Giulia è morta. Uccisa di chi diceva di amrla.

Ieri si sarebbe laureata e invece giaceva sul fondo di un lago morta ammazzata.

Giulia Cecchettin è morta. È stato trovato ieri il corpo della 22enne sparita da una settimana insieme all’ex fidanzato, Filippo Turetta, ricercato e indagato per omicidio. Il cadavere della ragazza era nei pressi del lago di Barcis, in provincia di Pordenone, con addosso i vestiti che aveva al momento della scomparsa una settimana fa. 

Secondo la ricostruzione fatta dalla polizia, Filippo l’ha abbandonata al bordo della strada e l’ha lasciata rotolare lungo un dirupo per una cinquantina di metri, fino a quando il corpo di Giulia si è fermato in un canalone. 

Su Turetta pende un mandato d’arresto europeo firmato dalla Procura di Venezia. Ora si cerca l’auto, che è stata avvistata l’ultima volta a Linz (Austria), in Tirolo, domenica – e non mercoledì come era stato precedentemente detto. 

Giulia è la 105esima donna ad essere uccisa nel 2023. Filippo, il suo assassino, è stato definito da più parti “il classico bravo ragazzo”.

Un fenomeno complesso e multidimensionale che va sotto il nome di “teen dating violence” (TDV), una sigla per indicare fenomeni di violenza e/o molestia nelle relazioni sentimentali tra adolescenti si sta diffondendo ampiamente anche in Italia. La TDV comprende qualsiasi forma di abuso, sia fisico sia emotivo o sessuale, che si verifica in una relazione romantica durante l’adolescenza.

Studi recenti hanno esplorato la TDV applicando a una ricerca condotta su adolescenti il concetto di sessismo ambivalente, concetto già indagato per il tema più generale della violenza di genere tra gli adulti. Che cos’è lo diciamo parlando delle due forme principali – ecco perché si chiama ambivalente – con cui si manifesta e viene indagato: il sessismo ostile e il sessismo benevolo.

Il sessismo ostile è caratterizzato da atteggiamenti negativi e apertamente aggressivi nei confronti delle donne. Include le credenze che le donne siano inferiori agli uomini, che abbiano intenzioni manipolatrici o che siano in qualche modo meno capaci. Questo tipo di sessismo è più diretto e facilmente riconoscibile come discriminatorio. Il sessismo benevolo è più subdolo e mascherato da atteggiamenti positivi, si basa su idee stereotipate di protezione, idealizzazione e romantizzazione delle donne. Questa forma può sembrare lusinghiera in superficie, ma in realtà è persino più grave di quello ostile, in quanto di fatto perpetua la dipendenza e l’inferiorità delle donne, posizionandole in ruoli tradizionali e limitativi, e agisce potentemente sulle ragazze stesse.

Gli studi hanno mostrato come entrambe le forme di sessismo hanno un impatto significativo sul comportamento e le percezioni degli adolescenti. In particolare: gli adolescenti maschi possono essere maggiormente influenzati dal sessismo ostile. Questo può portare a giustificare comportamenti di controllo o aggressivi nei confronti delle ragazze, vedendo le relazioni attraverso una lente di potere e dominio. Il sessismo ostile può anche condurre alla normalizzazione della violenza e a un’errata interpretazione del consenso nelle relazioni romantiche. Dall’altro lato, per le ragazze, il sessismo benevolo può essere più insidioso. Esso può influenzare la loro autopercezione e il modo in cui accettano il trattamento da parte dei partner maschili. Le ragazze possono arrivare a giustificare comportamenti controllanti o limitativi come segni di “cura” o “attenzione”, accettando e normalizzando così dinamiche relazionali sbilanciate.

Capite bene come la conoscenza del fenomeno è cruciale per qualunque tipo di intervento che voglia affrontare la violenza di genere tra gli adolescenti. Ciò implica un lavoro specifico nell’educare i giovani all’uguaglianza di genere, al rispetto reciproco e alla costruzione di relazioni basate su principi di consenso e parità.

Da anni la nostra associazione sperimenta sul campo l’efficacia di interventi educativi mirati a contrastare il sessismo tra gli adolescenti, sperimentando come i programmi scolastici e specifiche metodologie educative possano svolgere un ruolo chiave nella prevenzione e nel contrasto della violenza e degli stereotipi di genere.

Molti adolescenti sono regolarmente esposti a varie forme di violenza di genere, sia fisica che virtuale. Tuttavia, uno degli aspetti più preoccupanti è la difficoltà che questi incontrano nel riconoscere la violenza di genere come tale, in un’età in cui le relazioni interpersonali iniziano a diventare più complesse. Inoltre, gli stereotipi di genere radicati e le norme sociali possono offuscare la percezione di ciò che è accettabile e ciò che non lo è in una relazione, conducendo a una normalizzazione di comportamenti che, in realtà, sono abusivi o discriminatori.

È dunque essenziale che le scuole, le famiglie e le comunità lavorino insieme per fornire ai giovani le competenze e le conoscenze necessarie per identificare e contrastare la violenza di genere. Questo implica non solo l’educazione sui diversi tipi di violenza e sui loro segnali di allarme, ma anche la promozione di un dialogo aperto e onesto sul rispetto reciproco, sul consenso e sulle relazioni sane, sempre che le scuole, le famiglie e le comunità siano preparate a farlo; e qui entra in campo la necessità di formare e informare gli adulti di riferimento, soprattutto gli educatori, sui temi di cui stiamo trattando.

