COME ESSERE CHIC IN AUTUNNO: 7 TRUCCHETTI FACILI FACILI PER VESTIRSI BENE

A cura della nostra responsabile progetto”Benessere ed Empowerment” Ottavia Ditroia, personal shopper ed esperta d’immagine.

Capita a tutti noi di guardare una donna o un uomo che cammina per strada e di ammirare il modo in cui è vestita/o, il modo in cui cammina o muove le mani o si atteggia in generale. In quel momento ne stiamo ammirando lo stile, che non è fatto solo dell’outfit certo, ma di cui quest’ultimo è una componente fondamentale.

Il passo successivo sarebbe di chiedersi: Come mai mi piace lo stile di quella donna/uomo? Cosa c’è nel suo outfit che mi attira così tanto?

Dovremmo fermarci a fare un’analisi approfondita, ma non sempre è possibile. 

Allora io oggi ho deciso di svelarvi 7 semplici trucchi per vestirsi bene in autunno e far sì che la prossima volta ci sia qualcun altro che si chiede cosa gli piace del NOSTRO outfit.

INVESTIRE NEL CAPPOTTO CLASSICO: siccome nelle stagioni fredde è praticamente l’unico capo che indossiamo che si vede, perché gli altri sono tutti coperti, il mio consiglio è di investire tutto il budget che potete nell’acquisto di un cappotto classico magari con cintura in vita che sta bene praticamente a tutte le fisicità. Non è necessario spendere un capitale, ma è fondamentale assicurarsi che la qualità sia ottima in modo da poterlo sfruttare di qui all’eternità; infatti è un grande classico che MAI passerà di moda e la stagione successiva dovrete solo preoccuparvi di dargli una rinfrescata in lavanderia prima di indossarlo di nuovo. Per quanto riguarda i colori, dipende sempre dal vostro stile e dai colori che compongono il resto del vostro guardaroba a cui deve abbinarsi, ma in generale mi manterrei sui neutri: nero, cammello, blu, grigio, bianco, beige…. Il taglio classico, inoltre, lo rende particolarmente versatile perché si abbina facilmente sia con outfit informali (jeans e maglione o t-shirt) e da giorno che con look più eleganti e formali da sera; immaginate poi cosa diventa una semplice felpa color crema, un paio di joggers in tinta, un paio di sneakers super comode ed un cappotto cammello a completare il tutto: semplice e di grandissimo effetto, perché è il cappotto che porta un outfit super-basico al suo livello superiore;

STRATIFICARE:

un outfit è stiloso anche perché sotto c’é la sapiente arte della stratificazione. Provate a creare look che si compongono di più strati (senza ingoffarvi, mi raccomando!!!) e vedrete come immediatamente tutto appare più strutturato, più studiato e quindi semplicemente più bello. Vi faccio un esempio facile da ricopiare subito: camicia bianca classica in cotone, pullover blu scollo a V  (o cardigan o blazer o felpa), pantaloni in eco-pelle neri, cintura nera, sneakers bianche e cappotto blu dalla linea classica (punto 1);

GIOIELLI O BIGIOTTERIA:

per quanto mi riguarda nessun outfit è chic senza la ciliegina sulla torta rappresentata dai gioielli o dalla bigiotteria. Ognuna di noi scelga ciò che le piace di più, ovviamente senza esagerare nelle quantità, ma non uscite di casa senza uno massimo due pezzi di gioielleria o bigiotteria. Lo abbiamo detto e ripetuto e quindi adesso non mi dilungherò ulteriormente, ma sappiate che lo loro potenza è estrema;

CALZATURE:

insieme al cappotto sono l’altro elemento che si nota quando camminate per strada perché tutto il resto dell’outfit è coperto dal capospalla. La prima raccomandazione che vi faccio, quindi, prima di parlarvi delle calzature più chic, è quella di avere cura delle vostre scarpe, di pulirle (e/o lucidarle) prima di uscire di casa; di controllare che non siano macchiate o graffiate o rovinate in qualche modo perché non avete idea di quanti punti perda un bellissimo e studiatissimo outfit con un paio di scarpe sporche o rovinate. La bravura qui sta nella scelta di scarpe autunnali che siano belle ma soprattutto comode, perché poi si rischia di lasciarle marcire nella scarpiera. Se avete problemi particolari di calzata, vi consiglio di non acquistare mai le scarpe online , ma di recarvi presso un negozio fisico per provarle. In autunno/inverno io dico sempre alle mie cliente di indirizzarsi verso gli stivali o stivaletti con misura e larghezza tacco che preferiscono. Gli stivaletti sono da abbinare ai pantaloni, gli stivali si abbinano agli abiti, alle gonne e ai pantaloni skinny. Sono comodi, caldi e ti permettono di essere chic anche nelle giornate di pioggia;

COLOUR PALETTE:

trovate la gamma di colori che vi sta meglio e in base a questa, costruite il vostro guardaroba. L’armocromia vi viene in soccorso in questo, ma non tutti vogliono farsi fare un’analisi armocromatica, allora come fare? Quando fate shopping, accostate al vostro viso il capo e notate se quel colore vi valorizza o no. Lo sappiamo: i colori hanno un grande potere nella nostra vita e menomale che esistono! I colori freddi stanno bene a chi ha la carnagione con sottotono rosato e quelli caldi stanno bene a chi ha il sottotono pescato. Senza entrare troppo nei tecnicismi, provate a notare, possibilmente con l’aiuto di un occhio terzo, che effetto fa quel colore al vostro viso. E’ estremamente importante scegliere la palette di colori che vi valorizza nella creazione di un outfit dall’effetto wow!;

CAPI DI TENDENZA:

per un outfit sensazionale è importante mixare i capi basici, lo sappiamo, ma l’effetto glamour si otterrà se si aggiungerà un capo della tendenza di stagione. SOLO UNO, quello che vi piace da impazzire, quello che vi sta meglio e soprattutto quello che si adatta maggiormente al vostro stile di vita ed la resto del vostro guardaroba. Per esempio: il dettaglio nelle maniche, un blazer oversize, un paio di stivaletti neri grossi, una mantella, una borsa di tendenza tipo quella che ha lanciato Bottega Veneta, ecc…. Non è necessario, però, spendere tanti soldi; incorporate nell’outfit basico e senza tempo, un solo capo che lo rende immediatamente moderno. Sceglietelo voi!

