COME VESTIRSI BENE SPENDENDO POCO

Ce lo spiega passo passo la nostra responsabile progetto “Benessere ed Empowerment”, esperta di moda e personal shopper Ottavia Ditroia

Oggi affronteremo insieme la domanda: E’ possibile vestirsi bene con un budget limitato oppure è necessario spendere molti soldi per costruire un guardaroba e uno stile di classe?

In effetti non è assolutamente necessario svaligiare una banca per essere sempre vestite con capi di qualità, di ottima fattura e che ci calzano a pennello!

In generale possiamo infatti dire che gli ingredienti fondamentali sono: innanzitutto una buona dose di buon gusto; una bella manciata di ispirazione sempre viva e attenta che ci permette di mantenere  “fresco” e moderno il nostro armadio e soprattutto tanta attenzione, non solo nei confronti del nostro guardaroba, ma di noi stesse, della nostra immagine in generale e di conseguenza del nostro benessere.

E allora, siete pronte a fare un meraviglioso viaggio nel mondo del vostro armadio con me?

Cominciamo!

Ecco i trucchetti dell’esperta:

FITTING: ovvero la vestibilità di ciò che indossiamo e la aderenza alla nostra body shape. Ciò richiede ovviamente la conoscenza della forma del nostro corpo e, di conseguenza, delle parti di esso che vogliamo valorizzare per far scomparire quelle zone di noi che non ci fanno impazzire o che ci rendono insicure. Impariamo quindi a valorizzare i nostri punti di forza piuttosto che pensare solo a quelli di debolezza!

COLORI: ormai faccio con molta passione questo lavoro da quasi 10 anni, ma mi sorprende sempre la non curanza con cui ci si accosta ai colori da indossare, prediligendo per esempio sempre il nero, in ogni stagione, in ogni momento della giornata e per ogni occasione d’uso, perché il nero è un “colore rifugio” e si pensa, ERRONEAMENTE, che sia un salva vita. Invece non è proprio così, o almeno non sempre. Fare un’analisi di armocromia e scoprire i COLORI, la loro bellezza, freschezza e il potere che hanno non solo sul nostro umore ma anche e soprattutto sul nostro aspetto fisico, è sempre un momento emozionante. E’ l’istante in cui si comprende che indossare i colori giusti può davvero cambiare la percezione che si ha di sé; è un momento davvero rivoluzionario che migliora notevolmente la vita e accresce la sicurezza nel momento degli acquisti, perché si sa’ esattamente cosa acquistare. Ciò comporta, ovviamente, anche un enorme risparmio economico (non un particolare da sottovalutare) dato che non si faranno più acquisti sbagliati.

ELIMINARE IL SUPERFLUO: la mia cara Coco Chanel diceva: “Quando esci di casa, guardati allo specchio e togliti qualcosa”. Ecco, si tratta di ricercare volutamente la SEMPLICITA’ nel nostro look, perché la semplicità è sempre sinonimo di eleganza. La nostra persona non può brillare se il nostro outfit è composto di troppi elementi, di troppe decorazioni, di troppi colori, di troppi gioielli, che distraggono l’attenzione da noi. Attenzione: semplice non vuol dire banale!

IL VINTAGE: la borsa della mamma o della nonna a cui siamo particolarmente legate, oppure un bel foulard colorato o un gioiello importante sono il FOCAL POINT di un outfit semplice, ovvero ciò che porta tutto il nostro look da 0 a 100 in un attimo. E allora, rispolveriamoli questi oggetti vintage che, sono sicura, restano nei nostri cassetti a fare polvere! Avremo raggiunto due obiettivi: dare loro un nuovo significato e valorizzare enormemente anche il più semplice degli outfit. Attenzione! Il capo/accessorio vintage deve essere solo uno e deve rientrare all’interno di un outfit moderno e contemporaneo……per evitare l’effetto nostalgia!

LA REGOLA DEL 3: cioè aggiungere un terzo pezzo, caratteristico della nostra personalità, ad un outfit basico. Faccio un esempio: immaginate un outfit composto da pantalone nero e camicia bianca. Questo è un basico eccellente, una tela grezza su cui dipingere il nostro modo di essere. Io, per esempio, inserirei un bel blazer bianco o colorato, corredando il tutto con un foulard fantasia, ma immaginate come lo stesso outfit potrebbe cambiare se una donna più rock aggiungesse un chiodo nero o nocciola o anche colorato; un’altra donna invece, potrebbe abbinare un bel trench oversize o al contrario dalle linee classiche……. E potremmo andare avanti all’infinito. Forza, sfoderate la vostra personalità e lo vostra fantasia aggiungendo un terzo pezzo ad un outfit basico e vedrete che differenza, ma soprattutto……..che divertimento!

Ottavia Ditroia

Strage di Altavilla, l’ombra del satanismo torna a tingere di nero la cronaca italiana.

La parola agli esperti…

Una setta di fanatici che hanno usato la religione per avallare il suo delirio omicida. Un gruppetto di invasati che, abusando del nome di Dio, praticavano esorcismi su coloro che ritenevano posseduti dal demonio, supplizi e torture, fino alla morte, per chi non soggiaceva al loro giudizio incrollabile. Intorno alla strage di Altavilla Milicia (Palermo) ruota un mondo di “soldati di Dio” (così si definivano) che trasforma la fede in ossessione, fino a uno svuotamento emotivo della realtà.

Il muratore Giovanni Barreca che ha ucciso la moglie Antonella Salamone, 40 anni (li avrebbe compiuti ieri) e due dei suoi tre figli, Kevin di 16 anni ed Emanuel di 5, si è mosso seguendo il copione di un film horror con la regia di due “fratelli di fede”, una coppia, complice – a sentire i pm – nella strage e accusata di concorso in omicidio e occultamento di cadavere. I loro nomi sono Massimo Carandente, originario del Napoletano, e la compagna Sabrina Fina, palermitana.