Fermiconlemani continuerà instancabilmente a battersi affinché vi sia un’attenzione più profonda e strutturale su questi aspetti, che raccolga le indicazioni normative europee, attraverso azioni educative e di prevenzione che vadano oltre la stupida e insostenibile vulgata “no gender o si gender” che ormai è una caricatura a uso di una popolazione per lo più disinformata, compresi gli operatori del settore.

Lo dobbiamo a Giulia Cecchettin, che ieri si sarebbe laureata e invece giaceva nel fondo di un lago morta ammazzata, lo dobbiamo a tutte le donne oggetto di violenza, lo dobbiamo affinché non accada più -e non è un’utopia-, ma lo dobbiamo anche ai Filippo Turretta -che sarà condannato e sconterà la sua pena-, affinché ve ne siano sempre meno.

Le cose possono, potevano e potrebbero andare diversamente se tutti assieme decidessimo di costruire una società differente.

Possiamo anche credere che Turretta sia un tipo tranquillo e non violento, come sostengono i suoi genitori, ma non c’entra nulla con quel che è accaduto, perché la violenza di genere investe meccanismi profondi, meccanismi di mascolinità dannosa introiettata. Filippo le voleva bene? In modo malato sì. La diciamo meglio: in modo stereotipato, un modo apparentemente normale ma che normale non è, perché trattasi di mascolinità dannosa; e a leggere i dati, ahimè, comune a troppi adolescenti e adulti. Trattasi di quella coltura-cultura che è la base della cosiddetta piramide della violenza ed è esattamente quella che dobbiamo smontare e polverizzare.

Prof. Pierfrancesco Impedovo, PhD

Cambiare le narrazioni per cambiare il mondo

Il delicato ruolo dei media nel racconto della violenza

É stato un raptus dopo l’ennesimo litigio”… “l’ho uccisa per gelosia”… “lui lavorava, lei stava dalla mattina alla sera al telefonino”…

Capita spesso di leggere o ascoltare nei media frasi e titoli come quelli succitati. “Un assassino – racconta l’avvocata Tiziana Cecere presidentessa dell’associazione antiviolenza Fermiconlemani, in un noto caso di cronaca di cui mi sono occupata, quello del brutale assassinio della giovanissima Noemi Durini, veniva chiamato ‘fidanzatino’ su tutti i giornali. Le vittime di violenza spesso vengono violentate una seconda volta”.

Con queste parole tonanti l’avvocata ci spiega il fenomeno della vittimizzazione secondaria delle donne. Cioè, le conseguenze dei titoli o racconti sbagliati: i media, alla stregua di tribunali, forze di polizia, assistenti sociali, possono rendere di nuovo vittima la donna, sbagliando terminologia, angolo di visuale, titolo, fotografia, associazioni o contestualizzazione.  

L’errore più comune è guardare al caso ancora troppo dal punto di vista di lui, citando giustificazioni che diventano moventi. E’ invece auspicabile nei casi di violenza adottare il punto di vista della vittima, in modo da ridarle la dignità e l’umanità che, in una cronaca quasi sempre morbosamente centrata sulla personalità dell’omicida, sono spesso perdute. Si parla ancora di raptus nei femminicidi e si cerca l’empatia col carnefice.Purtroppo da inizio anno si contano oltre 10 femminicidi al ritmo di uno ogni 3-5 giorni. In molti casi si sente spesso parlare di “raptus di follia” senta tenere in considerazione che a livello scientifico il raptus è riconosciuto solo nel 5% dei casi di femminicidio, nella maggioranza dei casi il delitto è figlio di una cultura patriarcale ben radicata. A volte la narrazione segue  lo schema secondo il quale  il carnefice era buono, poi arriva il fulmine a ciel sereno e lui ammazza la donna.  In altre circostanze  la ricostruzione della violenza spinge all’empatia verso quel pover’uomo che una donna egoista ha deciso di abbandonare. La vittima viene raccontata come una donna che si separa, toglie i figli al marito, i soldi, la casa. Il punto di vista, insomma, è quello dell’assassino.Il problema è culturale, affonda le radici in quella società patriarcale che è il terreno fertile della violenza. La soluzione si trova in un lungo lavoro di formazione: formazione a tutti i livelli e gradi; a volte, anche professionisti avveduti cascano nell’errore di condividere, senza usare filtri, stereotipi che provengono dal racconto di polizia, carabinieri, magistrati o altre categorie.Per tutte queste ragioni la chiave sta sempre nella formazione di tutte le categorie professionali che vengono a contatto con le vittime. Ed in questo senso la mia associazione, nell’ambito di un nuovo ed ambizioso progetto che vedrà schierate professionalità di altissima specializzazione di cui disponiamo, a breve offrirà percorsi formativi specifici per tutte le categorie coinvolte nel delicato alveo della prevenzione, del supporto ma anche della cronaca delle fenomenologie devianti.La violenza contro le donne, i bambini ed altre vittime vulnerabili pone questioni sociali, sanitarie e giuridiche che vanno affrontate da operatori esperti e qualificati. Il saper riconoscere, ascoltare, proteggere e curare le vittime di violenze richiede, infatti, una preparazione professionale specifica, al passo con le evoluzioni sociologiche del fenomeno e con gli strumenti di contrasto e di tutela che ne conseguono. È anche necessario che gli operatori possano sviluppare un know how attraverso il quale concorrere alle strategie di prevenzione primaria della violenza (e anche il racconto mediatico concorre a ciò), divenendo attori protagonisti della gestione complessiva del fenomeno. Un simile approccio richiede quindi di superare valutazioni e soluzioni semplicistiche che rischiano di adombrare la complessità del fenomeno e di suggerirne rimedi inadatti”.

