prof.ssa Paola Colarossi

Lettera a noi adulti

Sgomenta, leggo dei fatti di Palermo. Sbigottita leggo i commenti a tali fatti.

Immersi in una cappa di odio e di animalità, ottenebrata la mente, vomitiamo sentenze che a nulla servono se non a dare libero sfogo alla rabbia che serpeggia nei nostri cuori. 

Nulla si costruisce nella rabbia, nulla si risolve con la rabbia.

Questo, il mio parere.

Faccio l’insegnante da più di trent’anni; sono a contatto con una fascia particolarmente critica, quella che accompagna i bambini alle soglie dell’adolescenza. Negli anni ho visto gli effetti che la trasformazione sociale, consentitemi ma non riesco a definirla progresso sociale, sta avendo sui più giovani. 

Affidati precocemente alle cure di smartphone, comunità sociali e consolle tecnologiche, crescono soli. 

Crescono fragili e infelici e ognuno  di loro manifesta il suo malessere a modo suo. Alcuni, insicuri, diventano presto vittime. Altri arroganti, carnefici.

 Ho sentito dire ultimamente che le generazioni di “nativi digitali” che si stanno susseguendo, saranno sempre più flessibili, avranno capacità di logica più pronte e altro che non ricordo più. Sarà vero; non oso mettere in dubbio tali affermazione ma mi viene da aggiungere “ E quindi ?Questo farà di loro persone più concrete, più sicure di sé, persone emotivamente stabili? Perché se così non è, me ne frego della logica e della flessibilità che deriverà. Non arricchirà di un centesimo la loro vita.”  

Ma non vorrei dare l’impressione di essere contro la tecnologia; non è quello il punto. 

Il punto siamo NOI.  Noi Adulti, intendo.

Dove cavolo siamo? Come facciamo a non accorgerci che intorno a noi i ragazzi, pur di essere visti, considerati, sono disposti a tutto? Si tagliano le braccia. Le ho viste, una volta, le braccia di una mia alunna; sembrava che ci fossero disegnati una serie di pettini, tante sottili righe, una accanto all’altra. Tante. Le ho viste e le ho chiesto: “Cos’è?”

 “ Mi sono ferita a dei rami” mi ha risposto….ho convocato i genitori e loro si sono mossi. Una bellissima famiglia, a dire il vero, ma lei era fragile e imitava gli altri, si lasciava coinvolgere dalle Challenge di You Tube, un mondo apparentemente innocuo, ragazzine che insegnano a truccarsi, a vestirsi, che giocano a dare consigli su come conquistare il ragazzo che ci piace, giocano a fare le grandi – Che male c’è –

Diciamo noi. Non fanno niente di male.

Non fanno niente di male i genitori che postano video di bambini che raccontano fatti divertenti, scimmiottando i grandi, che dicono parolacce come se niente fosse,  bambine che ballano truccate  ed acconciate come se fossero ad un concorso per reginette di bellezza, quelli tanto amati dagli americani – Le avete mai viste quelle bambine? Vi siete mai chiesti che fine fanno? Da grandi?

Sgomenta assisto alla perdita di potere dei genitori nei confronti dei figli, che crescono troppo in fretta, che divorano fette di Vita troppo grandi per poter attraversare l’esofago e che finiscono per strozzarli.

Un giorno una bambina di undici anni mi diceva che l’amichetto, in classe, faceva cose “schiocche “ con il flauto e mentre me lo diceva mimava il gesto -undici anni-

” Che ne sai?” avrei voluto chiedere e invece tentavo di sdrammatizzare e lei insisteva  “ Professore’ …sono cose sciocche , cose sciocche” … e un altro , sempre undici anni, che scriveva al computer richieste sessuali esplicite e  molto ben definte, sperando che l’amichetta di banco leggesse. 

Undici anni. I genitori caddero dalle nuvole. “Chi glielo ha insegnato?” 

– Ha uno smartphone? – chiedemmo.

– Ceeeeerto – annuirono orgogliosi. Lo smartphone arriva a 10 anni , con la comunione, per la maggior parte dei nostri figli. Gli altri, quelli “ sfigati” devono sudarselo e  i loro genitori “ più che sfigati” devono lottare ogni giorno per conservare il loro punto di vista. Devono essere forti. Benedetti, loro. 

 E allora toccò a me spiegare che cosa si poteva fare con uno smartphone, con accesso illimitato ad internet, che la maggior parte di loro, manco lo sa che esiste il “ parental control” che impedisce l’accesso a certi siti.

