QUALE OUTFIT PER QUALE VACANZA?

Consigli per il giusto Outfit vacanziero a cura della nostra esperta d’immagine e personal shopper, nonché responsabile del progetto”Benessere ed Empowerment” Ottavia Ditroia.

Allora, siamo pronti a partire?

Abbiamo organizzato il nostro viaggio? E la nostra valigia? Siamo ancora in alto mare? 

Bene, in vostro soccorso arriva una vera esperta perché state per leggere una guida ai migliori look per le vostre vacanze, ovunque esse siano. Facile, comoda e stilosa ma sempre con l’obiettivo di non portare in viaggio il superfluo.

MARE: naturalmente, nella valigia per il mare non devono mancare i bikini, uno per ogni giorno di vacanza, ma non sottovalutate di inserire anche costumi interi perché saranno fantastici e comodi da indossare come top. Io sono una grande amante dei jeans, sono il mio capo preferito in assoluto (insieme al blazer), quindi li inserisco in ogni valigia, qualunque sia la mia destinazione, perché sono sicura che mi serviranno, anzi, saranno un salva-outfit!! Meglio puntare su un modello classico e nel tradizionale blue jeans. Altro alleato prezioso è la camicia in lino, bianca o azzurro classico da portare di sera con gli shorts (o con i jeans o una bella maxi-gonna) o di giorno come copricostume. Anche un paio di pantaloncini corti o una minigonna possono rivelarsi capi versatili, buoni per una gita in città o per una festa in spiaggia. Poi non può certo mancare il caftano, perfetto sia per il mare che per la sera e l’abito lungo fluttuante, casual con i sandali flat ed elegante con i tacchi. Accessori? Maxi-cappelli in paglia abbinati ad una maxi-bag in paglia, micro-pochette con paillettes o applicazioni gioiello per la sera, sandali flip-flop per la spiaggia o la piscina, sandali gioiello flat e sandali col tacco, pareo dai toni brillantissimi e bijou appariscenti e luminosi per valorizzare anche il più semplice degli outfit.

MONTAGNA: Non solo mare. Per quest’anno anche le vacanze in montagna sono gettonatissime! Quindi ecco i capi perfetti per il relax ad alta quota! Indispensabile, per tutta la durata della vacanza, una giacca impermeabile leggera, un paio di legging tecnici sportivi e comodi, una felpa con cappuccio e delle buone scarpe da trekking. Tutti alleati imprescindibili per apprezzare al meglio (e con stile!) le scarpinate in alta quota che vi attendono. E durante le escursioni non dimenticate mai di usare un’adeguata protezione solare. Il bucket hat è il cappello del 2023! Tornato di grandissima tendenza anche in città, è perfetto in montagna d’estate, dato che ci permette di proteggerci dal sole con stile. Versatile se scelto in un colore neutro, in modo da poterlo abbinare senza problemi a tutti gli outfit, sta bene con una semplice t-shirt, jeans e scarpe da passeggio. Un look semplice ma chic, composto da un abito lungo ma informale ed un comodissimo paio di sandali da trekking è l’ideale per girovagare tra i paesini e i borghi antichi. Per ripararvi da eventuali cambi di temperatura portate con voi un cardigan leggero o una giacca in pelle. Ma  anche in montagna abbiamo bisogno di indossare un outfit più femminile. Lasciate a casa i tacchi, dopo aver camminato tutto il giorno anche i nostri piedi meritano riposo! Scegliete, dunque, una abito semplice da abbinare anche con le sneaker ed un cardigan comodo ed avvolgente. 

CITTÀ D’ARTE: Devi visitare una città d’arte e non sai come vestirti? Fashion, Casual, Chic o semplicemente funzionale? Ecco tutti i suggerimenti per visitare una città d’arte senza correre il rischio di fare una pessima scelta! Quando si sceglie di visitare una città d’arte si entra in musei, ville, chiese quindi è necessario avere un dress code rispettoso. Per questo consiglio di evitare capi di abbigliamento eccentrici o una scollatura troppo in vista. Per prima cosa vanno scelti con attenzioni i tessuti. Evitate gli acrilici che non fanno respirare, preferite lino e cotone leggeri. Camicia o maglia a maniche corte sono le benvenute, la canottiera è già un indumento da cestinare per questioni di decoro. I colori chiari sono da preferire, attirano meno il sole e chissà perché, hanno sempre una nota elegante, di stile. I maxi-dress colorati e fluttuanti secondo me sono l’ideale perché possono essere portati da mattina a sera, soprattutto quando non è possibile ritornare in albergo per cambiarsi per la sera. Aggiungerei delle t-shirt in lino a maniche corte dai toni chiari da abbinare a pantaloni palazzo in lino o cotone leggero oppure a maxi-gonne tinta unita o con micro-fantasie, ma non sarebbe male pensare anche ad un paio di shorts o bermuda. Sarebbe utile portare borse leggere ma capienti e cappelli per proteggersi dal sole oltre ad occhiali da sole con delle ottime lenti protettive. Per quanto riguarda le calzature, opterei per un paio di sneakers bianche o sandali bassi ma comodi; i tacchi li considererei solo se già sapete di avere una seratina più impegnativa…