Ufficialmente erano promoter di tisane e pasticche per la cura del corpo, in realtà entrambi ossessionati da un culto che governava in modo totalizzante le loro vite. Sarebbero stati loro a ispirare Barreca che avevano conosciuto durante un incontro di preghiera. Soprattutto Carandente avrebbe istigato e plagiato il padre-killer, convincendolo che i figli maschi e la moglie erano invasati: “Non trovi lavoro – dicevano al muratore disoccupato – perché loro sono posseduti dal demonio”. Al culmine del delirio, venerdì scorso, Barreca afferra una catena e strangola i due figli, risparmiando la primogenita di 17 anni. Una settimana prima, aveva ucciso la moglie Antonella, di 14 anni più giovane, facendola a pezzi, bruciandone il corpo e seppellendolo nella campagna dietro casa. Una strage messa in atto, probabilmente, con la complicità della coppia. Quando viene portato in caserma dai carabinieri, Barreca ripete ai militari: “C’era il demonio in casa”.

Sullo sfondo della tragedia emerge una quarta figura, quella di Roberto Amatulli, ex parrucchiere di Bari che si autoproclama “ministro di Cristo Gesù ripieno dello Spirito Santo” e diffonde in rete i video delle sue presunte guarigioni. Lo sciamano barese era diventato un faro di Barreca, a lui si ispirava nei suoi deliri, a quel santone che cianciava di miracoli, facendo proseliti in mezza Italia e con malati che interrompevano le cure credendo alle sue parole.

Fatti inquietanti che vogliamo cercare di comprendere in profondità con l’aiuto di due figure competenti: l’Avvocata Tiziana Cecere e il Prof. Pierfrancesco Impedovo, rispettivamente presidentessa e vice della nostra associazione. Avvocata Cecere, proprio un anno fa usciva il Suo saggio “Il diavolo che agisce sulle nostre vite”, edito da Calibano, un viaggio nell’inquietante mondo delle sette sataniche e del satanismo, fenomeni che molti autorevoli studiosi del settore considerano pressapoco estinti nel nostro paese, almeno dopo le note gesta delle “Bestie di Satana”; i fatti che ci occupano sembrano aver tutto d’un tratto riacceso i riflettori su questo mondo apparentemente sommerso, qual è la Sua opinione? “Come criminologa e sulla base degli approfondimenti svolti in occasione della stesura del mio saggio, ritengo che i culti settari e il satanismo siano tutt’altro che sopiti nel nostro paese, come in tutto il resto del mondo; tuttavia si tratta nella maggior parte dei casi di organizzazioni che agiscono nell’ombra e che molto raramente danno luogo ad episodi di cosiddetto “Satanismo criminoso”, ossia delitti commessi    nel contesto di un rituale satanico. Nel caso di Altavilla, la correlazione con il satanismo criminoso va valutata con estrema attenzione, tanto più che i gruppi pentecostali che frequentava il presunto autore della strage hanno un grande timore del diavolo. È assai più probabile che il presunto assassino abbia trovato nelle sue recenti frequentazioni, che fanno comunque pensare ad un contesto manipolatorio di matrice fanatica e pseudoreligiosa, argomenti per incanalare i propri disagi. Le persone fragili possono cadere facile preda di suggestioni del genere, come potrebbe essere avvenuto ad Altavilla”. Prof. Impedovo, è emersa al parola “fragilità”, che ruolo può aver avuto la suggestionabilità di Altavilla nell’azione delittuosa? “Nelle indagini è emersa un’altra figura, non di poco conto, quella di Roberto Amatulli, un predicatore evangelico pentecostale, sedicente guaritore che avrebbe ‘ispirato’ negli ultimi mesi le ossessioni di Barreca. Questo figuro, che si proclama ‘guaritore’, è uno dei tanti predicatori ‘auto nominati’; mi consta che facesse il parrucchiere prima di aver sentito la chiama del Signore e di aver ricevuto il ‘dono’ di produrre presunte guarigioni chiedendo offerte di vario tipo.  Certamente la fragilità di Barreca è la chiave di lettura di questo come di tutti i delitti agiti o subiti che hanno come causa originaria il ‘plagio’ di spiriti deboli che possano poi produrre comportamenti imprevedibili in conseguenza di certe suggestioni. Come giurista e criminologo mi onoro di aver curato la parte giuridica del saggio della presidentessa Cecere, laddove ho posto l’accento su come, dopo l’estromissione dal nostro ordinamento del reato di plagio avvenuta ad opera della Consulta nel 1981, ad oggi non vi sia una norma che tuteli le vittime di abusi psicologici. Episodi come questo testimoniano l’assoluta indifferibilità di una nuova ed aggiornata fattispecie normativa che combatta quella che è divenuta una vera e propria ‘piaga del nostro tempo’. Questa è la ragione per la quale con Fermiconlemani ci stiamo facendo promotori, a diversi livelli, di tavoli tecnici che possano ispirare e stimolare il legislatore a dare risposte concrete in tempi ragionevoli”. Avvocata Cecere, più nello specifico, qual è la sua ricetta per arginare i fenomeni di manipolazione mentale che abbiamo compreso essere alla base di episodi come quello di Altavilla? “Fermiconlemani promuove sul territorio nazionale non solo l’espandersi di una rete di professionisti per il supporto e l’aiuto nei confronti delle vittime di violenza (in ogni sua forma), ma sente fortemente intrinseca alla sua missione la necessità di operare nell’ambito della prevenzione a livello sociale di comportamenti e atteggiamenti volti a ledere il prossimo.  La prevenzione si fa anche attraverso la divulgazione di materiale di ricerca e studio che possa informare la collettività riguardo i rischi di inciampare in dinamiche di manipolazione psicologica, brain washing e via dicendo. Le vittime spesso si ritrovano a subire o, come in questo caso, a porre in essere condotte gravissime con esiti fatali o comunque tali da procurare danni psicologici, morali, biologici ed economici non indifferenti; il tutto senza adeguata tutela giuridica, stante il vuoto legislativo susseguente allabolizione del delitto di plagio. Il mio saggio Il diavolo che agisce sulle nostre vite”, vuole essere appunto uno strumento in più per mettere in guardia l’opinione pubblica dal pericolo invisibile delle sette e delle psicosette che, come ci dimostrano le cronache di questi giorni, miete sempre più vittime, soprattutto fra i più giovani, anche per la facilità con cui possono essere avvicinati nel mondo virtuale”.

I CAPI E GLI ACCESSORI CHE NON SI DEVONO COMPRARE: SHOPPING INTELLIGENTE E SOSTENIBILE

La nostra responsabile progetto “Benessere ed Empowerment” e personal shopper “al contrario” vi svela cosa resistere alla febbre da saldi….