Il team di Fermiconlemani

Diamo il benvenuto alla rubrica “In armonia”.

A cura della nostra socia Tea Baldini Anastasio, musicoterapeuta.

Argomento di questo primo appuntamento: Artiterapie per il Benessere della Società.

Con questo articolo do inizio ad una rassegna pensata per il blog Fermiconlemani, in questa rubrica tratterò argomenti inerenti il mondo delle Artiterapie, della crescita personale e del benessere psicofisico.

Oggi parliamo delle Artiterapie e del loro contributo per il Benessere della Società.

Le artiterapie hanno un potenziale significativo per contribuire al benessere della società. Ecco alcune delle loro caratteristiche e benefici:

1. Espressione e consapevolezza emotiva: L’arte offre uno spazio sicuro per l’espressione delle emozioni, consentendo alle persone di esplorare e comprendere meglio i propri sentimenti. Questo processo, se supportato da una figura professionale preparata, può favorire una maggiore consapevolezza emotiva, che a sua volta può migliorare il benessere individuale e le relazioni interpersonali.

2. Riduzione dello stress e dell’ansia: L’arte è un’attività creativa che può funzionare come una forma di meditazione attiva. Quando ci si immerge nel processo creativo, le preoccupazioni quotidiane e lo stress possono diminuire, favorendo il rilassamento e la riduzione dell’ansia.

Grazie a metodologie specifiche che con il tempo conosceremo, è possibile raggiungere risultati ottimali.

3. Potenziamento dell’autostima e dell’autenticità, senza escludere l’auto efficacia: attraverso le arti, le persone possono esplorare e riconoscere le proprie capacità creative e la bellezza della propria unicità. Ciò porta alla crescita dell’autostima e all’accettazione di sé stessi, incoraggiando un senso di autenticità e fiducia nelle proprie capacità.

4. Comunicazione e connessione: L’arte può essere un veicolo di comunicazione non verbale, consentendo alle persone di esprimere se stesse e comunicare con gli altri in modi che possono superare le barriere linguistiche o culturali. Attraverso l’arte, le persone possono creare connessioni significative e trovare punti di contatto con gli altri.

5. Processo di evoluzione e trasformazione: L’arte può essere utilizzata come una forma di terapia per trasformare le esperienze traumatiche o dolorose con tecniche specifiche e con il supporto di clinici. Attraverso l’espressione artistica, le persone possono rielaborare e trasformare il proprio dolore, facendo progressi significativi nel percorso di guarigione e ripresa.

6. Creatività e soluzione di problemi: L’arte richiede la capacità di pensare in modo creativo e trovare soluzioni innovative, facilitare lo sviluppo del pensiero divergente. Questa mentalità creativa può estendersi anche alla risoluzione di problemi nella vita di tutti i giorni, incoraggiando un approccio più flessibile, aperto e positivo alla risoluzione dei conflitti e delle sfide.

7. Promozione del cambiamento sociale: L’arte ha un potere unico per veicolare messaggi e idee, toccando le persone a un livello emotivo e suscitando consapevolezza e riflessione su questioni sociali importanti. Attraverso progetti artistici collettivi e iniziative comunitarie, le artiterapie possono promuovere un cambiamento sociale positivo e ispirare una visione condivisa di una società più equa e armoniosa.

In conclusione, le artiterapie possono avere un impatto potente e benefico sulla società nel suo complesso. Favoriscono il benessere individuale e collettivo, promuovono la comunicazione e la connessione, stimolano la creatività e contribuiscono al cambiamento sociale positivo. Speriamo che tali approcci artistici diventino sempre più accessibili e riconosciuti come strumenti importanti per il benessere e lo sviluppo di una società più sana e inclusiva.

Tea Baldini Anastasio

Ti Prometto il Mare: storie di donne, storie di speranza.

La Prof.ssa Paola Colarossi, autrice e nostra socia onoraria, ci racconta del suo ultimo romanzo e del fil rouge che anima il progetto sociale sotteso alle presentazioni dell’opera e che vede coinvolta la nostra associazione.

“ Ti prometto il mare” è un racconto . Narra storie di donne, alcune vittime altre eroine. 

Alcune personaggi di fantasia, altre personaggi reali. 

I loro vissuti, la loro lotta contro il Fato, testimoniano l’esistenza di un legame universale nella Vita di ognuno di noi.

A far da sfondo alle storie di queste donne, il mare.  A tessere le storie di queste donne, un altro protagonista maschile, il racconto.

“Ti prometto il mare” è un racconto nel racconto in cui alla parola, all’atto del raccontare, si restituisce importanza e dignità.  

– Venite qui, piccole mie, ascoltate – dice Capellidargento, una delle protagoniste, mentre si accinge a raccontare alle giovani amiche, vittime del Fato, le storie di donne vincitrici sugli accadimenti che segnano il percorso della Vita.

In quest’invito, il richiamo a prestare attenzione alla storia dell’altro , a creare con l’altro una relazione autentica basata sull” ascolto empatico”, godendo  il tempo del racconto stesso, come tempo prezioso per la propria Vita.

 Un racconto nel racconto, si diceva, i cui accadimenti si snodano in tempi e luoghi differenti.   Come introduzione, una fiaba, che narra la storia del flusso della Vita che si ripete ininterrotto dall’infinito passato, proiettandosi in protagonisti legati uno all’altro da destini incrociati, da storie condivise.