Ottavia Ditroia

FEMMINICIDIO: TRA SPETTACOLARIZZAZIONI ED INTERVENTI LEGISLATIVI

Riflessioni giuridiche -e non solo- della nostra socia Patrizia Ciorciari, avvocata penalista.

Dal primo di gennaio ad oggi sono oltre 20 i Femminicidi accertati. Donne che vengono uccise perché donne per mano dei propri patners o ex patners.

E’ una violenza dilagante che travolge non solo le donne uccise, ma intere famiglie, si tratta di donne, di mogli, di madri, di figlie, donne giovani e meno giovani. Si tratta di vite spezzate.

Giulia Donato Martina Scialdone Giulia Tramontano, tutte donne uccise dai rispettivi mariti compagni o ex che non hanno accettato la fine della storia, o come nel caso che ha toccato i cuori di tutti  di Giulia Tramontano, uccisa insieme al figlio THIAGO perché il partner non RIUSCIVA A REGGERE IL PESO DI DUE RELAZIONI”.

E’ una scia di sangue che non accenna a fermarsi  e che dopo aver macchiato  il 2022, continua  a farlo anche nel 2023.

Tutti questi drammatici eventi mi inducono in quanto avvocata in prima linea nella lotta alla violenza di genere e come privata cittadina sensibile a queste tematiche  a due profonde riflessioni.

La prima riflessione riguarda l’incidenza che  questi gravi accadimenti hanno dal punto di vista legislativo. Sull’onda emotiva di quest’ultimo terribile femminicidio l’attuale legislatore ha annunciato una ulteriore  giro di vite sulle norme per contrastare la violenza di genere. Dal 2009 ad oggi numerosi sono stati gli interventi che il legislatore ha posto in essere per contrastare questo fenomeno dilagante. Dalla Convenzione di Istanbul  sulla prevenzione e la lotta alla violenza di genere ratificata dall’Italia nel 2013; alla legge 119/2013 che prevedeva norme di sicurezza ;alla più recente legge n. 69/2019 meglio nota come Codice Rosso che oltre ad introdurre nuove fattispecie autonome di reato ha inasprito ulteriormente le pene per gli autori di tali crimini contro le donne oltre che ad introdurre ulteriori garanzie per la persona offesa.

Ma se guardiamo alla scia di sangue che i femminicidi hanno lasciato dal 2019  (anno di entrata in vigore del Codice Rosso) ad oggi,  se  guardiamo a tutte le vite spezzate, spontanea sorge la domanda: ma davvero inasprire le pene serve a qualcosa? A leggere i dati del Viminale sui femminicidi la risposta  è NO.  Perchè da sola la legge non basta, se a tale inasprimento non si affianca un vero e concreto intervento del Legislatore nella direzione del cambiamento culturale.  Servono interventi ed investimenti che vadano nella direzione di miglioramento delle competenze trasversali; servono fondi che aiutino i CAV, le case Famiglia, servono fondi per aiutare tutte quelle donne che sono  riuscite a salvarsi dalla spirale di violenza a causa di un marito e/o compagno maltrattante a riprendere in mano la propria vita spezzata. Servono fondi da investire nelle scuole, perché l’unico vero autentico cambiamento parte da qui. Dalla educazione delle giovani menti. È necessario sensibilizzare educare ed insegnare serve educare i bambini e le bambine di oggi per non dover difendere poi gli uomini e le donne di domani Perché da sola la legge non basta. 

Una seconda riflessione riguarda invece il circo mediatico che si determina a causa della risonanza a volte esagerata che i media danno a questi eventi criminosi al solo scopo di fare odience.  La spettacolarizzazione di questi tragici eventi, con il MOSTRO sbattuto in prima pagina o con conduttori televisivi che  come novelli PM AVVOCATI E MAGISTRATI si sentono in diritto di fare indagini ricercare le prove ad emettere sentenze in quello che ormai è diventata la sede ufficiale dei Tribunali ovvero le piattaforme social  . E quindi quello a cui assistiamo sono delle vere e proprie spettacolarizzazioni dei femminicidi,  in cui si consente a conduttori televisivi, di sbattere il mostro  in prima pagina o di minimizzare la gravità del reato ai danni della donna, che diventa così due volte vittima: vittima del reato prima e della narrazione che si fa della vicenda poi, oppure di anticipare sentenze.