 Ascolto storie allucinanti…

Per ore potrei parlare e raccontarvi di ciò che accade ogni giorno ai nostri ragazzi, mentre noi siamo tutti presi dai nostri impegni, dalla nostra vita, dai nostri problemi…per anni. Ma la chiudo qui.

Una sola cosa vi chiedo. Smettete di scomodare Dio i fulmini i castighi del cielo e quant’altro. 

Chiedetevi: “ Che sto facendo io?” 

 Io padre, io madre, io docente, io Prete, io politico , io chipiùnehapiùnemetta… io ADULTO.

“ Che stiamo facendo noi? Dove siamo, mentre i nostri ragazzi crescono SOLI ? ”

Con il cuore rotto, Paola Colarossi

Manuel, bambino di 5 anni, ucciso da un suv guidato da uno Youtuber: un dramma figlio dei nostri tempi

Un approfondimento sottile sulle ragioni alla base di una ineffabile tragedia del nostro socio fondatore Dott. Marco Magliozzi, psicologo, psicoterapeuta, esperto in PNL bioetica

Nella giornata di ieri (15 giugno 2023), si è consumato un terribile dramma: in una frazione di Roma, Casal Palocco, un suv guidato da un ragazzo di 20 anni, accompagnato da quattro amici, ha travolto una smart con all’interno una donna con i due figli piccoli.

Purtroppo, Manuel, bambino di 5 anni, è morto nello scontro.

Secondo le prime ricostruzioni, il ragazzo 20enne, risultato tra l’altro positivo al test sui cannabinoidi, alla guida di una super car Lamborghini Urus con ben 666 cavalli di potenza, lanciato a tutta velocità, si sarebbe scontrato contro la piccola city car, uccidendo il piccolo Manuel e ferendo la sorellina di 3 anni e la madre, tutt’ora in ospedale in stato di choc.

Gli Youtubers “The Borderline”

I ragazzi all’interno del suv fanno parte di un gruppo di Youtubers che prende il nome di “The Borderline”, un termine che fa fin da subito intendere il loro “vivere al limite!”.

Obiettivo di questi Youtubers è quello di pubblicare video nei quali si lanciano in determinate sfide, mettendo a repentaglio anche la loro incolumità.

Il gesto di ieri, ovvero guidare a tutta velocità una Lamborghini da 666 cavalli, ne è stato un esempio!

Questo gruppo è seguito online da ben 600mila followers.

Una tragedia figlia dei nostri tempi!

Matteo, il ragazzo 20enne alla guida del suv, rischia ora l’accusa di omicidio stradale, mentre rischiano anche i quattro amici che lo accompagnavano i quali, secondo alcuni testimoni, avrebbero addirittura continuato a filmare la scena dell’incidente con i loro telefonini, nonostante la tragedia appena avvenuta.

Un dramma davvero figlio dei nostri tempi: challenge sui social, che mettono a rischio non solo la vita dei protagonisti ma anche quella di altre persone che vengono, a loro discapito, coinvolte.

Giovani che, pur di provare sensazioni forti ed eccitanti (quelli che la criminologia definisce “sensation seeker”), si lanciano in queste sfide pericolose e allarmanti, sono l’esempio della piega, purtroppo negativa, della nostra società.

600mila followers, 152 milioni di visualizzazioni dal 2020, pur di osservare gesti spericolati e fuori controllo.

Qual è il senso di tutto ciò?

Youtube e i social come paradiso e inferno della nostra vita

Youtube, e i social in generale, contengono il meglio e il peggio di quello che la società possa offrire.

Contenuti altamente costruttivi, culturalmente appaganti e ricchi di informazioni utili, uniti, ahimè, anche ad altro genere di contenuti distruttivi, diseducativi e al di fuori di ogni etica e morale.

Dovremmo davvero chiederci, come mai, 600mila persone seguano ragazzi che si filmano mentre guidano una Lamborghini da 666 cavalli. 

Qual è l’insegnamento?

Riflessioni conclusive

In qualità di psicologo, e membro di un’associazione che si occupa da anni di prevenzione, sono costretto a effettuare una disamina psicoeducativa.
I ragazzi andrebbero educati all’utilizzo dei social, così da ridurre l’impatto di questi personaggi che veicolano contenuti completamente sbagliati.
Non solo: parliamo anche del codice stradale, che permette a un 20enne fresco di patente di poter guidare un suv dalla potenza di 666 cavalli.
Tante disattenzioni che, mi auguro, possano servire a chi di dovere per sistemare queste lacune sia educative sia legali.
Per ora, non possiamo far altro che dare un fortissimo abbraccio alla famiglia del piccolo Manuel, vittima incolpevole di questa tragedia.