Le mie clienti mi hanno soprannominata “La Personal Shopper al contrario” e volete sapere perché?

Semplicemente perché il mio scopo non è far fare shopping senza motivo, ma ho un po’ la presunzione di insegnare a fare shopping solo se strettamente necessario e solo dopo aver analizzato accuratamente tutto l’armadio della cliente; infatti la mia esperienza mi ha insegnato che la maggior parte di noi donne ha praticamente tutto nell’armadio e solo in qualche caso bisogna integrare con capi specifici, spesso basici e classici che fungeranno da “collettori” con ciò che già si possiede.

E’ per questo motivo che oggi vi svelo quali sono i capi e gli accessori che non consiglio MAI di acquistare e spero vi sia di aiuto per fare del buon shopping in questo periodo di saldi:

CAPI SINTETICI: sono quelli che più spesso si trovano sul mercato perché sono meno cari, ma in questo caso è meglio non acquistarli per niente perché, lo abbiamo detto tante volte, non sono confortevoli, non durano che pochissimo tempo, non sono traspiranti e soprattutto inquinano notevolmente l’ambiente, perciò non acquistarli fa bene anche al nostro pianeta, oltre che a noi e al nostro portafoglio. Evitate poliestere, poliammide, elastam…. e optate per tessuti naturali: cotone, lino, seta, cashmire, lana….

CAPI IN SCONTO: non che consigli di non fare shopping nel periodo tanto atteso dei saldi, ma consiglio sempre di NON acquistare un capo SOLO perché è in saldo. Prima di acquistarlo bisogna: controllare l’etichetta ed assicurarsi che non sia composto per la maggior parte da fibre sintetiche e poi chiedersi: mi serve davvero? Posso abbinarlo ALMENO 3 volte in maniera diversa con il resto dei capi che ho nell’armadio? Se la risposta è NO anche ad una di queste domande: DESISTETE;

BIGIOTTERIA DI SCARSA QUALITA’: anche in questo caso è meglio evitare di spendere denaro per collanine, orecchini, anelli ecc che si rovinerebbero già al terzo utilizzo. Evitate la fast fashion anche se fa davvero gola e optate per pochi gioielli ma di buona qualità: che non si anneriscano e che non vi creino allergie. Come in tutto ciò che attiene alla moda: LESS IS MORE

OCCHIALI DA SOLE: eviterei di acquistare occhiali da sole della fast fashion perché le lenti sono di scarsissima qualità e potrebbero rovinarvi gli occhi; meglio averne solo 1 ma di ottima qualità.

Ottavia Ditroia

I CAPI E GLI ACCESSORI SUI QUALI E’ NECESSARIO INVESTIRE

Dopo la pausa natalizia riprende la rubrica più fashion del web a cura della nostra responsabile progetto “Benessere ed Empowerment”, esperta di moda e tendenze Ottavia Ditroia.

Chi mi conosce da un po’ sa’ che sono la PALADINA DEL BUON SPENDERE perché penso con convinzione che non sia necessario spendere un capitale per essere eleganti o per avere nell’armadio capi di qualità. La cosa importante, quando si parla di shopping, è essere brave a trovare il capo o l’accessorio di buona qualità al giusto prezzo. 

Ma cosa si intende per GIUSTO PREZZO?

Una Personal Shopper esperta lo sa: conosce i brand che bilanciano in modo corretto prezzo e qualità.

Perciò è necessario affidarsi alle sue mani sia per acquisti importanti che non.

Però una Personal Shopper esperta sa’ anche che ci sono capi ed accessori sui quali vale la pena investire qualche soldino in più con l’obiettivo di usarli per i prossimi anni a venire in quanto sono super classici e senza tempo e perché la qualità di cui sono fatti giustifica il loro prezzo.

Ve li elenco qui di seguito:

SCARPE:  comprare un bellissimo paio di scarpe e per giunta di ottima qualità, ha un valore maggiore di quanto possiate immaginare. Un paio di scarpe, anche non necessariamente di alta moda, ma perfetto dal punto di vista della fattura e del materiale e comodo potrebbe cambiarvi la vita e desiderare di calzare solo quello. Guardate bene la confezione e leggete di quali materiali sono composte le scarpe che state acquistando; controllate che la forma sia adatta al vostro piede, che abbia un plantare a cuscinetto che vi aiuti negli urti e siate molto attente nella scelta del tacco che deve essere adatto all’uso che ne volete fare;

CINTURA: il valore e l’importanza di una bella cintura è enorme perché è il pezzo che arricchisce in un attimo anche il più semplice degli outfit. Il fatto, poi, che sia di pelle vi permette di goderne il più a lungo possibile. Si può indossare all’infinito in tutte le stagioni e in modi molto diversi: con jeans, pantaloni e gonne, sui cappotti e sui blazer, sui maglioni oversize, sugli abiti…..la lista è davvero infinita. Di qui la necessità di spendere un po’ di più;

INTIMO: forse molte donne non lo considerano importante, ma indossare un intimo di qualità è sempre sinonimo di vestibilità perfetta. Non c’è niente di peggio che vedere antiestetiche righe o rigonfiamenti nelle zone del seno o nelle parti basse del corpo causate da un intimo di pessima qualità o di una taglia sbagliata. Pensate a come in un minuto si vanifica tutto il lavoro che avete fatto per mettere insieme il vostro ricercatissimo outfit!!!

JEANS: quante volte vi capita di non poter indossare quel paio di jeans che vi piaceva tanto perché si è rovinato dopo soli pochi lavaggi? Il motivo è sempre lo stesso: non avevate acquistato un capo di qualità e vi siete fatte INGANNARE dal modello che vi ha fatto distrarre dal guardare l’etichetta. Siccome il jeans è un capo indispensabile nell’armadio di ogni donna di qualsiasi età, non pensate che sia il caso di acquistarne al massimo un paio ma di ottima qualità e del modello che si adatti alla forma del vostro corpo? Questo vi consentirà di indossarlo per molti anni senza che si slabbri o si scolorisca. Anche in questo caso, evitate il poliestere, controllate le cuciture e la vestibilità intorno alla zona bacino e gambe;

BLAZER: che dire? E’ il mio capo preferito in assoluto, per me è una vera ossessione, nel mio armadio ne ho di tutti i colori (della mia palette, ovviamente!!!!!!) ma se non ne siete così pazze come me, sappiate che almeno un paio sono necessari per un armadio che si rispetti (uno bianco e uno nero). E’ il capo che si indossa in tutte le stagioni e per ogni occasione d’uso davvero, quindi è indispensabile investire un po’ di più per questo capo. Optate per modelli super classici, di ottima qualità (guardate sempre le etichette) e vestibilità e non dimenticate di guardare anche i bottoni che fanno una grossa differenza.