Il mondo della informazione gioca un ruolo importante soprattutto nella mediazione tra ciò che viene espresso in Tribunale,  unica sede deputata ad esercitare la giustizia e ciò che viene trasmesso alla opinione pubblica.

L’ambito giudiziario non è certo immune da pregiudizi e stereotipi, per questo è importante un uso responsabile dello strumento informativo. L’abuso e la violenza di genere vanno comunicate e vanno comunicate in modo consapevole perchè raccontare la violenza è il primo passo per combatterla. Ed in questo i media esercitano un ruolo fondamentale.

Le parole a seconda di come vengono usate   possono pesare come macigni per la loro intrinseca violenza, oppure possono aiutare a comprendere distanziare ed elaborare. L’errore principale da evitare nella narrazione di una violenza di genere è quella che viene definita  la romanticizzazione  che tende a svuotare il femminicidio di tutta la sua gravità. Attraverso una errata narrazione   Amore Possesso e Gelosia diventano giustificazioni atte a deresponsabilizzare il reo. Sovente si ascoltano nei TG o nei programmi di informazione frasi come  “Era innamorato, ha ucciso in preda ad un raptus, oppure se l’e cercata”. Quante volte ho ascoltato queste frasi  quante e tutte le volte mi ribello ad esse perchè così facendo si finisce con il trasformare il carnefice in vittima ed in vittima il carnefice  minimizzando la gravità del reato, causando la cd vittimizzazione secondaria: del carnefice prima  e delle istituzioni poi. A questo poi si aggiungano le interviste ai vicini ai parenti ai genitori agli amici del reo che ovviamente lo descrivono come “un uomo, un padre perfetto ed esemplare oppure un bravo ragazzo” Tutti questi commenti trasmettono un messaggio negativo che tende a sminuire la gravità dell’atto violento.

Ecco perché il ruolo dei media è fondamentale . Ma per evitare che i social si trasformino in Tribunali populisti è necessario che la stampa ed i media in genere mantengano un certo equilibrio, che si responsabilizzino dinnanzi a verità giudiziarie che vittimizzano le donne o che giustificano gli uomini colpevoli, altrimenti chi ne risentirà sarà in primis questo lungo cammino di sensibilizzazione alla violenza il cui contributo primario parte proprio da un uso appropriato dei media. Dobbiamo perciò essere noi il cambiamento che vogliamo perché la copertura mediatica dei femminicidi continui ad essere il volano che induca le vittime di violenza a chiedere aiuto.

Patrizia Ciorciari

OUTFIT AL LAVORO: MEGLIO GONNA O PANTALONE?

Per la nostra rubrica “pillole d’immagine” ancora preziosissimi consigli di stile della nostra Ottavia Ditroia, responsabile progetto “Benessere ed empowerment”

Me la sento rivolgere spesso questa domanda: cosa devo prediligere in ufficio d’estate? E’ meglio la gonna o il  pantalone?

Come al solito, quando si tratta di stile, le risposte non possono essere MAI generiche, ma si devono adattare allo specifico stile di vita di chi pone la domanda.

E allora cosa fare?

La chiave del successo è trovare un look da ufficio per l’estate professionale ma leggero, è un dato di fatto che lo stress termico influisce sempre sull’outfit, oltre che sulla produttività. 

Quindi ho studiato per voi questi outfit estivi per l’ufficio che vi permetteranno di affrontare con stile e professionalità le alte temperature, oltre che call, meeting e quant’altro. Certo, tutte preferiremmo essere già sulla spiaggia in costume e infradito, ma visto che non è ancora possibile… meglio correre ai ripari con freschi look da ufficio che ci permettono di respirare persino quando l’aria condizionata smette di funzionare. Eccoli!