ABBINAMENTI FURBI:

un trucchetto semplicissimo ma davvero d’effetto è di abbinare il colore del top (camicia, maglione, blazer, dolcevita, t-shirt …………….) al vostro capospalla. L’effetto eleganza è immediatamente assicurato, provare per credere!

Ottavia Ditoia

Stupro di Palermo: il fallimento educativo, la cultura della violenza, la disumanizzazione della vittima.

Un monito meditato della nostra socia onoraria Prof.ssa Paola Colarossi

Lettera a noi adulti

Sgomenta, leggo dei fatti di Palermo. Sbigottita leggo i commenti a tali fatti.

Immersi in una cappa di odio e di animalità, ottenebrata la mente, vomitiamo sentenze che a nulla servono se non a dare libero sfogo alla rabbia che serpeggia nei nostri cuori. 

Nulla si costruisce nella rabbia, nulla si risolve con la rabbia.

Questo, il mio parere.

Faccio l’insegnante da più di trent’anni; sono a contatto con una fascia particolarmente critica, quella che accompagna i bambini alle soglie dell’adolescenza. Negli anni ho visto gli effetti che la trasformazione sociale, consentitemi ma non riesco a definirla progresso sociale, sta avendo sui più giovani. 

Affidati precocemente alle cure di smartphone, comunità sociali e consolle tecnologiche, crescono soli. 

Crescono fragili e infelici e ognuno  di loro manifesta il suo malessere a modo suo. Alcuni, insicuri, diventano presto vittime. Altri arroganti, carnefici.

 Ho sentito dire ultimamente che le generazioni di “nativi digitali” che si stanno susseguendo, saranno sempre più flessibili, avranno capacità di logica più pronte e altro che non ricordo più. Sarà vero; non oso mettere in dubbio tali affermazione ma mi viene da aggiungere “ E quindi ?Questo farà di loro persone più concrete, più sicure di sé, persone emotivamente stabili? Perché se così non è, me ne frego della logica e della flessibilità che deriverà. Non arricchirà di un centesimo la loro vita.”  

Ma non vorrei dare l’impressione di essere contro la tecnologia; non è quello il punto. 

Il punto siamo NOI.  Noi Adulti, intendo.

Dove cavolo siamo? Come facciamo a non accorgerci che intorno a noi i ragazzi, pur di essere visti, considerati, sono disposti a tutto? Si tagliano le braccia. Le ho viste, una volta, le braccia di una mia alunna; sembrava che ci fossero disegnati una serie di pettini, tante sottili righe, una accanto all’altra. Tante. Le ho viste e le ho chiesto: “Cos’è?”

 “ Mi sono ferita a dei rami” mi ha risposto….ho convocato i genitori e loro si sono mossi. Una bellissima famiglia, a dire il vero, ma lei era fragile e imitava gli altri, si lasciava coinvolgere dalle Challenge di You Tube, un mondo apparentemente innocuo, ragazzine che insegnano a truccarsi, a vestirsi, che giocano a dare consigli su come conquistare il ragazzo che ci piace, giocano a fare le grandi – Che male c’è –

Diciamo noi. Non fanno niente di male.

Non fanno niente di male i genitori che postano video di bambini che raccontano fatti divertenti, scimmiottando i grandi, che dicono parolacce come se niente fosse,  bambine che ballano truccate  ed acconciate come se fossero ad un concorso per reginette di bellezza, quelli tanto amati dagli americani – Le avete mai viste quelle bambine? Vi siete mai chiesti che fine fanno? Da grandi?

Sgomenta assisto alla perdita di potere dei genitori nei confronti dei figli, che crescono troppo in fretta, che divorano fette di Vita troppo grandi per poter attraversare l’esofago e che finiscono per strozzarli.

Un giorno una bambina di undici anni mi diceva che l’amichetto, in classe, faceva cose “schiocche “ con il flauto e mentre me lo diceva mimava il gesto -undici anni-

” Che ne sai?” avrei voluto chiedere e invece tentavo di sdrammatizzare e lei insisteva  “ Professore’ …sono cose sciocche , cose sciocche” … e un altro , sempre undici anni, che scriveva al computer richieste sessuali esplicite e  molto ben definte, sperando che l’amichetta di banco leggesse. 

Undici anni. I genitori caddero dalle nuvole. “Chi glielo ha insegnato?” 

– Ha uno smartphone? – chiedemmo.

– Ceeeeerto – annuirono orgogliosi. Lo smartphone arriva a 10 anni , con la comunione, per la maggior parte dei nostri figli. Gli altri, quelli “ sfigati” devono sudarselo e  i loro genitori “ più che sfigati” devono lottare ogni giorno per conservare il loro punto di vista. Devono essere forti. Benedetti, loro. 

 E allora toccò a me spiegare che cosa si poteva fare con uno smartphone, con accesso illimitato ad internet, che la maggior parte di loro, manco lo sa che esiste il “ parental control” che impedisce l’accesso a certi siti.

 Ascolto storie allucinanti…

Per ore potrei parlare e raccontarvi di ciò che accade ogni giorno ai nostri ragazzi, mentre noi siamo tutti presi dai nostri impegni, dalla nostra vita, dai nostri problemi…per anni. Ma la chiudo qui.

Una sola cosa vi chiedo. Smettete di scomodare Dio i fulmini i castighi del cielo e quant’altro. 

Chiedetevi: “ Che sto facendo io?” 

 Io padre, io madre, io docente, io Prete, io politico , io chipiùnehapiùnemetta… io ADULTO.