La prima parte, quasi un antefatto al racconto finale, narra le vicende di tre personaggi: Bambina, una piccola sposa di appena dodici anni, Fiordiloto, la giovane serva che la accudisce e Capellidargento, la saggia e amorevole cuoca del palazzo in cui, tutte e tre, vivono.

 Il tema delle spose bambine e delle orfane dei paesi asiatici costituisce il fulcro da cui tutta la vicenda si snoda   e testimonia l’atto di brutalità estrema a violazione del diritto alla Vita: la    duplice negazione alla sessualità e all’infanzia.

I personaggi che intervengono nella seconda parte rappresentano il mondo a noi più vicino, la realtà in cui ci muoviamo, nota e apparentemente evoluta. Centrale, il tema della maternità e la grande responsabilità delle madri nel sostenere, proteggere, rivendicare la Vita.

La conclusione è affidata alla principessa Animabella, che incarna l’eroina attraverso la quale, tutte le donne, vittime del Fato, venute prima di lei, otterranno la loro vittoria. Volutamente, luoghi e tempi rimangono indefiniti, a sottolineare l’universalità della Vita.

Le vicende delle protagoniste insegnano che la Vita non va intesa come una serie di vicende a cui è impossibile sfuggire; al contrario è l’atteggiamento con cui affrontiamo le difficoltà e le prove  che si presentano nel corso della nostra Esistenza che ha il potere di trasformare anche un’ apparente sconfitta in una vittoria. 

Di fronte alle prove più dure, le protagoniste della seconda parte del racconto non si sono arrese; hanno lottato contro il dolore e la perdita, contro i pregiudizi, contro ogni sorta di ostacolo, determinando la Vittoria. E hanno trasformato le loro vite in vite Vittoriose accogliendo la loro Vita in toto.

Questo messaggio, affidato a vicende di donne, ha, beninteso, una valenza universale.

Ogni Vita ha la sua dignità e ogni Vita va accolta e rispettata. 

Affinchè questo possa essere realizzato è necessario conquistare e consolidare la giusta consapevolezza di sé e imparare a riconoscere ogni   Vita come degna di ogni forma di rispetto.

Ciò richiede un percorso di solidarietà, di comunanza di intenti, di sostegno. 

Ecco che le reti, promulgatrici di conoscenza, costruttrici di valori quali il rispetto di sé e dell’altro, portatrici di legami solidali e di sostegno, divengono fondamentali per la concretizzazione di tali obiettivi e la realizzazione di un mondo di Pace.

In questo contesto opera  l’Associazione “Fermiconlemani”, comunità gentile a cui mi fregio di appartenere e  il Centro Studi “ Barletta  in Rosa” .

Con queste finalità, le Presidenti delle Associazioni,  Avv.ta Tiziana Cecere e Prof.ssa Mariagrazia Vitobello, muovono le loro azioni.

Con questo desiderio, io, Grazia Maria Lops e tutti i soci di tali Associazioni,  decidiamo di esserci, in prima persona, a testimonianza che si  può essere il “ cambiamento che vuoi vedere nel mondo”

Appuntamento al prossimo venerdì 8 settembre alle 18.30 a Barletta presso la sala Comunità Sant’Antonio, in via sant’Antonio per la tavola rotonda di presentazione ed approfondimento.

Caso Noemi Durini, l’assassino, Lucio Marzo, in permesso premio trovato alla guida in stato di ebrezza: la nostra riflessione.

Lucio Marzo, 24enne di Montesardo (Alessano), detenuto per l’efferato omicidio di Noemi Durini avvenuto il 3 settembre del 2017 nelle campagne di Castrignano del Capo, è stato denunciato per guida in stato di ebbrezza dalla polizia stradale, dopo essere stato fermato a Cagliari.

Il giovane, era in permesso premio per svolgere un’attività lavorativa nel vicino comune di Sarroch. Gli agenti, impegnati in una ordinaria attività di controllo, gli hanno intimato l’alt mentre era alla guida di un’auto che aveva richiamato la loro attenzione per il rumore proveniente dal veicolo. Davanti all’intimazione dell’alt, Marzo ha provato a dileguarsi, prima in auto e poi a piedi, ma alla fine è stato bloccato.

Il 24enne è detenuto nel carcere minorile di Quartucciu (all’epoca del delitto aveva 17 anni), dove sconta una condanna definitiva a diciotto anni ed otto mesi e stava godendo di un permesso concesso dall’autorità giudiziaria perché potesse essere impiegato in un esercizio commerciale nel comune in cui aveva provvisoriamente dimora. Il provvedimento autorizzativo, tuttavia, indicava tra le varie prescrizioni anche il divieto di usare mezzi a motore e questo spiega il tentativo di fuga. Non solo: Marzo è risultato positivo al test con l’etilometro e per questo è scattata la denuncia a piede libero.