Ottavia Ditroia

Quell’accorato appello del vicario di Cristo al rispetto delle donne.

Il Prof. Michele Colasuonno, nostro responsabile dell’area psicologica, psicologo e teologo, riflette sul senso profondo del pesante monito del Sommo Pontefice contro la dilagante spirale di violenza ai danni delle donne.

Ogni società ha bisogno di accogliere il dono della donna, di ogni donna: di rispettarla, custodirla, valorizzarla, sapendo che chi ferisce una sola donna profana Dio, nato da donna.

Come teologo ancor prima che come psicologo, e socio dell’associazione FERMICONLEMANI, le parole pronunciate da papa Francesco, nell’omelia del 1 gennaio 2024, solennità della madre di Dio,  hanno lasciato un segno e un sapore amaro nel costatare che ancora oggi, nel 2024, in una società che si professa civilizzata, ci sia ancora bisogno di pronunciarli da parte di un papa (e da parte del presidente della repubblica Italiana, visto l’intervento anche da parte di Mattarella sullo stesso tema).

Ma le parole e parole del genere, sono semi, e come ogni seme ha bisogno di tempo per poter germogliare, in queste piccole considerazioni.

Sono due i punti, a mio avviso cruciali, dell’omelia, sulle quali vorrei porre l’attenzione, il primo:

“… Nella pienezza del tempo il Padre mandò il suo Figlio nato da donna; ma il testo di San Paolo aggiunge un secondo invio: «Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”» (Gal 4,6). E anche nell’invio dello Spirito la Madre è protagonista: lo Spirito Santo comincia a posarsi su di lei nell’Annunciazione (cfr Lc 1,35), poi agli inizi della Chiesa discende sugli Apostoli riuniti in preghiera «con Maria, la Madre» (At 1,14). Così l’accoglienza di Maria ci ha portato i doni più grandi: lei ha «reso nostro fratello il Signore della maestà» (Tommaso da Celano, Vita seconda, CL, 198: FF 786) e ha permesso allo Spirito di gridare nei nostri cuori: “Abbà, Papà!”. La maternità di Maria è la via per incontrare la tenerezza paterna di Dio, la via più vicina, più diretta, più facile. Questo è lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza. La Madre, infatti, ci conduce all’inizio e al cuore della fede, che non è una teoria o un impegno, ma un dono immenso, che ci fa figli amati, dimore dell’amore del Padre. Perciò accogliere nella propria vita la Madre non è una scelta di devozione, ma è un’esigenza di fede: «Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani» (S. Paolo VI, Omelia a Cagliari, 24 aprile 1970), cioè figli di Maria.”

Sè è vero che Grazie a Maria ci è stato permesso di essere Figli di Dio, e chiamare Dio Padre, ed essere Fratelli del Dio Figlio Gesù, è vero che ogni uomo deve ringraziare incessantemente una donna per la vita, è vero che per la generazione della vita abbiamo bisogno di un uomo e di una donna, ma la donna mamma permette il miracolo della vita, da due cellule, curate, custodite, coccolate, abbiamo la vita di ogni persona, abbiamo il miracolo davanti al quale lo stesso Creatore esclama “È cosa molto buona, è cosa meravigliosa” Gen. 1,31. È la donna mamma che per prima ci avvolge nelle sue braccia amorose, e che ci dona all’uomo padre perché il miracolo della crescita possa continuare come sottolinea Jacques Lacan.

 Secondo:

“Di Maria la Chiesa ha bisogno per riscoprire il proprio volto femminile: per assomigliare maggiormente a lei che, donna, Vergine e Madre, ne rappresenta il modello e la figura perfetta (cfr Lumen gentium, 63); per fare spazio alle donne ed essere generativa attraverso una pastorale fatta di cura e di sollecitudine, di pazienza e di coraggio materno. Ma anche il mondo ha bisogno di guardare alle madri e alle donne per trovare la pace, per uscire dalle spirali della violenza e dell’odio, e tornare ad avere sguardi umani e cuori che vedono. E ogni società ha bisogno di accogliere il dono della donna, di ogni donna: di rispettarla, custodirla, valorizzarla, sapendo che chi ferisce una sola donna profana Dio, nato da donna.”

Trovo poetiche e profetiche queste parole, urgenti come ogni respiro, dolci come il miele ma taglienti come una lama, sì abbiamo bisogno di riscoprire in ognuno di noi il volto femminile, quel femminile che più e prima di ogni altro femminile può spaventare in un mondo dove vince il più forte e mette fuori con le unghie e con i denti la forza e la violenza, più che l’accoglienza e la pazienza. William Sloane Coffin scrive:  “La donna che più deve essere liberata è la donna che vive in ogni uomo”. 

Jung definisce l’animus come il lato maschile di una donna, e l’anima come il lato femminile di un uomo proiettati inconsciamente sulle persone dell’altro sesso, passaggio essenziale per riconoscere e conoscersi il proprio e l’altrui valore, in fondo la prima vittima del carnefice spessissimo è il carnefice stesso con le sue paure e le proprie zone d’ombra.

Concludo con un passo del Talmud che ben sintetizza quanto detto fin ora, e amplia all’infinito del respiro della Sapienza:

“La donna è uscita dalla costola dell’uomo,
non dai piedi perchè dovesse essere calpestata (sottomessa),
né dalla testa per essere superiore (per dominarlo),
ma dal fianco per essere uguale (al suo fianco).
un po’ più in basso del braccio per essere protetta
e dal lato del cuore per essere amata.”

Michele Colasuonno

COSA DOVREBBERO INDOSSARE  LE DONNE “TUTTE CURVE” PER VALORIZZARSI

Le forme non sono un limite per chi vuole essere fashion e vestire con gusto. La prova in questo vademecum della nostra responsabile progetto “Benessere ed Empowerment”, esperta di moda e personal shopper Ottavia Ditroia.