“ Che stiamo facendo noi? Dove siamo, mentre i nostri ragazzi crescono SOLI ? ”

Con il cuore rotto, Paola Colarossi

Caso Noemi Durini, l’assassino, Lucio Marzo, in permesso premio trovato alla guida in stato di ebrezza: la nostra riflessione.

Lucio Marzo, 24enne di Montesardo (Alessano), detenuto per l’efferato omicidio di Noemi Durini avvenuto il 3 settembre del 2017 nelle campagne di Castrignano del Capo, è stato denunciato per guida in stato di ebbrezza dalla polizia stradale, dopo essere stato fermato a Cagliari.

Il giovane, era in permesso premio per svolgere un’attività lavorativa nel vicino comune di Sarroch. Gli agenti, impegnati in una ordinaria attività di controllo, gli hanno intimato l’alt mentre era alla guida di un’auto che aveva richiamato la loro attenzione per il rumore proveniente dal veicolo. Davanti all’intimazione dell’alt, Marzo ha provato a dileguarsi, prima in auto e poi a piedi, ma alla fine è stato bloccato.

Il 24enne è detenuto nel carcere minorile di Quartucciu (all’epoca del delitto aveva 17 anni), dove sconta una condanna definitiva a diciotto anni ed otto mesi e stava godendo di un permesso concesso dall’autorità giudiziaria perché potesse essere impiegato in un esercizio commerciale nel comune in cui aveva provvisoriamente dimora. Il provvedimento autorizzativo, tuttavia, indicava tra le varie prescrizioni anche il divieto di usare mezzi a motore e questo spiega il tentativo di fuga. Non solo: Marzo è risultato positivo al test con l’etilometro e per questo è scattata la denuncia a piede libero.

Nonostante alla nostra Corte Costituzionale e a quella europea dei Diritti dell’Uomo la pena detentiva inflitta ai minorenni non piaccia e la ritengano una specie di “tortura” da vietare nella civilissima Europa, essa non ha una finalità punitiva ma una funzione ben precisa, a mio giudizio ancora attuale, ossia impedire agli assassini di nuocere ad altre persone e, auspicabilmente, tornare in società dopo aver intrapreso un adeguato percorso riabilitativo che faccia loro ben comprendere il disvalore di quanto commesso”. Questo il commento a caldo della nostra presidentessa, avv.ta Tiziana Cecere. “Prima di cedere a sentimenti di facile indulgenza, sarebbe bene ricordare chi è Lucio Marzo: un freddo e lucido omicida che confessò di aver ucciso Noemi dopo averla percossa e sepolta viva sotto alcuni massi. C’è poi un risvolto assai inquietante di questo efferato delitto che da criminologa mi colpisce particolarmente e su cui tengo a richiamare l’attenzione: il contegno dei genitori del ragazzo che, dopo la confessione dichiararono alla stampa «Siamo orgogliosi di lui», avendo loro figlio sostenuto di aver agito per estinguere una presunta conflittualità con la famiglia che considerava Noemi una presenza negativa in grado di esercitare una cattiva influenza sul di lui. Il grave gesto compiuto dal Marzo -detenuto in permesso premio- denota che siamo ben lontani da quel processo di consapevolizzazione e rieducazione necessario per il suo reinserimento virtuoso nella comunità; non v’è poi da stupirsi se l’elargizione disinvolta di questi permessi premio, alla luce delle condotte tenute, susciti l’indignazione delle vittime collaterali e dell’intera società civile. Per questo a titolo personale e a nome della mia associazione,  esprimo tutta la solidarietà possibile ad Imma, divenuta nostra socia onoraria che, nonostante l’indicibile dolore patito per la perdita di Noemi -a cui si somma la sofferenza per questo sconcertante nuovo epilogo -, ha fortemente voluto sin da subito spendersi in un’incisiva attività di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne, incarnando a pieno la nostra missione di prevenzione; perché  la prevenzione e il sostegno nei contesti familiari e formativi  sono i soli strumenti efficaci per arginare futuri episodi di violenza giovanile e costruire una società più sicura e compassionevole. Ed è questo che Fermiconlemani instancabilmente promuove da anni, investendo le sue risorse migliori fatte di professionisti altamente specializzati e volontari, per la formazione, la salute mentale e il sostegno familiare, affinché si diffonda la cultura della non violenza, del rispetto delle regole e del rispetto reciproco nei gruppi di pari. Contano le azioni ma contano anche i simboli, per questo fra le nostre svariate attività vi è anche quella di promuovere la diffusione di panchine rosse, istallazioni permanenti contro la violenza sulle donne; l’ultima l’abbiamo inaugurata lo scorso giugno presso il villaggio vacanze Cala di Rosa Marina e, fra le tante, ve ne è una  a cui tengo particolarmente inaugurata a Bari l’otto marzo del 2021 ed intitolata proprio a Noemi”.

I consigli dell’esperta per fare un ottimo shopping durante i saldi

Se anche tu non sei tra le fortunate che possono godersi una vacanza in Italia  o all’estero, qualunque sia il motivo, non disperare perché sto per darti una valida ragione per restare in città: potrai fare shopping durante i saldi in tutta libertà senza dover combattere per accaparrarti l’articolo che tanto hai desiderato!!!

Ma come fare ottimi acquisti nel periodo dei saldi senza poi pentirsi? Come acquistare capi che ci valorizzano, costano poco e che ameremo alla follia?

Ecco i consigli della nostra Ottavia Ditroia, personal Shopper ed esperta d’immagine, per uno shopping efficace e meraviglioso!!