Nonostante alla nostra Corte Costituzionale e a quella europea dei Diritti dell’Uomo la pena detentiva inflitta ai minorenni non piaccia e la ritengano una specie di “tortura” da vietare nella civilissima Europa, essa non ha una finalità punitiva ma una funzione ben precisa, a mio giudizio ancora attuale, ossia impedire agli assassini di nuocere ad altre persone e, auspicabilmente, tornare in società dopo aver intrapreso un adeguato percorso riabilitativo che faccia loro ben comprendere il disvalore di quanto commesso”. Questo il commento a caldo della nostra presidentessa, avv.ta Tiziana Cecere. “Prima di cedere a sentimenti di facile indulgenza, sarebbe bene ricordare chi è Lucio Marzo: un freddo e lucido omicida che confessò di aver ucciso Noemi dopo averla percossa e sepolta viva sotto alcuni massi. C’è poi un risvolto assai inquietante di questo efferato delitto che da criminologa mi colpisce particolarmente e su cui tengo a richiamare l’attenzione: il contegno dei genitori del ragazzo che, dopo la confessione dichiararono alla stampa «Siamo orgogliosi di lui», avendo loro figlio sostenuto di aver agito per estinguere una presunta conflittualità con la famiglia che considerava Noemi una presenza negativa in grado di esercitare una cattiva influenza sul di lui. Il grave gesto compiuto dal Marzo -detenuto in permesso premio- denota che siamo ben lontani da quel processo di consapevolizzazione e rieducazione necessario per il suo reinserimento virtuoso nella comunità; non v’è poi da stupirsi se l’elargizione disinvolta di questi permessi premio, alla luce delle condotte tenute, susciti l’indignazione delle vittime collaterali e dell’intera società civile. Per questo a titolo personale e a nome della mia associazione,  esprimo tutta la solidarietà possibile ad Imma, divenuta nostra socia onoraria che, nonostante l’indicibile dolore patito per la perdita di Noemi -a cui si somma la sofferenza per questo sconcertante nuovo epilogo -, ha fortemente voluto sin da subito spendersi in un’incisiva attività di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne, incarnando a pieno la nostra missione di prevenzione; perché  la prevenzione e il sostegno nei contesti familiari e formativi  sono i soli strumenti efficaci per arginare futuri episodi di violenza giovanile e costruire una società più sicura e compassionevole. Ed è questo che Fermiconlemani instancabilmente promuove da anni, investendo le sue risorse migliori fatte di professionisti altamente specializzati e volontari, per la formazione, la salute mentale e il sostegno familiare, affinché si diffonda la cultura della non violenza, del rispetto delle regole e del rispetto reciproco nei gruppi di pari. Contano le azioni ma contano anche i simboli, per questo fra le nostre svariate attività vi è anche quella di promuovere la diffusione di panchine rosse, istallazioni permanenti contro la violenza sulle donne; l’ultima l’abbiamo inaugurata lo scorso giugno presso il villaggio vacanze Cala di Rosa Marina e, fra le tante, ve ne è una  a cui tengo particolarmente inaugurata a Bari l’otto marzo del 2021 ed intitolata proprio a Noemi”.

L’attività di prevenzione ad ogni forma di violenza non va in vacanza!

Tappa estiva del tour di presentazione del saggio della nostra presidentessa “Il diavolo che agisce sulle nostre vite”

Venerdì 28 luglio, nell’ambito della seconda edizione della rassegna bibliografica “Appuntamento col Marchese” organizzata a Monopoli dall’Asp Romanelli Palmieri con il patrocinio comunale e in collaborazione con Libreria Minopolis, I libri di Mordi la Puglia e Centro Turistico Giovanile Egnatia, si terrà l’attesa tappa estiva del tour di presentazione del saggio edito da Calibano “Il diavolo che agisce sulle nostre vite”, prima fatica editoriale della nostra presidentessa.

L’incontro si terrà nel prestigioso contenitore storico di palazzo Palmieri e si articolerà in un dialogo con l’autrice affiancata dal prof. Pierfrancesco Impedovo, che ha collaborato alla stesura della parte giuridica del saggio, e dal prof. Michele Colasuonno, teologo e psicologo.

L’opera, pubblicata lo scorso 23 gennaio e già giunta alla sua terza ristampa, getta uno sguardo multidisciplinare sul complesso e articolato fenomeno delle sette sataniche, nell’intento di fornire al lettore strumenti di conoscenza e prevenzione delle dinamiche alla base dell’affiliazione e del controllo all’interno dei contesti settari.

<< La violenza, in ogni sua forma, non va in vacanza; per questo è necessario, anche in questo tempo, continuare l’instancabile opera di sensibilizzazione e informazione contro le varie fenomenologie attraverso cui la violenza si manifesta, tra episodi eclatanti e altri, purtroppo la maggior parte, sotto traccia come nel caso dell’attività dei culti settari>>. È quanto afferma la presidente Tiziana Cecere. <<Questo mio lavoro  è un tassello del duro lavoro di prevenzione che con la mia associazione quotidianamente portiamo avanti, grazie ad un team multidisciplinare di professionisti altamente qualificati e di volontari. Il saggio, che dalla sua pubblicazione lo scorso gennaio ad oggi è stato presentato in svariate località in tutt’Italia, vuole essere un concreto strumento di prevenzione in soccorso delle potenziali vittime  delle sette sataniche. In Italia esistono circa 500 realtà di questo tipo con migliaia e migliaia di adepti. Il fenomeno è fortemente cresciuto durante la pandemia. Per questo è importante informare sul pericolo rappresentato dall’avvicinamento ai culti distruttivi, definiti così appunto perché in grado di condurre l’individuo che vi aderisce alla “distruzione” della sua personalità, dei suoi rapporti familiari e affettivi, della sua indipendenza lavorativa ed economica, della sua individualità cognitiva>>.

La nostra comunità gentile si presenta…

Federica Cuccia, neo socia, ci racconta di sé e delle ragioni che l’hanno spinta ad unirsi a noi.

Salve a tutt*, professionisti e attivisti dell’associazione “Fermiconlemani”.

Mi chiamo Federica Cuccia, vivo a Bari dai tempi dell’università e sono laureata in Psicologia Clinica e delle comunità presso l’Università degli studi di Bari Aldo Moro.