La bellezza e lo stile non riguardano affatto la TAGLIA. La bellezza di una donna, lo abbiamo detto tante volte, è un complesso insieme di fattori fisici e non che la rendono unica. Ogni donna è bella in modo diverso anche con i suoi “punti critici “.

Quindi la TAGLIA non deve condizionare in alcun modo la scelta dell’outfit.

Ciò che dovrebbe fare invece una donna è IMPARARE A VALORIZZARSI, perché è l’unico modo per apprezzarsi, volersi bene e trasformare i difetti in punti di forza smettendola di piangersi addosso.

Ecco perciò un elenco di capi che una donna con le curve dovrebbe provare per sentirsi subito più bella:

VESTITO A PORTAFOGLIO: è il vestito comodo per eccellenza perché non fascia, rimane morbido sui fianchi, si può regolare a proprio piacimento e regala soprattutto alla donna con un seno generoso una scollatura che scopre in modo chic; consiglio solo di evitare il jersey e la maglina perché segnano molto;

CARDIGAN: è un valido alleato se si vogliono indossare gonne tubino o pantaloni/jeans skinny e non si vogliono mettere in evidenza fianchi o lato B perché allunga otticamente la figura soprattutto se lasciato aperto;

TAILLEUR: il tailleur giacca e pantaloni sono fenomenali per segnare il punto vita e slanciare. Da indossare sia in ufficio che per occasioni più formali devono essere scelti in modo accurato. La lunghezza della giacca deve coprire il lato B e mai tagliarlo; deve avere dei tagli che seguono la figura soprattutto sul punto vita; il pantalone non deve mai fasciare la gamba ma deve rimanere morbido; meglio scegliere il pantalone palazzo;

CINTURA IN VITA: segnare il punto vita anche quando questo non lo è particolarmente è la chiave del successo di ogni outfit; usate la cintura non solo su gonne e pantaloni, ma anche su camicie, cardigan, blazer e perfino cappotti;

GONNA PLISSE’: è utile perché si appoggia sempre delicatamente sui fianchi senza mai segnarli come farebbe per esempio una gonna tubino. Per un effetto WOW, abbinatela ad una semplicissima camicia bianca e cintura in vita;

MAXI DRESS; sono morbidi, fluttuanti e, se non si amano particolarmente i propri polpacci o la proprie caviglie, sono ciò che fa per voi. Ci sono modelli sia estivi che invernali: in estate si indossano con qualsiasi tacco o con le sneackers, in inverno con stivali col tacco o senza. Nella stagione fredda, poi, sono il capo perfetto per stratificare;

PANTALONI PALAZZO: lo abbiamo già detto tante volte che donano davvero a tutte e regalano charme ed eleganza anche al più semplice degli outfit; poi non si attaccano alle gambe regalando infinita libertà di movimento. Un consiglio in più: sceglieteli a tinta unita perché le stampe, soprattutto quelle molto vistose, aumentano otticamente i volumi;

TOP O CAMICIE DAL TAGLIO PEPLUM: è un altro modo per segnare il punto vita e per nascondere la pancetta. Da indossare su gonne tubino o pantaloni sigaretta;

JUMPSUIT: chic senza sforzi, risolve tutti i dubbi di abbinamento. Se scelta in base alla forma del proprio corpo, regala centimetri SOLO in altezza. Anche in questo caso, eviterei stampe molto vistose e ne sceglierei una con cintura in vita.

Ottavia Ditroia

Cambiare le narrazioni per cambiare il mondo

Il delicato ruolo dei media nel racconto della violenza

É stato un raptus dopo l’ennesimo litigio”… “l’ho uccisa per gelosia”… “lui lavorava, lei stava dalla mattina alla sera al telefonino”…

Capita spesso di leggere o ascoltare nei media frasi e titoli come quelli succitati. “Un assassino – racconta l’avvocata Tiziana Cecere presidentessa dell’associazione antiviolenza Fermiconlemani, in un noto caso di cronaca di cui mi sono occupata, quello del brutale assassinio della giovanissima Noemi Durini, veniva chiamato ‘fidanzatino’ su tutti i giornali. Le vittime di violenza spesso vengono violentate una seconda volta”.

Con queste parole tonanti l’avvocata ci spiega il fenomeno della vittimizzazione secondaria delle donne. Cioè, le conseguenze dei titoli o racconti sbagliati: i media, alla stregua di tribunali, forze di polizia, assistenti sociali, possono rendere di nuovo vittima la donna, sbagliando terminologia, angolo di visuale, titolo, fotografia, associazioni o contestualizzazione.  

L’errore più comune è guardare al caso ancora troppo dal punto di vista di lui, citando giustificazioni che diventano moventi. E’ invece auspicabile nei casi di violenza adottare il punto di vista della vittima, in modo da ridarle la dignità e l’umanità che, in una cronaca quasi sempre morbosamente centrata sulla personalità dell’omicida, sono spesso perdute. Si parla ancora di raptus nei femminicidi e si cerca l’empatia col carnefice.Purtroppo da inizio anno si contano oltre 10 femminicidi al ritmo di uno ogni 3-5 giorni. In molti casi si sente spesso parlare di “raptus di follia” senta tenere in considerazione che a livello scientifico il raptus è riconosciuto solo nel 5% dei casi di femminicidio, nella maggioranza dei casi il delitto è figlio di una cultura patriarcale ben radicata. A volte la narrazione segue  lo schema secondo il quale  il carnefice era buono, poi arriva il fulmine a ciel sereno e lui ammazza la donna.  In altre circostanze  la ricostruzione della violenza spinge all’empatia verso quel pover’uomo che una donna egoista ha deciso di abbandonare. La vittima viene raccontata come una donna che si separa, toglie i figli al marito, i soldi, la casa. Il punto di vista, insomma, è quello dell’assassino.Il problema è culturale, affonda le radici in quella società patriarcale che è il terreno fertile della violenza. La soluzione si trova in un lungo lavoro di formazione: formazione a tutti i livelli e gradi; a volte, anche professionisti avveduti cascano nell’errore di condividere, senza usare filtri, stereotipi che provengono dal racconto di polizia, carabinieri, magistrati o altre categorie.Per tutte queste ragioni la chiave sta sempre nella formazione di tutte le categorie professionali che vengono a contatto con le vittime. Ed in questo senso la mia associazione, nell’ambito di un nuovo ed ambizioso progetto che vedrà schierate professionalità di altissima specializzazione di cui disponiamo, a breve offrirà percorsi formativi specifici per tutte le categorie coinvolte nel delicato alveo della prevenzione, del supporto ma anche della cronaca delle fenomenologie devianti.La violenza contro le donne, i bambini ed altre vittime vulnerabili pone questioni sociali, sanitarie e giuridiche che vanno affrontate da operatori esperti e qualificati. Il saper riconoscere, ascoltare, proteggere e curare le vittime di violenze richiede, infatti, una preparazione professionale specifica, al passo con le evoluzioni sociologiche del fenomeno e con gli strumenti di contrasto e di tutela che ne conseguono. È anche necessario che gli operatori possano sviluppare un know how attraverso il quale concorrere alle strategie di prevenzione primaria della violenza (e anche il racconto mediatico concorre a ciò), divenendo attori protagonisti della gestione complessiva del fenomeno. Un simile approccio richiede quindi di superare valutazioni e soluzioni semplicistiche che rischiano di adombrare la complessità del fenomeno e di suggerirne rimedi inadatti”.