  1. Avete DAVVERO necessità di comprare? Intendo: DAVVERO. Cercate di evitare di farvi prendere dalla frenesia di acquistare ad ogni costo solo perché il capo costa poco. Questa regola vale per qualsiasi acquisto, in qualsiasi momento dell’anno;
  2. Avete controllato nell’armadio ciò che eventualmente vi manca? Se non lo avete fatto, fatelo subito e munitevi di un bel blocco con penna o del vostro smartphone per fare una bella shopping-list, così da non avere doppioni, indumenti simili o che non si abbinano a ciò che s’indossa abitualmente;
  3. Non concentratevi solo sui capi estivi, ma cercate di scovare anche qualche indumento da poter sfoggiare in autunno come blazer, tailleur pantalone/gonna, trench, maglioncini in cotone o camicie dal taglio classico nei toni neutri
  4. Sono una promotrice dello shopping presso i negozi della nostra città, ma è bene monitorare i prezzi prima dei saldi per evitare brutte sorprese;
  5. Evitate l’acquisto di capi troppo di tendenza, che indosserete oggi ma difficilmente l’anno prossimo. Prediligete piuttosto abiti e accessori classici e senza tempo da poter sfruttare di qui all’eternità. Questi sono davvero affaroni!

Se avete comprato seguendo questi consigli, non avrete certo difficoltà ad essere comode e chic allo stesso tempo sfoggiando i vostri nuovi acquisti in città con temperature altissime.

Io vi consiglio di puntare su:

  1. borse di paglia, magari arricchite con un foulard a contrasto dai toni brillanti,
  2. sandali flat comodi e chic,
  3. maxi-dress leggeri e svolazzanti da poter utilizzare in città ma anche per i vostri party
  4. gonne maxi o mini, ma sempre dai tessuti leggeri e naturali e sempre dal taglio ampio, mai attaccate al corpo,
  5. pantaloni dal taglio largo da sfoggiare al mare con micro top e in città con maxi blazer,
  6. non dimenticate però anche i capi per l’autunno, come consigliato al precedente punto 3.

Ottavia Ditroia

L’attività di prevenzione ad ogni forma di violenza non va in vacanza!

Tappa estiva del tour di presentazione del saggio della nostra presidentessa “Il diavolo che agisce sulle nostre vite”

Venerdì 28 luglio, nell’ambito della seconda edizione della rassegna bibliografica “Appuntamento col Marchese” organizzata a Monopoli dall’Asp Romanelli Palmieri con il patrocinio comunale e in collaborazione con Libreria Minopolis, I libri di Mordi la Puglia e Centro Turistico Giovanile Egnatia, si terrà l’attesa tappa estiva del tour di presentazione del saggio edito da Calibano “Il diavolo che agisce sulle nostre vite”, prima fatica editoriale della nostra presidentessa.

L’incontro si terrà nel prestigioso contenitore storico di palazzo Palmieri e si articolerà in un dialogo con l’autrice affiancata dal prof. Pierfrancesco Impedovo, che ha collaborato alla stesura della parte giuridica del saggio, e dal prof. Michele Colasuonno, teologo e psicologo.

L’opera, pubblicata lo scorso 23 gennaio e già giunta alla sua terza ristampa, getta uno sguardo multidisciplinare sul complesso e articolato fenomeno delle sette sataniche, nell’intento di fornire al lettore strumenti di conoscenza e prevenzione delle dinamiche alla base dell’affiliazione e del controllo all’interno dei contesti settari.

<< La violenza, in ogni sua forma, non va in vacanza; per questo è necessario, anche in questo tempo, continuare l’instancabile opera di sensibilizzazione e informazione contro le varie fenomenologie attraverso cui la violenza si manifesta, tra episodi eclatanti e altri, purtroppo la maggior parte, sotto traccia come nel caso dell’attività dei culti settari>>. È quanto afferma la presidente Tiziana Cecere. <<Questo mio lavoro  è un tassello del duro lavoro di prevenzione che con la mia associazione quotidianamente portiamo avanti, grazie ad un team multidisciplinare di professionisti altamente qualificati e di volontari. Il saggio, che dalla sua pubblicazione lo scorso gennaio ad oggi è stato presentato in svariate località in tutt’Italia, vuole essere un concreto strumento di prevenzione in soccorso delle potenziali vittime  delle sette sataniche. In Italia esistono circa 500 realtà di questo tipo con migliaia e migliaia di adepti. Il fenomeno è fortemente cresciuto durante la pandemia. Per questo è importante informare sul pericolo rappresentato dall’avvicinamento ai culti distruttivi, definiti così appunto perché in grado di condurre l’individuo che vi aderisce alla “distruzione” della sua personalità, dei suoi rapporti familiari e affettivi, della sua indipendenza lavorativa ed economica, della sua individualità cognitiva>>.

FEMMINICIDIO: TRA SPETTACOLARIZZAZIONI ED INTERVENTI LEGISLATIVI

Riflessioni giuridiche -e non solo- della nostra socia Patrizia Ciorciari, avvocata penalista.

Dal primo di gennaio ad oggi sono oltre 20 i Femminicidi accertati. Donne che vengono uccise perché donne per mano dei propri patners o ex patners.

E’ una violenza dilagante che travolge non solo le donne uccise, ma intere famiglie, si tratta di donne, di mogli, di madri, di figlie, donne giovani e meno giovani. Si tratta di vite spezzate.

Giulia Donato Martina Scialdone Giulia Tramontano, tutte donne uccise dai rispettivi mariti compagni o ex che non hanno accettato la fine della storia, o come nel caso che ha toccato i cuori di tutti  di Giulia Tramontano, uccisa insieme al figlio THIAGO perché il partner non RIUSCIVA A REGGERE IL PESO DI DUE RELAZIONI”.

E’ una scia di sangue che non accenna a fermarsi  e che dopo aver macchiato  il 2022, continua  a farlo anche nel 2023.

Tutti questi drammatici eventi mi inducono in quanto avvocata in prima linea nella lotta alla violenza di genere e come privata cittadina sensibile a queste tematiche  a due profonde riflessioni.