Nel mio percorso di formazione ho avuto esperienze teoriche nelle diverse ramificazioni della psicologia, potendo usufruire ed acquisire un background nei settori della psicologia generale, del lavoro, dello sviluppo, della genitorialità, delle neuroscienze, della criminologia e psicopatologia forense e nel settore della psicologia forense e della testimonianza, ambito in cui ho svolto il percorso di tesi sperimentale. Negli anni, tra gli studi universitari triennali e magistrali ho effettuato dei tirocini nel settore delle demenze (Alzheimer, Parkinson nello specifico), in ambito di ricerca della neuropsicologia presso l’UOC di Psichiatria, al policlinico di Bari lavorando con i Disturbi di Schizofrenia, Bipolarismo e Depressione Maggiore. Qui, ho appena terminato il tirocinio formativo post lauream della durata di un anno in ambito di ricerca in psicologia clinica e generale.

Parallelamente all’Università ho lavorato con il servizio civile universale presso la UILDM di Bari(Lotta italiana alla distrofia muscolare) con le disabilità legate a malattie come SLA e SMA. Ho colto l’occasione per farvi una breve presentazione su quella che è attualmente la mia formazione in modo da poterla mettere a vostra totale disposizione e per potervi mostrare il mio interesse a poter spaziare nei vari settori della professione e non.

Per questo motivo, sono davvero molto interessata ed entusiasta di poter cominciare con voi questa nuova esperienza.

Da anni, ho sempre nutrito grande trasporto e curiosità per tematiche quali la lotta contro i crimini violenti in fenomeni di violenza psicologia e fisica in genere e senza distinzione di genere, nel fornire strumenti per la prevenzione di ogni forma di violenza sia psicologica che fisica, nel riconoscere e contrastare la manipolazione mentale in dinamiche settarie, in dinamiche di bullismo, di cyberbullismo, di stalking e di cyberstalking. Rendere, pertanto, possibile la rimozione degli ostacoli che impediscono l’attuazione dei principi di libertà e di uguaglianza, tale da poter garantire l’esercizio del diritto all’istruzione, alla cultura e alta formazione (tematica a cui sono molto legata) nonché alla valorizzazione delle attitudini e delle capacità e risorse personali.

Grazie al Master in Mediazione presso l’ente Adsum, con la lezione della Docente Cecere ho avuto l’opportunità di conoscere questa bellissima realtà che opera sia sul territorio di Bari che a livello nazionale.

In linea con la mission dell’associazione, metterò in campo le mie risorse formative e non, pronta ad apprendere e collaborare con tutti i professionisti che svolgono la loro attività e danno il loro prezioso contributo all’associazione, cercando di cogliere da ognuno di loro e dalle loro differenti professioni un accrescimento non indifferente al mio bagaglio culturale e personale, in aggiunta anche a quello formativo.

Vi ringrazio e vi rinnovo la mia totale disponibilità.

Federica

Giulia Tramontano: un femminicidio e un figlicidio figli della società dell’Ego.

Il nostro socio Prof. Michele Colasuonno, psicologo e teologo, ci accompagna in una riflessione struggente e schietta sulla genesi di questi tragici avvenimenti.

Mentre mi trovo davanti al foglio bianco, cercando le parole, sentendo le emozioni, sfogliando ogni sorta di manuale o libro che mi aiutino a commentare quanto accaduto a Giulia Tramontano, la Tv è accesa e il Tg riporta ancora un femminicidio, quello di Pier Paola Romano.

Una sola domanda mi sorge: dove stiamo andando?

In questi giorni, anche per via del mio ruolo di psicologo responsabile del trattamento degli offender per l’associazione fermiconlemani, approfondivo lo studio di un testo e mi sono imbattuto in un capitolo dal titolo “Uomini che esercitano violenza sulle donne: una lettura alla luce della teoria dell’attaccamento”, e l’autore con competenza e senso realistico, riporta anche dati sociologici: da sempre, da quando è nata la società maschilista la violenza sulle donne, purtroppo aggiungerei io, è stata socialmente accettata e taciuta, ma che forse non arrivava mai a tanta crudeltà e violenza, per vari motivi; ma come l’autore anche io mi chiedo può questo giustificare uno stile aggressivo, violento, predominante nelle relazioni?

Oggi ci troviamo non solo davanti ad un femminicidio ma anche ad un figlicidio, sì perché Giulia era al settimo mese di gravidanza.

Dove stiamo andando?

Lascio ad altro spazio tutto quello che può riguardare la teoria dell’attaccamento (sarei troppo prolisso), e mi chiedo che fine ha fatto il Super-Io di freudiana memoria, dove sia finita la scala dei valori che governa la mente e l’agito di ogni persona; il narcisismo ci sta portando verso la soddisfazione esclusiva dei nostri bisogni a scapito della vita delle persone che ci circondano e che, in certi casi, sosteniamo di amare e, ancora di più, a scapito della vita di un nostro figlio.

Non c’è più tempo. Urge fare qualcosa che fermi questa mattanza di valori, questa mattanza di rispetto, la solitudine del narcisismo ci sta portando verso una disumanizzazione dell’Umano.

Da docente di una materia che mi permette di entrare in contatto con i miei alunni  senza l’ansia della fine del programma, ritengo che la scuola possa essere uno dei luoghi dove ancora si potrebbe insegnare l’umanizzazione, dove oltre alle tante materie assolutamente utili e indispensabili, si potrebbe scalfire il narcisismo maligno dilagante, ma per poter fare questo bisogna fare scelte concrete e audaci, forse politicamente poco produttive, ma umanamente molto utili. 