Il team di Fermiconlemani

LEZIONI DI STILE: E’ TEMPO DI SNEAKERS. COME INDOSSARLE IN OGNI OCCASIONE.

La nostra Ottavia Ditroia, responsabile progetto “Benessere ed Empowermwnt”, esperta d’immagine e personal shopper ci apre uno squarcio sul mondo delle tanto amate sneakers.

C’è chi non vedeva l’ora di indossarle nuovamente e chi, invece, non ha mai smesso di farlo.

C’è chi non le ama particolarmente e chi sì e vorrebbe indossarle in ogni occasione e non sa come abbinarle nel modo corretto.

C’è chi pensa che siano appropriate solo per andare in palestra o comunque per occasioni assolutamente informali e chi, al contrario, ama indossarle con abbinamenti inaspettati.

Per tutte le sneakers lovers e non, quanto leggerete qui di seguito vi catapulterà nel mondo delle calzature comode, è vero, ma senza mai rinunciare al glamour!

Ci sono, infatti, sneakers e sneakers, perchè sembrano tutte uguali ma non lo sono affatto.

Sul mercato ce n’è un’infinita varietà ed ogni modello può essere abbinato in modo differente, anche per l’ufficio, per esempio.

Vediamo quali sono i modelli più nuovi e quali outfit possiamo creare.

SNEAKER ALTE:  solitamente nere con para in gomma bianca, a volte con il velcro nella parte superiore e l’inconfondibile marchio rotondo sul lato che indossavamo per la scuola negli anni ’80 e ’90. Sono le classiche Converse All Star che di recente abbiamo visto ai piedi di tutte le influencers del mondo. Con queste sneakers possiamo creare outfit casual-chic di stile se le abbiniamo ai nostri maxi dress per un’uscita con le amiche, oppure ad un paio di mom jeans, t-shirt grafica e blazer  per lo shopping, il cinema, ecc.. Quando le temperature saranno più fresche al posto del blazer potremmo indossare anche un trench e al posto dei mom jeans, un paio di pantaloni in eco pelle o una maxi gonna;

SNEAKER DA TENNIS: come quelle vegane di Veja, brand francese che hanno ammaliato anche Meghan Markle. Sono le sneakers che potrete usare per occasioni leggermente meno informali come l’ufficio, per esempio. Sono perfette con i tailleur pantalone oppure con blazer, camicia/blusa e jeans con gamba dritta. Sono le calzature ideali per maxi gonne, bermuda o gonnelline al ginocchio e chiodo per passare dall’ufficio all’aperitivo;

SNEKER SAINT LAURENT: per intenderci, quella ricolma di stelline dorate o argentate. E’ in pelle con suola in gomma, piuttosto sottile ed estremamente comoda. E’ il classico modello super versatile che può essere indossato in moltissime occasioni d’uso, da mattina a sera, h24 con gonne lunghe, pantaloni dal taglio maschile, jeans, bermuda, gonne midi al ginocchio, ecc..

SNEAKER NEW BALANCE: super tecnica, con suola in gomma ondulata, perfetta per lunghe passeggiate anche sotto la pioggia perché è impermeabile. Da indossare sia con abbigliamento tecnico per la palestra che anche con jeans cropped e blazer per aggiungere un tocco di stile ad una sportiva per eccellenza;

SNEKER GOLDEN GOOSE: super di tendenza già dallo scorso autunno, la loro popolarità non accenna ad arrestarsi, anzi cresce ogni giorno di più. Fanno parte di una fascia di prezzo piuttosto alta e c’è chi le ama e chi le ritiene decisamente poco comode soprattutto in considerazione del prezzo. Dal punto di vista dello stile, però, sono impareggiabili e super chic. Io le vedo benissimo in ogni occasione in cui vogliamo camminare su una scarpa bassa ma con stile, quindi perfetta con tailleur pantalone e pantaloni sartoriali, ma anche gonne lunghe e jeans con gamba dritta.

Ottavia Ditroia

Quanti like valiamo? La legge dell’apparenza sui social

A cura del nostro socio fondatore Dott. Marco Magliozzi, psicologo-psicoterapeuta, esperto in criminologia.

Secondo recentissimi studi, pubblicati da Agcom e Audiweb, ognuno di noi passa in media su internet ben 6 ore al giorno (il 25% della propria giornata).

Nello specifico, due ore su sei sono dedicate all’utilizzo dei social network, come Facebook, Instagram, TikTok.

La matematica vuole quindi che il 12,5% della nostra vita sia virtuale, un tempo enorme dedicato esclusivamente a costruire un’immagine di sé, un alter ego, molto spesso, lontano dalla realtà e da chi siamo veramente.

La legge dell’apparenza

Volente o nolente, il mondo online, e nello specifico i social, hanno alimentato la legge dell’apparenza: le persone tendono a voler apparire migliori (o addirittura diverse) da come sono nella realtà.

Molti conoscono la serie televisiva Black Mirror, nella quale ogni puntata è ambientata in un futuro alternativo e distopico.