La prima riflessione riguarda l’incidenza che  questi gravi accadimenti hanno dal punto di vista legislativo. Sull’onda emotiva di quest’ultimo terribile femminicidio l’attuale legislatore ha annunciato una ulteriore  giro di vite sulle norme per contrastare la violenza di genere. Dal 2009 ad oggi numerosi sono stati gli interventi che il legislatore ha posto in essere per contrastare questo fenomeno dilagante. Dalla Convenzione di Istanbul  sulla prevenzione e la lotta alla violenza di genere ratificata dall’Italia nel 2013; alla legge 119/2013 che prevedeva norme di sicurezza ;alla più recente legge n. 69/2019 meglio nota come Codice Rosso che oltre ad introdurre nuove fattispecie autonome di reato ha inasprito ulteriormente le pene per gli autori di tali crimini contro le donne oltre che ad introdurre ulteriori garanzie per la persona offesa.

Ma se guardiamo alla scia di sangue che i femminicidi hanno lasciato dal 2019  (anno di entrata in vigore del Codice Rosso) ad oggi,  se  guardiamo a tutte le vite spezzate, spontanea sorge la domanda: ma davvero inasprire le pene serve a qualcosa? A leggere i dati del Viminale sui femminicidi la risposta  è NO.  Perchè da sola la legge non basta, se a tale inasprimento non si affianca un vero e concreto intervento del Legislatore nella direzione del cambiamento culturale.  Servono interventi ed investimenti che vadano nella direzione di miglioramento delle competenze trasversali; servono fondi che aiutino i CAV, le case Famiglia, servono fondi per aiutare tutte quelle donne che sono  riuscite a salvarsi dalla spirale di violenza a causa di un marito e/o compagno maltrattante a riprendere in mano la propria vita spezzata. Servono fondi da investire nelle scuole, perché l’unico vero autentico cambiamento parte da qui. Dalla educazione delle giovani menti. È necessario sensibilizzare educare ed insegnare serve educare i bambini e le bambine di oggi per non dover difendere poi gli uomini e le donne di domani Perché da sola la legge non basta. 

Una seconda riflessione riguarda invece il circo mediatico che si determina a causa della risonanza a volte esagerata che i media danno a questi eventi criminosi al solo scopo di fare odience.  La spettacolarizzazione di questi tragici eventi, con il MOSTRO sbattuto in prima pagina o con conduttori televisivi che  come novelli PM AVVOCATI E MAGISTRATI si sentono in diritto di fare indagini ricercare le prove ad emettere sentenze in quello che ormai è diventata la sede ufficiale dei Tribunali ovvero le piattaforme social  . E quindi quello a cui assistiamo sono delle vere e proprie spettacolarizzazioni dei femminicidi,  in cui si consente a conduttori televisivi, di sbattere il mostro  in prima pagina o di minimizzare la gravità del reato ai danni della donna, che diventa così due volte vittima: vittima del reato prima e della narrazione che si fa della vicenda poi, oppure di anticipare sentenze.

Il mondo della informazione gioca un ruolo importante soprattutto nella mediazione tra ciò che viene espresso in Tribunale,  unica sede deputata ad esercitare la giustizia e ciò che viene trasmesso alla opinione pubblica.

L’ambito giudiziario non è certo immune da pregiudizi e stereotipi, per questo è importante un uso responsabile dello strumento informativo. L’abuso e la violenza di genere vanno comunicate e vanno comunicate in modo consapevole perchè raccontare la violenza è il primo passo per combatterla. Ed in questo i media esercitano un ruolo fondamentale.

Le parole a seconda di come vengono usate   possono pesare come macigni per la loro intrinseca violenza, oppure possono aiutare a comprendere distanziare ed elaborare. L’errore principale da evitare nella narrazione di una violenza di genere è quella che viene definita  la romanticizzazione  che tende a svuotare il femminicidio di tutta la sua gravità. Attraverso una errata narrazione   Amore Possesso e Gelosia diventano giustificazioni atte a deresponsabilizzare il reo. Sovente si ascoltano nei TG o nei programmi di informazione frasi come  “Era innamorato, ha ucciso in preda ad un raptus, oppure se l’e cercata”. Quante volte ho ascoltato queste frasi  quante e tutte le volte mi ribello ad esse perchè così facendo si finisce con il trasformare il carnefice in vittima ed in vittima il carnefice  minimizzando la gravità del reato, causando la cd vittimizzazione secondaria: del carnefice prima  e delle istituzioni poi. A questo poi si aggiungano le interviste ai vicini ai parenti ai genitori agli amici del reo che ovviamente lo descrivono come “un uomo, un padre perfetto ed esemplare oppure un bravo ragazzo” Tutti questi commenti trasmettono un messaggio negativo che tende a sminuire la gravità dell’atto violento.

Ecco perché il ruolo dei media è fondamentale . Ma per evitare che i social si trasformino in Tribunali populisti è necessario che la stampa ed i media in genere mantengano un certo equilibrio, che si responsabilizzino dinnanzi a verità giudiziarie che vittimizzano le donne o che giustificano gli uomini colpevoli, altrimenti chi ne risentirà sarà in primis questo lungo cammino di sensibilizzazione alla violenza il cui contributo primario parte proprio da un uso appropriato dei media. Dobbiamo perciò essere noi il cambiamento che vogliamo perché la copertura mediatica dei femminicidi continui ad essere il volano che induca le vittime di violenza a chiedere aiuto.

Patrizia Ciorciari

La nostra comunità gentile si presenta…

Federica Cuccia, neo socia, ci racconta di sé e delle ragioni che l’hanno spinta ad unirsi a noi.

Salve a tutt*, professionisti e attivisti dell’associazione “Fermiconlemani”.

Mi chiamo Federica Cuccia, vivo a Bari dai tempi dell’università e sono laureata in Psicologia Clinica e delle comunità presso l’Università degli studi di Bari Aldo Moro.

Nel mio percorso di formazione ho avuto esperienze teoriche nelle diverse ramificazioni della psicologia, potendo usufruire ed acquisire un background nei settori della psicologia generale, del lavoro, dello sviluppo, della genitorialità, delle neuroscienze, della criminologia e psicopatologia forense e nel settore della psicologia forense e della testimonianza, ambito in cui ho svolto il percorso di tesi sperimentale. Negli anni, tra gli studi universitari triennali e magistrali ho effettuato dei tirocini nel settore delle demenze (Alzheimer, Parkinson nello specifico), in ambito di ricerca della neuropsicologia presso l’UOC di Psichiatria, al policlinico di Bari lavorando con i Disturbi di Schizofrenia, Bipolarismo e Depressione Maggiore. Qui, ho appena terminato il tirocinio formativo post lauream della durata di un anno in ambito di ricerca in psicologia clinica e generale.