Marco Magliozzi

Giulia Tramontano: un femminicidio e un figlicidio figli della società dell’Ego.

Il nostro socio Prof. Michele Colasuonno, psicologo e teologo, ci accompagna in una riflessione struggente e schietta sulla genesi di questi tragici avvenimenti.

Mentre mi trovo davanti al foglio bianco, cercando le parole, sentendo le emozioni, sfogliando ogni sorta di manuale o libro che mi aiutino a commentare quanto accaduto a Giulia Tramontano, la Tv è accesa e il Tg riporta ancora un femminicidio, quello di Pier Paola Romano.

Una sola domanda mi sorge: dove stiamo andando?

In questi giorni, anche per via del mio ruolo di psicologo responsabile del trattamento degli offender per l’associazione fermiconlemani, approfondivo lo studio di un testo e mi sono imbattuto in un capitolo dal titolo “Uomini che esercitano violenza sulle donne: una lettura alla luce della teoria dell’attaccamento”, e l’autore con competenza e senso realistico, riporta anche dati sociologici: da sempre, da quando è nata la società maschilista la violenza sulle donne, purtroppo aggiungerei io, è stata socialmente accettata e taciuta, ma che forse non arrivava mai a tanta crudeltà e violenza, per vari motivi; ma come l’autore anche io mi chiedo può questo giustificare uno stile aggressivo, violento, predominante nelle relazioni?

Oggi ci troviamo non solo davanti ad un femminicidio ma anche ad un figlicidio, sì perché Giulia era al settimo mese di gravidanza.

Dove stiamo andando?

Lascio ad altro spazio tutto quello che può riguardare la teoria dell’attaccamento (sarei troppo prolisso), e mi chiedo che fine ha fatto il Super-Io di freudiana memoria, dove sia finita la scala dei valori che governa la mente e l’agito di ogni persona; il narcisismo ci sta portando verso la soddisfazione esclusiva dei nostri bisogni a scapito della vita delle persone che ci circondano e che, in certi casi, sosteniamo di amare e, ancora di più, a scapito della vita di un nostro figlio.

Non c’è più tempo. Urge fare qualcosa che fermi questa mattanza di valori, questa mattanza di rispetto, la solitudine del narcisismo ci sta portando verso una disumanizzazione dell’Umano.

Da docente di una materia che mi permette di entrare in contatto con i miei alunni  senza l’ansia della fine del programma, ritengo che la scuola possa essere uno dei luoghi dove ancora si potrebbe insegnare l’umanizzazione, dove oltre alle tante materie assolutamente utili e indispensabili, si potrebbe scalfire il narcisismo maligno dilagante, ma per poter fare questo bisogna fare scelte concrete e audaci, forse politicamente poco produttive, ma umanamente molto utili. 

Tutto già detto forse, lo sgomento e il dolore irromperanno nuovamente alla prossima notizia che ascolteremo.

Ma ora lasciatemi fluire tutto il dolore per il piccolo Thiago, questo il nome del bambino che Giulia aveva in grembo:

Caro papà, quando ero nella pancia di mamma non ho mai avuto paura. Lì era bello; ad ogni passo che lei faceva mi sentivo cullato, il battito del suo cuore era una musica dolce che ascoltavo prima di addormentarmi. 

Poi, a volte, sentivo qualcosa che mi toccava un piedino, o il braccio: erano le tue mani papà. Potevo riconoscerle, perché a differenza di quelle delle mamma, si muovevano con un po’ di timore. Forse avevi paura di farmi male o di darmi fastidio. Invece a me piaceva. Mi sentivo felice. Quando hai iniziato a parlarmi, piano piano ho imparato a riconoscere anche la tua voce; che buffo eri quando mi cantavi quelle canzoncine, o quando mi raccontavi delle domeniche che sarebbero arrivate, dei giochi con la palla, della scuola, delle gite. Che ridere papà. Anche la mamma rideva, forse anche lei pensava che tu fossi buffo. 

Un giorno è successo qualcosa di strano; ho fatto una capriola e avevo tantissima voglia di nuotare…sentivo la mamma un po’ ridere e un po’ piangere. Poi ho riconosciuto la tua voce. Dicevi alla mamma che era bravissima, che stava facendo un buon lavoro. Dicevi che da lì a poco, io sarei stato tra le sue braccia e che doveva mettercela tutta. 

Quando finalmente sono nato, vi ho sentiti. Ho sentito la pelle della mamma e il sapore del suo latte. Ho sentito cadere sulla mia testa gocce di lacrime. Ma eccole li: le tue mani. Le ho riconosciute perché si muovevano con lo stesso timore di quando mi accarezzavi attraverso la pancia. E finalmente mi sono sentito al sicuro.