Nella puntata dal titolo “Caduta libera”, assistiamo a un mondo nel quale vige la legge della reputazione social: più una persona è popolare e ottiene like, più vantaggi e benefici avrà a livello sociale, come la possibilità di vivere in quartieri altolocati, acquistare auto di lusso, cenare in ristoranti stellati.

Una società, quindi, totalmente ossessionata dal giudizio esterno e nella quale gli altri hanno pieno potere sulle vite di altre persone. Con un solo like posso creare o distruggere la felicità del prossimo.

Un mondo nel quale vige la legge dell’apparenza, del finto complimento e dell’approvazione fine a sé stessa. Essere spontanei diventa un pericolo ed è quindi molto meglio fingere di essere qualcun altro, indossando una maschera.

Non è forse quello che, talvolta, accade nella nostra società attuale?

I social odierni, infatti, strumentalizzano la fidelizzazione dell’utente attraverso la gratificazione che passa attraverso l’uso dei like.

Questo sistema rafforza, proprio a livello biochimico cerebrale, il comportamento della persona: pubblicare foto e video, ottenendo in cambio dei like, diventa quindi un modo per accrescere la propria idea di sé stessi e la propria autostima, creando nel tempo una vera e propria dipendenza psico-fisiologica. 

L’altro lato della medaglia è, purtroppo, che tutto ciò avviene solo virtualmente, in un mondo inesistente che potrebbe crollare da un momento all’altro.

La selfie dismorfia

Non solo like, ma anche selfie. I social sono il regno dei selfie, le foto scattate di sé stessi in primo piano, che simboleggiano la “perfezione” del momento, nascondendo difetti ed esaltando (o addirittura trasformando) i nostri pregi.

Gli esperti hanno però notato anche dei pericoli: si parla in questo caso di selfie dismorfia, ovvero una vera e propria ossessione per il selfie, che DEVE essere obbligatoriamente perfetto, onde evitare giudizi esterni o qualsivoglia critica.

La foto scattata diviene un biglietto da visita che deve essere inattaccabile e fonte di attrazione.

Ecco che, quindi, la spasmodica attenzione verso la perfezione potrebbe dare vita a un susseguirsi di comportamenti che, talvolta, si avvicinano al bizzarro:

  • ripetere una foto anche decine di volte, senza mai essere soddisfatti del risultato;
  • lamentarsi dell’amico/partner che scatta la foto perché secondo noi non è bravo/capace;
  • lamentarsi dei propri difetti che, sempre secondo noi, la foto mette in risalto;
  • focalizzarsi su alcuni difetti specifici, ad esempio: “ma che nasone che ho”, “no, questa foto no! Si vede che ho la pancia!”, “oddio che brutta foto, si vedono i fianchi grossi”.
  • preoccuparsi di quello che potrebbero pensare gli altri non appena guarderanno la foto pubblicata;
  • usare filtri che modificano, fino a rendere innaturale la foto, come ad esempio ringiovanire la pelle, ritoccare colore/luminosità ecc., cambiare il colore degli occhi e così via.

Non solo: la reiterazione di questo comportamento ossessivo rischia anche di trasformare, in negativo, la propria idea di sé stessi, generando una percezione falsata del proprio corpo, divenendo sempre più insofferenti e ipersensibili al giudizio esterno, diminuendo l’autostima e divenendo dipendenti dai complimenti degli altri. 

L’importanza della prevenzione e dell’educazione

L’adolescenza, ovvero il periodo della vita nel quale si entra a piè pari nel mondo social, è il momento giusto per poter fare prevenzione, sensibilizzando e informando i ragazzi sull’uso corretto della tecnologia.

Il messaggio importantissimo da inviare riguarda l’attenzione verso il mondo reale, sottolineando il concetto che i social sono soltanto una finestra virtuale, che non rispecchia assolutamente ciò che siamo veramente.

Tutte le critiche (o i complimenti) ricevuti online andrebbero sempre ridimensionati.

Troppe volte, ahimè, abbiamo assistito a tragedie, come ad esempio suicidi, dovuti all’impossibilità di sopportare la vergogna del giudizio social.

In ragazzi nei quali l’autostima è alta e il senso di sé non intaccato dal mondo online, questo non sarebbe accaduto.

L’associazione Fermconlemani ha, tra i suoi obiettivi, anche quello di guidare le nuove generazioni verso un sano utilizzo dei social network, facendo prevenzione non solo nelle scuole ma anche nelle famiglie.
Tanti genitori, purtroppo, danno il cattivo esempio, essendo loro stessi i primi a fruire dei social in maniera errata o scattando selfie in modo maniacale.
Per ritrovare l’equilibrio interiore e la consapevolezza di sé, come esseri umani, è quindi necessario comprendere come internet sia solo essenzialmente uno strumento tecnologico, nulla più.
La vita vera, reale, scorre ogni giorno lontano dagli smartphone e dai computer. Evitiamo di perderla e godiamoci ogni secondo.

Dott. Marco Magliozzi

Ennesima aggressione ai danni di una giovane donna nel barese: il difficile rapporto fra prevenzione e repressione.

La presidentessa Tiziana Cecere e il vicepresidente Pierfrancesco Impedovo si soffermano sulla fallimentare strategia di contrasto alla violenza di genere e sul ruolo strategico della poco praticata prevenzione.

Questa mattina, 2 novembre,  si è consumata l’ennesima aggressione ai danni di una donna  a Monopoli, nel Barese. Poco dopo le 5, infatti, una giovane donna poco più che trentenne è  stata colta di sorpresa dall’ex fidanzato mentre stava uscendo di casa per andare al lavoro. L’uomo, un bracciante agricolo coetaneo della donna, l’ha aspettata fuori di casa per parlare. Pare che tra i due ci sia stata una discussione, poi l’aggressione. L’uomo ha impugnato un coltello e colpito l’ex con almeno 30 coltellate.

In Italia si conta, praticamente, un femmicidio ogni tre giorni, mentre non si riescono a contare gli episodi violenti a danno delle donne e non è solo questione di “ingente quantità”. Ossessione, possesso, prevaricazione, vendetta.

Bisognerebbe concentrare l’indagine criminologica proprio sui motivi, perchè il femmicidio non è solo l’uccisione di una donna in quanto donna, è qualcosa di diverso, più profondo, più camaleontico, più perverso e più problematico.