Parallelamente all’Università ho lavorato con il servizio civile universale presso la UILDM di Bari(Lotta italiana alla distrofia muscolare) con le disabilità legate a malattie come SLA e SMA. Ho colto l’occasione per farvi una breve presentazione su quella che è attualmente la mia formazione in modo da poterla mettere a vostra totale disposizione e per potervi mostrare il mio interesse a poter spaziare nei vari settori della professione e non.

Per questo motivo, sono davvero molto interessata ed entusiasta di poter cominciare con voi questa nuova esperienza.

Da anni, ho sempre nutrito grande trasporto e curiosità per tematiche quali la lotta contro i crimini violenti in fenomeni di violenza psicologia e fisica in genere e senza distinzione di genere, nel fornire strumenti per la prevenzione di ogni forma di violenza sia psicologica che fisica, nel riconoscere e contrastare la manipolazione mentale in dinamiche settarie, in dinamiche di bullismo, di cyberbullismo, di stalking e di cyberstalking. Rendere, pertanto, possibile la rimozione degli ostacoli che impediscono l’attuazione dei principi di libertà e di uguaglianza, tale da poter garantire l’esercizio del diritto all’istruzione, alla cultura e alta formazione (tematica a cui sono molto legata) nonché alla valorizzazione delle attitudini e delle capacità e risorse personali.

Grazie al Master in Mediazione presso l’ente Adsum, con la lezione della Docente Cecere ho avuto l’opportunità di conoscere questa bellissima realtà che opera sia sul territorio di Bari che a livello nazionale.

In linea con la mission dell’associazione, metterò in campo le mie risorse formative e non, pronta ad apprendere e collaborare con tutti i professionisti che svolgono la loro attività e danno il loro prezioso contributo all’associazione, cercando di cogliere da ognuno di loro e dalle loro differenti professioni un accrescimento non indifferente al mio bagaglio culturale e personale, in aggiunta anche a quello formativo.

Vi ringrazio e vi rinnovo la mia totale disponibilità.

Federica

OUTFIT AL LAVORO: MEGLIO GONNA O PANTALONE?

Per la nostra rubrica “pillole d’immagine” ancora preziosissimi consigli di stile della nostra Ottavia Ditroia, responsabile progetto “Benessere ed empowerment”

Me la sento rivolgere spesso questa domanda: cosa devo prediligere in ufficio d’estate? E’ meglio la gonna o il  pantalone?

Come al solito, quando si tratta di stile, le risposte non possono essere MAI generiche, ma si devono adattare allo specifico stile di vita di chi pone la domanda.

E allora cosa fare?

La chiave del successo è trovare un look da ufficio per l’estate professionale ma leggero, è un dato di fatto che lo stress termico influisce sempre sull’outfit, oltre che sulla produttività. 

Quindi ho studiato per voi questi outfit estivi per l’ufficio che vi permetteranno di affrontare con stile e professionalità le alte temperature, oltre che call, meeting e quant’altro. Certo, tutte preferiremmo essere già sulla spiaggia in costume e infradito, ma visto che non è ancora possibile… meglio correre ai ripari con freschi look da ufficio che ci permettono di respirare persino quando l’aria condizionata smette di funzionare. Eccoli!

  1. PRIMA DI TUTTO PENSATE AI TESSUTI DA INDOSSARE: scegliete sempre tessuti naturali e non sintetici, perché fanno respirare la pelle, sono leggeri, comodi e lussuosi; perciò via libera al cotone leggero, al lino, alla seta…. Un esempio di outfit potrebbe essere un completo in lino o in cotone, con gonna o pantalone a seconda delle esigenze.  E per movimentare il classico dress code da ufficio, puntate su colori dal tocco vintage e ricercato. Black&white? Quello riservatelo al prossimo inverno! Gli accessori? Quelli di sempre: una borsa capiente e delle slingback.
  2. L’ABITO CHE SFIORA IL GINOCCHIO: il vestito in ufficio è bandito? Il segreto è prediligere abiti strutturati, come il tubino. Sopra, un blazer colorato dalla vestibilità ampia, che deve necessariamente essere più corto dell’abito di almeno 10 centimetri. Uno stratagemma di styling che contribuisce a donare professionalità al look da ufficio.
  3. MAI PENSATO AD UNA JUMPSUIT?: la tuta intera potrebbe essere la risposta in alcune circostanze, soprattutto quando siamo in ritardo e non abbiamo il tempo di pensare agli abbinamenti.  Il modello ideale è sartoriale, in un tessuto leggero e dal taglio non aderente, col colletto a camicia o a blazer. Nessuna divagazione cargo: la metà è il meeting, non il giardinaggio. Gli accessori qui giocano un ruolo fondamentale: gioielli semplici e minimali , sandali chiusi sul davanti a coprire le dita, una borsa di media grandezza, e soprattutto una cintura in vita, che regala all’outfit quel tocco formale in più.
  4. BLUSA CON GONNA MIDI: la gonna midi è un’alleata perfetta quando fa caldo in ufficio perché ci permette di stare fresche senza risultare inappropriate. Da abbinare ad una blusa bianca o in un colore acceso e, per completa il look, un paio di sandali dal tacco squadrato.
  5. MAXI-ABITO CON MANICHE A 3/4: come riutilizzare tutti i nostri meravigliosi e fluttuanti maxi-abiti, a fiori o in altre stampe, che quest’anno abbiamo lasciato nell’armadio? In ufficio, d’estate. Il focus è sulle maniche: per risultare impeccabili, coprire le spalle è d’obbligo. Da prediligere i modelli che esaltano le forme senza appesantirle, o al contrario, nasconderle: uno chemisier un abito a portafoglio stretto in vita che ricade morbido sui fianchi. Ai piedi, sandali alti, décolleté o al contrario sling back flat; non sono previste mezze misure. Da cambiare per la scampagnata nel weekend con un paio di sneakers.