Da quel momento ti sei preso cura di me. Hai smesso di andare alle partite di calcetto, ora giochiamo insieme a bubusettete. Hai smesso di guardare i film di paura, ora insieme leggiamo tanti libri di fiabe. Hai smesso di andare a dormire tardi perché ora, quello che ti piace, è addormentarti abbracciato a me. Quando mi cambi il pannolino, sei sempre il solito papà buffo che ho sempre pensato! Le tue smorfie mi fanno ridere un sacco! 

Ora sono un po’ più grande. Sto crescendo papà, e non ho paura. So di potere scalare il divano, perché tu sei vicino a me. So che posso fare le corse, perché se cado un tuo bacio fa passare il dolore. So che posso combinare tutti i disastri del mondo, perché quando la mamma mi rimprovererà, tu sarai mio complice e dietro di lei mi farai l’occhiolino. 

Papà, promettimi una cosa: promettimi che anche quando ti arriverò alle spalle non smetterai di raccontarmi di mostri e pirati, non smetterai di fare capanne con sedie e coperte ma soprattutto continuerai a fare ridere la mamma. Grazie papà, per avermi regalato te stesso. 

Con tutto il bene del mondo, il tuo bambino.” – Maria Russomanno –

Ecco tutto quello che ti sei perso, Alessandro Impagnatiello. 

Prof. Michele Colasuonno

la lettera citata è tratta da: https://www.chizzocute.it/lettera-al-papa-da-un-neonato/

Pillole di dress code… COSA INDOSSARE  IN UFFICIO IN PRIMAVERA (QUASI ESTATE 😜)

a cura della nostra socia Ottavia Ditroia, esperta d’immagine e personal shopper

Se anche voi avete dei dubbi e la mattina vi svegliate senza avere idea di cosa indossare, allora è bene continuare a leggere, perché ho dei consigli utili che potrebbero esservi d’aiuto.

Certo, non tutti gli uffici sono uguali, sia a livello strutturale che di dress code.

Ci sono quelli più casual e informali e quelli in cui è richiesto un abbigliamento più smart e ufficiale, ma i suggerimenti che seguono cercheranno di essere abbastanza universali.

  1.  Evitate di indossare calzature che lasciano troppo scoperto il piede. Lo so, fa caldo, ma non è propriamente chic mostrare tutto il piede quasi nudo in un ufficio, qualsiasi sia il livello di informalità che vige. Sarebbe meglio preferire un paio di mules alle infradito, oppure un bel paio di sneakers in tela leggera ai sandali con fascette sottili, oppure un paio di sling back anche flat ad un sandalo molto scollato. Per rendere più leggera alla vista una calzatura chiusa, sceglietela in nude, beige o nel colore che più si avvicina a quello della vostra pelle. In questo modo otterrete anche un effetto allungante della figura, che non guasta mai!
  2. È necessario evitare i pantaloncini e i vestitini troppo corti. Ci sono delle soluzioni migliori che permettono di affrontare al meglio gli sbalzi di temperatura durante la giornata, come indossare tessuti leggeri come il lino o il cotone ed evitare come la peste i tessuti sintetici, sia per motivi di ecosostenibilità sia perché non sono traspiranti;
  3. Se nel vostro ufficio c’è aria condizionata a tutto gas, non dimenticate di portare con voi un cardigan in cotone o uno scialle colorato in lino, seta o cotone che vi aiuterà a non ammalarvi e, in più, vi donerà anche un tocco di colore che in estate è l’ideale, anche in ambienti di lavoro molto formali;
  4. Anche le scollature profonde non sono proprio l’ideale in qualsiasi tipo di ufficio. Piuttosto, preferite canotte da indossare come sotto giacca, entrambi di tessuti leggeri e traspiranti;
  5. Se vi sembra che il vostro outfit sia troppo serio o noioso, aiutatevi con bijou colorati ma sempre senza esagerare;
  6. Non eccedete MAI col trucco o con acconciature troppo elaborate. Ricordate sempre: less is more!

Ottavia Ditroia

Edipo non è Caino

Riflessioni sui possibili scenari di incostituzionalità del Codice Rosso del nostro socio Pierfrancesco Impedovo, processual-penalista e criminologo.

La particolare vicenda processuale di Alex Pompa, il 22enne che il 30 aprile 2020 a Collegno (Torino) uccise a coltellate il padre nel corso dell’ennesima lite di quest’ultimo con la madre, potrebbe innescare un cambiamento nel trattamento sanzionatorio previsto dal “codice rosso” in alcune circostanze specifiche; vediamo quali.