Quanta razionalità e calcolabilità vi è in queste tipologie di crimini e quanta, invece, irrazionalità e incontrollabilità vi si cela? 

Questa potrebbe essere una buona domanda per indagare l’efficacia preventiva della pena in relazione a tali crimini, dato che l’unica risposta che le istituzioni offrono alla risoluzione del problema è appunto quella sanzionatoria.

Con il termine femmicidio si suole indicare l’uccisione di una donna in quanto donna. Tale definizione venne coniata dalla criminologa Diana H. Russel per indicare una species del fenomeno socio-culturale largamente diffuso e che ha antiche origini, della violenza perpetrata contro il genere femminile il c.d. femminicidio. 

La piaga della violenza sulle donne non ha destato particolari cambiamenti nel corso del tempo, esiste dall’età arcaica e persiste in età moderna (si pensi al fenomeno storico-giuridico del patriarcato dal quale derivava il diritto per il marito o per il padre di correggere, anche e soprattutto con la violenza, la propria moglie o la propria figlia o all’istituto del matrimonio riparatore ex art. 544 c.p. con il quale si cancellava l’onore della famiglia violato consegnando la propria figlia o la propria sorella in moglie al suo aguzzino).

È mutato, invece, il grado di conoscenza del fenomeno, complice specialmente l’attenzione mediatica. Certamente esiste una stretta correlazione tra violenza di genere e situazioni relazionali (l’esito delle indagini OMS e della Convenzione di Istanbul convergono per lo stesso risultato: gli autori delle violenze più gravi sono prevalentemente i partner attuali o gli ex partner 62,7%) e nel caso specifico dei femmicidi, il grado di tale correlazione aumenta vertiginosamente (il 73,2% degli omicidi di donne sono compiuti in ambito familiare).

Tuttavia, nell’ottica di un’analisi compiuta del fenomeno in chiave culturale, sociale e criminale non ci si può fermare a tale correlazione, bensì ci si deve calare nel dinamismo dei ruoli sociali e studiarne il funzionamento. 

Non si uccide solo una donna in quanto tale, si uccide una donna in quanto madre, sorella, figlia, fidanzata, ex fidanzata, moglie, ex moglie.

Ecco, spostare il focus dell’indagine dal genere ai ruoli sociali assunti dalle donne, in contrapposizione ai ruoli assunti dagli uomini, consente di indagare il fenomeno dalla prospettiva relazionale specifica e in tal modo consente di avere una visione più centrata sui meccanismi relazionali dai quali emergono i conflitti e dai quali dipendono le reazioni violente

Infatti, raramente i femmicidi avvengono come episodi singoli, la maggior parte delle volte rappresentano il culmine della violenza innescatesi nelle dinamiche di cui sopra. Proprio la progressione della violenza è un fattore che può essere sfruttato in ottica preventiva perchè i femmicidi si possono prevenire ma, solo se si agisce in tempo utile e con gli strumenti adeguati a disinnescare l’escalation criminogena. Per raggiungere questo obbiettivo, è evidente che non basta agire sul piano sanzionatorio, prova ne sono i dati statistici negativi a fronte degli importanti interventi normativi susseguitesi nel tempo.

Infatti, tali tipi di interventi sono calibrati per agire in un tempo non funzionale allo scopo che ci si prefigge di raggiungere: la prevenzione non in senso generico ma, la prevenzione di questa particolare classe di reati.

Mai come nel caso del fenomeno della violenza di genere urge agire in maniera, non solo preventiva ma, soprattutto in maniera tempestiva proprio perchè si creano dei meccanismi di evitamento  e di abnegazione del pericolo causati proprio dai dinamismi relazionali. Questo vuol dire che, nella maggior parte dei casi, quando si giunge nella fase in cui la donna denuncia le violenze subite o comunque attiva richieste di aiuto, il fattore criminogeno si è già largamente sviluppato rendendo più complicato la realizzazione dell’effetto deterrente delle misure attualmente disponibili.

<<Condivido ogni singolo pensiero dell’analisi fatta dal collega Prof. Impedovo>>, tiene a sottolineare la presidentessa di Fermiconlemani avv.ta Tiziana Cecere, <<I numeri parlano chiaro e le statistiche sono sempre le stesse.  E ogni volta ci si interroga: cosa non ha funzionato? A che punto siamo nel contrasto alla violenza di genere? Il primo punto è la prevenzione. Se da più di 40 anni il numero dei femminicidi non diminuisce, vuol dire che le politiche sino ad ora pianificate non funzionano a sufficienza, soprattutto non si è mai investito seriamente nella prevenzione e nella formazione. È fondamentale comprendere la natura della violenza maschile alle donne. Non si tratta di un problema di sicurezza, bensì di un fenomeno culturale.  Anche le nuove misure di recente modifica al “Codice Rosso” possono essere guardate con uno sguardo bonario ma non prevengono il fenomeno, arrivano quando è già avvenuto. Una prevenzione “seria” dovrebbe prevedere da un programma di sensibilizzazione focalizzato in particolare modo nel contesto scolastico,  avvalendosi della collaborazione di realtà costituite da professionisti di alta specializzazione come la nostra che ben conoscono i fenomeni e sono in grado di mettere in campo strumenti di educazione emotiva alla non violenza, facendo leva sullo sviluppo, sin da tenera età, della capacità di costruire relazioni basate sui principi di parità, equità, rispetto, inclusività. L’educazione dei bambini e delle bambine al rispetto di genere e il contrasto alla violenza domestica non può essere efficace a meno che non si operi soprattutto sui modelli culturali che sottendono, promuovono, e riproducono disparità di genere nella società. L’azione di prevenzione deve articolarsi in percorsi volti all’esplorazione, all’identificazione e alla messa in discussione dei modelli di relazione convenzionali, degli stereotipi di genere e dei meccanismi socio-culturali di minimizzazione e razionalizzazione della violenza.

Tutto questo Fermiconlemani lo mette già in campo a titolo volontario e gratuito per la collettività nel corso di molteplici e sistematiche iniziative all’interno di istituti scolastici di ogni ordine e grado, grazie allo spirito di servizio di tutti noi professionisti che crediamo nel valore strategico della prevenzione, con la speranza che presto le istituzioni governative comprendano che si tratta dell’unica via efficace per affrontare il fenomeno>>.