Ottavia Ditroia

Delitto di Giulia Tramontano: quando l’aggravante discrimina la vita

Il nostro socio Prof Pierfrancesco Impedovo, processual-penalista e criminologo, si sofferma sulla delicata questione di diritto sottesa al caso della povera Giulia.

Una donna incinta è una donna che ha un’altra vita con sé. C’è, dunque, qualcosa in più che entra in gioco. C’è qualcun’altro a cui viene fatto un torto. Il torto supremo di portar via la vita. Nell’omicidio di una donna incinta accade qualcosa di doppiamente orrendo.

In queste ore gira in rete un hastag “#duplice omicidio” per sensibilizzare l’opinione pubblica a chiedere di cambiare il capo d’imputazione a carico di Alessandro Impagnatiello (risultato tecnicamente impossibile rebus sic stantibus), reo confesso dell’uccisione della giovane Giulia Tramontano incinta al settimo mese di gravidanza. 

Ricordiamo che il barman è imputato di omicidio volontario aggravato, occultamento di cadavere ed interruzione di gravidanza non consensuale. 

La domanda rivolta alle scienze giuridiche è quindi semplice.

Uccidere una donna incinta è duplice omicidio? 

Negli Stati Uniti d’America sì. 

Il governatore Eric Holcomb ha infatti promulgato una legge che riconoscere anche il bambino nel grembo come vittima, nel caso venga uccisa la donna che lo porta.

Ciò vuol dire che sia che si tratti di omicidio volontario, che di omicidio colposo il reato è duplice.

La norma vale «in qualsiasi fase dello sviluppo» del bambino e non è rilevante se l’autore del reato fosse consapevole o meno della gravidanza. Il secondo omicidio comporta un aggravamento di pena da sei a vent’anni. 

Per il nostro ordinamento, invece un feto non è ancora una persona. E se ciò che uccidi non è una persona “tecnicamente” non è stato un omicidio.

In caso di un omicidio di una donna incinta è quindi considerato come omicidio di una persona -con delle aggravanti, certo- ma non un duplice omicidio. Perché per la legge è stata uccisa una sola persona. Il feto viene considerato a tutti gli effetti un “pezzo” della madre, non una vita autonoma. 

Questo almeno finché il feto vivo non si è distaccato, in modo naturale o indotto, dall’utero materno. O a partire dal travaglio, secondo interpretazioni più recenti e meno restrittive del concetto di “uomo” (cfr Cas. 27539/2019). 

Per differenziare quindi il reato da procurato interruzione di gravidanza a omicidio ci deve essere il passaggio dalla vita intrauterina a quella extra uterina con la manifestazione del primo atto respiratorio. In altre parole il feto deve nascere vivo.

Pertanto, la legge italiana attualmente non prevede il riconoscimento del duplice omicidio in caso di assassinio di una donna in gravidanza, indipendentemente dal mese di avanzamento della stessa.

Da qui il sorgere in queste ore di un vasto movimento d’opinione atto a promuovere, nelle nelle opportune sedi governative, la richiesta di un intervento legislativo, affinché venga riconosciuto il duplice omicidio quando la vittima è una donna in gravidanza in stato avanzato e giungere ad infliggere pene più gravi.

  • l’Italia, purtroppo, non è nuova a casi di questo genere: 2001, Silvia Cattaneo 26 anni di Arese, 2003 Monica Ravizza 24 anni di Milano, 2006 Jennifer Zacconi 22 anni di Olmo di Martellago, 2017 Irina Bakal 21 anni di Formeniga, solo per citarne alcuni. 

La posizione del diritto penale di fronte ai temi dell’inizio e della fine della vita umana è accomunata non solo dalle zavorre ideologiche che, almeno in certi casi, sono in grado di “appesantire” l’opera dell’interprete e/o del legislatore, ma anche, su un piano per certi aspetti opposto, dalla necessità di fare i conti con gli incalzanti progressi della scienza e della tecnica. 

Rispondere ai quesiti “quando si nasce?” e “quando si muore?” in una prospettiva giuridica è divenuta un’operazione particolarmente complessa, visti, da una parte, gli studi sempre più dettagliati sull’embrione e, dall’altra, le tecniche che consentono di prolungare le funzioni vitali di un individuo ben al di là di quanto fosse anche solo immaginabile ai tempi di compilazione del codice penale. 

Il codice penale, come s’è detto,  assume come discrimen di tutela della vita il momento della nascita, che segna anche l’applicazione della fattispecie di omicidio comune (art. 575 c.p.) o, in presenza di condizioni di abbandono morale e materiale, di infanticidio (art. 578 c.p.). La “nascita” deve essere intesa come il distacco del feto dall’utero materno, naturale o indotto: prima di questo momento possono trovare applicazione i delitti di aborto, dopo questo momento si apre la via all’applicazione dei delitti di omicidio. 

Una legislazione ragionevole, forse, dovrebbe anzitutto predisporre una tutela il cui grado di incisività corrisponda ai diversi stadi di sviluppo del concepito, in accordo con gli interessi di cui è titolare la madre (rectius, la donna), senza contare la necessità di delineare un sistema intimamente coerente di tutela penale della persona in limine vitae e in limine mortis: pur nella consapevolezza che l’“equilibrio perfetto” non è un obiettivo giuridicamente raggiungibile, specie quando a venire in considerazione siano gli interrogativi essenziali relativi alla stessa condizione umana (Cos’è la vita? Cos’è la morte?). 

Attendiamo fiduciosi.

Pierfrancesco Impedovo

Giulia Tramontano: un femminicidio e un figlicidio figli della società dell’Ego.