In primo grado Alex era stato assolto perché «il fatto non costituisce reato», agì per legittima difesa. Secondo i giudici aveva dovuto scegliere «se vivere o morire».

In appello il pg Alessandro Aghemo ha ribadito la richiesta che già la pubblica accusa aveva formulato in primo grado: condanna a 14 anni di reclusione, sottolineando che si tratta del minimo possibile. 

Dopo una lunga camera di consiglio, la Corte d’Appello ha di fatto ribaltato il verdetto di primo grado, emanato un’ordinanza (e non una sentenza), dalla quale si ricava il convincimento che non si sia trattato di legittima difesa e nemmeno di eccesso colposo, ma che in ordine alla quantificazione della pena apre una “breccia” nel Codice Rosso di portata potenzialmente ampia.

La Corte, «visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 e seguenti della legge 87 del 1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3 e 27 comma 1 e 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 577 comma 3 del codice penale nella parte in cui impedisce il giudizio di prevalenza ai sensi dell’articolo 69 codice penale delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante della provocazione rispetto alla circostanza aggravante prevista per il delitto di omicidio volontario in relazione al fatto commesso contro l’ascendente dall’articolo 577 comma 1 numero 1 del codice penale. Sospende il giudizio fino all’esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale. L’udienza è tolta».

I giudici della Corte hanno dunque sollevato una questione di legittimità della norma, introdotta dal cosiddetto ”Codice Rosso”, che in questi casi (omicidio aggravato dal vincolo di parentela) vieta di poter dichiarare la prevalenza di alcune attenuanti e quindi di poter applicare uno sconto di pena. 

È stata la difesa a chiedere che venisse sollevata la questione. Ovviamente la richiesta era in subordine rispetto a quella di conferma della sentenza di assoluzione di primo grado.

Tecnicamente, la riforma del 2019, il Codice Rosso, non solo ha inasprito le pene per gli autori di reati commessi in contesti familiari, ma ha altresì inserito nel codice penale una norma che impedisce di considerare prevalenti talune attenuanti sull’aggravante del vincolo di parentela, per evitare l’applicazione di pene poco severe nei casi di violenza endofamiliare. 

La Corte ha dunque escluso la legittima difesa, manifestando l’intenzione di voler riformare così la decisione del primo grado e accogliendo la tesi dell’accusa; tuttavia ha riconosciuto che Alex, a causa del gravissimo contesto familiare in cui ha vissuto per anni con un padre violento, meritasse le attenuanti generiche e quella della provocazione.

Ogni attenuante dovrebbe fornire la possibilità di ridurre la pena di un terzo. Però in questo caso, in virtù della riforma del 2019, esse possono essere riconosciute solo come equivalenti, e non come prevalenti, alle aggravanti. 

Questa situazione, ad avviso della difesa, genera una disparità di trattamento perché Alex verrebbe condannato alla stessa pena di uno che non merita le attenuanti. La Corte ha dunque accolto questa lettura della norma e ha investito la Consulta della questione.

Anche il pubblico ministero si è detto favorevole a sollevare il dubbio. Comunque aveva chiesto 14 anni, la pena minima possibile per un omicidio volontario, considerata altresì la semi infermità mentale del ragazzo accertata da una perizia psichiatrica. 

La Corte, in sintesi, ha sospeso la Camera di Consiglio, escludendo la legittima difesa, quindi ritenendo di dover condannare Alex. Però, ai fini della quantificazione della pena, ha rimesso gli atti ai giudici costituzionali.

I possibili due scenari: qualora la Consulta ritenesse incostituzionale quella parte della norma, per Alex le attenuanti sarebbero riconosciute prevalenti sulle aggravanti e quindi potrebbe essere condannato a 7 o 8 anni di reclusione. 

Se invece rigettasse la questione di incostituzionalità verrebbe condannato a 14 anni di carcere. 

Quanto fin qui esposto, lungi dal voler essere una disanima sulla vicenda umana e processuale di Alex (su cui non è nostra intenzione esprimere alcun giudizio, né etico, né tantomeno giuridico), rappresenta una doverosa riflessione sulle potenziali modificazioni del Codice Rosso; norma che per un’associazione come Fermiconlemani, da sempre impegnata nella prevenzione e nel contrasto ad ogni forma di violenza, rappresenta (pur con le debite riserve) una risposta efficace sul piano repressivo a molte fattispecie incidenti sui fenomeni di violenza domestica e di genere.

Pierfrancesco Impedovo