Tutto già detto forse, lo sgomento e il dolore irromperanno nuovamente alla prossima notizia che ascolteremo.

Ma ora lasciatemi fluire tutto il dolore per il piccolo Thiago, questo il nome del bambino che Giulia aveva in grembo:

Caro papà, quando ero nella pancia di mamma non ho mai avuto paura. Lì era bello; ad ogni passo che lei faceva mi sentivo cullato, il battito del suo cuore era una musica dolce che ascoltavo prima di addormentarmi. 

Poi, a volte, sentivo qualcosa che mi toccava un piedino, o il braccio: erano le tue mani papà. Potevo riconoscerle, perché a differenza di quelle delle mamma, si muovevano con un po’ di timore. Forse avevi paura di farmi male o di darmi fastidio. Invece a me piaceva. Mi sentivo felice. Quando hai iniziato a parlarmi, piano piano ho imparato a riconoscere anche la tua voce; che buffo eri quando mi cantavi quelle canzoncine, o quando mi raccontavi delle domeniche che sarebbero arrivate, dei giochi con la palla, della scuola, delle gite. Che ridere papà. Anche la mamma rideva, forse anche lei pensava che tu fossi buffo. 

Un giorno è successo qualcosa di strano; ho fatto una capriola e avevo tantissima voglia di nuotare…sentivo la mamma un po’ ridere e un po’ piangere. Poi ho riconosciuto la tua voce. Dicevi alla mamma che era bravissima, che stava facendo un buon lavoro. Dicevi che da lì a poco, io sarei stato tra le sue braccia e che doveva mettercela tutta. 

Quando finalmente sono nato, vi ho sentiti. Ho sentito la pelle della mamma e il sapore del suo latte. Ho sentito cadere sulla mia testa gocce di lacrime. Ma eccole li: le tue mani. Le ho riconosciute perché si muovevano con lo stesso timore di quando mi accarezzavi attraverso la pancia. E finalmente mi sono sentito al sicuro.

Da quel momento ti sei preso cura di me. Hai smesso di andare alle partite di calcetto, ora giochiamo insieme a bubusettete. Hai smesso di guardare i film di paura, ora insieme leggiamo tanti libri di fiabe. Hai smesso di andare a dormire tardi perché ora, quello che ti piace, è addormentarti abbracciato a me. Quando mi cambi il pannolino, sei sempre il solito papà buffo che ho sempre pensato! Le tue smorfie mi fanno ridere un sacco! 

Ora sono un po’ più grande. Sto crescendo papà, e non ho paura. So di potere scalare il divano, perché tu sei vicino a me. So che posso fare le corse, perché se cado un tuo bacio fa passare il dolore. So che posso combinare tutti i disastri del mondo, perché quando la mamma mi rimprovererà, tu sarai mio complice e dietro di lei mi farai l’occhiolino. 

Papà, promettimi una cosa: promettimi che anche quando ti arriverò alle spalle non smetterai di raccontarmi di mostri e pirati, non smetterai di fare capanne con sedie e coperte ma soprattutto continuerai a fare ridere la mamma. Grazie papà, per avermi regalato te stesso. 

Con tutto il bene del mondo, il tuo bambino.” – Maria Russomanno –

Ecco tutto quello che ti sei perso, Alessandro Impagnatiello. 

Prof. Michele Colasuonno

la lettera citata è tratta da: https://www.chizzocute.it/lettera-al-papa-da-un-neonato/

Omicidio Giulia Tramontano

“Ciò che c’è fuori è il riflesso di come siamo dentro”…

Le riflessioni della nostra socia fondatrice Carmela Milone, pedagogista e psicomotricista.

Purtroppo siamo vittime di un sistema distorto e che distorce il nostro modo di condurre la vita.

Di fronte ad avvenimenti come quello capitato alla povera Giulia, leggo la rabbia, la delusione per non avere certezze e sicurezza, specie da chi è preposto a questo compito.

Alla luce degli avvenimenti ci sarebbe da rassegnarsi ad un modo di procedere senza futuro, senza speranza. Questo mi ha fatto riflettere e cercando dentro sento di condividere il mio pensiero.

Sono entrata in associazione come socia fondatrice perché credo che io posso fare la mia parte per creare un mondo migliore, almeno nel mio quotidiano e credo che questo può espandersi e influenzare chi mi circonda. Parliamo troppo spesso di avvenimenti negativi, alimentiamo inconsapevolmente il negativo e non ce ne rendiamo conto.

Cerchiamo tutti la pace l’armonia, il bello ma quanto spazio e quanto tempo vi dedichiamo? Cominciando da noi stessi. Come parliamo a noi stessi? Come ci comportiamo con noi? Il mondo è il riflesso di ciò che noi siamo dentro.

Ci sono delle leggi universali che non possiamo prescindere: “Come è dentro così è fuori, come è sopra così è sotto…etc..”; quindi vediamo la guerra, la violenza, il malessere ma ci siamo chiesti quanto ci tutto ciò è dentro di noi?

Ci sono esperienze ed esperimenti che sono stati fatti, di cui non si parla, che dimostrano come cambiando la realtà personale l’ambiente intorno cambia.

Io sono qui in questo progetto perché credo che cambiando me stessa contribusco a cambiare la realtà esterna. Mettendo un seme di luce e occupandomi di farlo splendere sempre di più.
È un impegno, una fatica, avvolte ma non per questo voglio sottrarmi al mio scopo.
Sono sicura che questo si aggiunge ai tanti piccoli semi di luce che nel mondo, nell’universo brillano di già.
Abbiamo bisogno di fiducia, di pace, di amore e ciascuno può fare la differenza se non altro per onorare le vittime e far si che questi eventi non si ripetano.
Posso sembrare una illusa, ma credo fermamente che l’unione di intenti è molto potente. Per questo ci vogliono azioni che partano dal cuore.