Il nostro socio Prof. Michele Colasuonno, psicologo e teologo, ci accompagna in una riflessione struggente e schietta sulla genesi di questi tragici avvenimenti.

Mentre mi trovo davanti al foglio bianco, cercando le parole, sentendo le emozioni, sfogliando ogni sorta di manuale o libro che mi aiutino a commentare quanto accaduto a Giulia Tramontano, la Tv è accesa e il Tg riporta ancora un femminicidio, quello di Pier Paola Romano.

Una sola domanda mi sorge: dove stiamo andando?

In questi giorni, anche per via del mio ruolo di psicologo responsabile del trattamento degli offender per l’associazione fermiconlemani, approfondivo lo studio di un testo e mi sono imbattuto in un capitolo dal titolo “Uomini che esercitano violenza sulle donne: una lettura alla luce della teoria dell’attaccamento”, e l’autore con competenza e senso realistico, riporta anche dati sociologici: da sempre, da quando è nata la società maschilista la violenza sulle donne, purtroppo aggiungerei io, è stata socialmente accettata e taciuta, ma che forse non arrivava mai a tanta crudeltà e violenza, per vari motivi; ma come l’autore anche io mi chiedo può questo giustificare uno stile aggressivo, violento, predominante nelle relazioni?

Oggi ci troviamo non solo davanti ad un femminicidio ma anche ad un figlicidio, sì perché Giulia era al settimo mese di gravidanza.

Dove stiamo andando?

Lascio ad altro spazio tutto quello che può riguardare la teoria dell’attaccamento (sarei troppo prolisso), e mi chiedo che fine ha fatto il Super-Io di freudiana memoria, dove sia finita la scala dei valori che governa la mente e l’agito di ogni persona; il narcisismo ci sta portando verso la soddisfazione esclusiva dei nostri bisogni a scapito della vita delle persone che ci circondano e che, in certi casi, sosteniamo di amare e, ancora di più, a scapito della vita di un nostro figlio.

Non c’è più tempo. Urge fare qualcosa che fermi questa mattanza di valori, questa mattanza di rispetto, la solitudine del narcisismo ci sta portando verso una disumanizzazione dell’Umano.

Da docente di una materia che mi permette di entrare in contatto con i miei alunni  senza l’ansia della fine del programma, ritengo che la scuola possa essere uno dei luoghi dove ancora si potrebbe insegnare l’umanizzazione, dove oltre alle tante materie assolutamente utili e indispensabili, si potrebbe scalfire il narcisismo maligno dilagante, ma per poter fare questo bisogna fare scelte concrete e audaci, forse politicamente poco produttive, ma umanamente molto utili. 

Tutto già detto forse, lo sgomento e il dolore irromperanno nuovamente alla prossima notizia che ascolteremo.

Ma ora lasciatemi fluire tutto il dolore per il piccolo Thiago, questo il nome del bambino che Giulia aveva in grembo:

Caro papà, quando ero nella pancia di mamma non ho mai avuto paura. Lì era bello; ad ogni passo che lei faceva mi sentivo cullato, il battito del suo cuore era una musica dolce che ascoltavo prima di addormentarmi. 

Poi, a volte, sentivo qualcosa che mi toccava un piedino, o il braccio: erano le tue mani papà. Potevo riconoscerle, perché a differenza di quelle delle mamma, si muovevano con un po’ di timore. Forse avevi paura di farmi male o di darmi fastidio. Invece a me piaceva. Mi sentivo felice. Quando hai iniziato a parlarmi, piano piano ho imparato a riconoscere anche la tua voce; che buffo eri quando mi cantavi quelle canzoncine, o quando mi raccontavi delle domeniche che sarebbero arrivate, dei giochi con la palla, della scuola, delle gite. Che ridere papà. Anche la mamma rideva, forse anche lei pensava che tu fossi buffo. 

Un giorno è successo qualcosa di strano; ho fatto una capriola e avevo tantissima voglia di nuotare…sentivo la mamma un po’ ridere e un po’ piangere. Poi ho riconosciuto la tua voce. Dicevi alla mamma che era bravissima, che stava facendo un buon lavoro. Dicevi che da lì a poco, io sarei stato tra le sue braccia e che doveva mettercela tutta. 

Quando finalmente sono nato, vi ho sentiti. Ho sentito la pelle della mamma e il sapore del suo latte. Ho sentito cadere sulla mia testa gocce di lacrime. Ma eccole li: le tue mani. Le ho riconosciute perché si muovevano con lo stesso timore di quando mi accarezzavi attraverso la pancia. E finalmente mi sono sentito al sicuro.

Da quel momento ti sei preso cura di me. Hai smesso di andare alle partite di calcetto, ora giochiamo insieme a bubusettete. Hai smesso di guardare i film di paura, ora insieme leggiamo tanti libri di fiabe. Hai smesso di andare a dormire tardi perché ora, quello che ti piace, è addormentarti abbracciato a me. Quando mi cambi il pannolino, sei sempre il solito papà buffo che ho sempre pensato! Le tue smorfie mi fanno ridere un sacco! 

Ora sono un po’ più grande. Sto crescendo papà, e non ho paura. So di potere scalare il divano, perché tu sei vicino a me. So che posso fare le corse, perché se cado un tuo bacio fa passare il dolore. So che posso combinare tutti i disastri del mondo, perché quando la mamma mi rimprovererà, tu sarai mio complice e dietro di lei mi farai l’occhiolino. 

Papà, promettimi una cosa: promettimi che anche quando ti arriverò alle spalle non smetterai di raccontarmi di mostri e pirati, non smetterai di fare capanne con sedie e coperte ma soprattutto continuerai a fare ridere la mamma. Grazie papà, per avermi regalato te stesso. 

Con tutto il bene del mondo, il tuo bambino.” – Maria Russomanno –

Ecco tutto quello che ti sei perso, Alessandro Impagnatiello. 

Prof. Michele Colasuonno

la lettera citata è tratta da: https://www.chizzocute.it/lettera-al-papa-da-un-neonato/