Non vorrei dilungarmi ancora ma ho sentito di esprimere le mie emozioni e pensieri anche per tutte coloro che sono andate nell’oltre.. che ringrazio e benedico per il loro sacrificio.

Carmela Milone

Edipo non è Caino

Riflessioni sui possibili scenari di incostituzionalità del Codice Rosso del nostro socio Pierfrancesco Impedovo, processual-penalista e criminologo.

La particolare vicenda processuale di Alex Pompa, il 22enne che il 30 aprile 2020 a Collegno (Torino) uccise a coltellate il padre nel corso dell’ennesima lite di quest’ultimo con la madre, potrebbe innescare un cambiamento nel trattamento sanzionatorio previsto dal “codice rosso” in alcune circostanze specifiche; vediamo quali.

In primo grado Alex era stato assolto perché «il fatto non costituisce reato», agì per legittima difesa. Secondo i giudici aveva dovuto scegliere «se vivere o morire».

In appello il pg Alessandro Aghemo ha ribadito la richiesta che già la pubblica accusa aveva formulato in primo grado: condanna a 14 anni di reclusione, sottolineando che si tratta del minimo possibile. 

Dopo una lunga camera di consiglio, la Corte d’Appello ha di fatto ribaltato il verdetto di primo grado, emanato un’ordinanza (e non una sentenza), dalla quale si ricava il convincimento che non si sia trattato di legittima difesa e nemmeno di eccesso colposo, ma che in ordine alla quantificazione della pena apre una “breccia” nel Codice Rosso di portata potenzialmente ampia.

La Corte, «visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 e seguenti della legge 87 del 1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3 e 27 comma 1 e 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 577 comma 3 del codice penale nella parte in cui impedisce il giudizio di prevalenza ai sensi dell’articolo 69 codice penale delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante della provocazione rispetto alla circostanza aggravante prevista per il delitto di omicidio volontario in relazione al fatto commesso contro l’ascendente dall’articolo 577 comma 1 numero 1 del codice penale. Sospende il giudizio fino all’esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale. L’udienza è tolta».

I giudici della Corte hanno dunque sollevato una questione di legittimità della norma, introdotta dal cosiddetto ”Codice Rosso”, che in questi casi (omicidio aggravato dal vincolo di parentela) vieta di poter dichiarare la prevalenza di alcune attenuanti e quindi di poter applicare uno sconto di pena. 

È stata la difesa a chiedere che venisse sollevata la questione. Ovviamente la richiesta era in subordine rispetto a quella di conferma della sentenza di assoluzione di primo grado.

Tecnicamente, la riforma del 2019, il Codice Rosso, non solo ha inasprito le pene per gli autori di reati commessi in contesti familiari, ma ha altresì inserito nel codice penale una norma che impedisce di considerare prevalenti talune attenuanti sull’aggravante del vincolo di parentela, per evitare l’applicazione di pene poco severe nei casi di violenza endofamiliare. 

La Corte ha dunque escluso la legittima difesa, manifestando l’intenzione di voler riformare così la decisione del primo grado e accogliendo la tesi dell’accusa; tuttavia ha riconosciuto che Alex, a causa del gravissimo contesto familiare in cui ha vissuto per anni con un padre violento, meritasse le attenuanti generiche e quella della provocazione.

Ogni attenuante dovrebbe fornire la possibilità di ridurre la pena di un terzo. Però in questo caso, in virtù della riforma del 2019, esse possono essere riconosciute solo come equivalenti, e non come prevalenti, alle aggravanti. 

Questa situazione, ad avviso della difesa, genera una disparità di trattamento perché Alex verrebbe condannato alla stessa pena di uno che non merita le attenuanti. La Corte ha dunque accolto questa lettura della norma e ha investito la Consulta della questione.

Anche il pubblico ministero si è detto favorevole a sollevare il dubbio. Comunque aveva chiesto 14 anni, la pena minima possibile per un omicidio volontario, considerata altresì la semi infermità mentale del ragazzo accertata da una perizia psichiatrica. 

La Corte, in sintesi, ha sospeso la Camera di Consiglio, escludendo la legittima difesa, quindi ritenendo di dover condannare Alex. Però, ai fini della quantificazione della pena, ha rimesso gli atti ai giudici costituzionali.

I possibili due scenari: qualora la Consulta ritenesse incostituzionale quella parte della norma, per Alex le attenuanti sarebbero riconosciute prevalenti sulle aggravanti e quindi potrebbe essere condannato a 7 o 8 anni di reclusione. 

Se invece rigettasse la questione di incostituzionalità verrebbe condannato a 14 anni di carcere. 

Quanto fin qui esposto, lungi dal voler essere una disanima sulla vicenda umana e processuale di Alex (su cui non è nostra intenzione esprimere alcun giudizio, né etico, né tantomeno giuridico), rappresenta una doverosa riflessione sulle potenziali modificazioni del Codice Rosso; norma che per un’associazione come Fermiconlemani, da sempre impegnata nella prevenzione e nel contrasto ad ogni forma di violenza, rappresenta (pur con le debite riserve) una risposta efficace sul piano repressivo a molte fattispecie incidenti sui fenomeni di violenza domestica e di genere.

Pierfrancesco Impedovo