  1. PRIMA DI TUTTO PENSATE AI TESSUTI DA INDOSSARE: scegliete sempre tessuti naturali e non sintetici, perché fanno respirare la pelle, sono leggeri, comodi e lussuosi; perciò via libera al cotone leggero, al lino, alla seta…. Un esempio di outfit potrebbe essere un completo in lino o in cotone, con gonna o pantalone a seconda delle esigenze.  E per movimentare il classico dress code da ufficio, puntate su colori dal tocco vintage e ricercato. Black&white? Quello riservatelo al prossimo inverno! Gli accessori? Quelli di sempre: una borsa capiente e delle slingback.
  2. L’ABITO CHE SFIORA IL GINOCCHIO: il vestito in ufficio è bandito? Il segreto è prediligere abiti strutturati, come il tubino. Sopra, un blazer colorato dalla vestibilità ampia, che deve necessariamente essere più corto dell’abito di almeno 10 centimetri. Uno stratagemma di styling che contribuisce a donare professionalità al look da ufficio.
  3. MAI PENSATO AD UNA JUMPSUIT?: la tuta intera potrebbe essere la risposta in alcune circostanze, soprattutto quando siamo in ritardo e non abbiamo il tempo di pensare agli abbinamenti.  Il modello ideale è sartoriale, in un tessuto leggero e dal taglio non aderente, col colletto a camicia o a blazer. Nessuna divagazione cargo: la metà è il meeting, non il giardinaggio. Gli accessori qui giocano un ruolo fondamentale: gioielli semplici e minimali , sandali chiusi sul davanti a coprire le dita, una borsa di media grandezza, e soprattutto una cintura in vita, che regala all’outfit quel tocco formale in più.
  4. BLUSA CON GONNA MIDI: la gonna midi è un’alleata perfetta quando fa caldo in ufficio perché ci permette di stare fresche senza risultare inappropriate. Da abbinare ad una blusa bianca o in un colore acceso e, per completa il look, un paio di sandali dal tacco squadrato.
  5. MAXI-ABITO CON MANICHE A 3/4: come riutilizzare tutti i nostri meravigliosi e fluttuanti maxi-abiti, a fiori o in altre stampe, che quest’anno abbiamo lasciato nell’armadio? In ufficio, d’estate. Il focus è sulle maniche: per risultare impeccabili, coprire le spalle è d’obbligo. Da prediligere i modelli che esaltano le forme senza appesantirle, o al contrario, nasconderle: uno chemisier un abito a portafoglio stretto in vita che ricade morbido sui fianchi. Ai piedi, sandali alti, décolleté o al contrario sling back flat; non sono previste mezze misure. Da cambiare per la scampagnata nel weekend con un paio di sneakers.

Ottavia Ditroia

Delitto di Giulia Tramontano: quando l’aggravante discrimina la vita

Il nostro socio Prof Pierfrancesco Impedovo, processual-penalista e criminologo, si sofferma sulla delicata questione di diritto sottesa al caso della povera Giulia.

Una donna incinta è una donna che ha un’altra vita con sé. C’è, dunque, qualcosa in più che entra in gioco. C’è qualcun’altro a cui viene fatto un torto. Il torto supremo di portar via la vita. Nell’omicidio di una donna incinta accade qualcosa di doppiamente orrendo.

In queste ore gira in rete un hastag “#duplice omicidio” per sensibilizzare l’opinione pubblica a chiedere di cambiare il capo d’imputazione a carico di Alessandro Impagnatiello (risultato tecnicamente impossibile rebus sic stantibus), reo confesso dell’uccisione della giovane Giulia Tramontano incinta al settimo mese di gravidanza. 

Ricordiamo che il barman è imputato di omicidio volontario aggravato, occultamento di cadavere ed interruzione di gravidanza non consensuale. 

La domanda rivolta alle scienze giuridiche è quindi semplice.

Uccidere una donna incinta è duplice omicidio? 

Negli Stati Uniti d’America sì. 

Il governatore Eric Holcomb ha infatti promulgato una legge che riconoscere anche il bambino nel grembo come vittima, nel caso venga uccisa la donna che lo porta.

Ciò vuol dire che sia che si tratti di omicidio volontario, che di omicidio colposo il reato è duplice.

La norma vale «in qualsiasi fase dello sviluppo» del bambino e non è rilevante se l’autore del reato fosse consapevole o meno della gravidanza. Il secondo omicidio comporta un aggravamento di pena da sei a vent’anni. 

Per il nostro ordinamento, invece un feto non è ancora una persona. E se ciò che uccidi non è una persona “tecnicamente” non è stato un omicidio.

In caso di un omicidio di una donna incinta è quindi considerato come omicidio di una persona -con delle aggravanti, certo- ma non un duplice omicidio. Perché per la legge è stata uccisa una sola persona. Il feto viene considerato a tutti gli effetti un “pezzo” della madre, non una vita autonoma. 

Questo almeno finché il feto vivo non si è distaccato, in modo naturale o indotto, dall’utero materno. O a partire dal travaglio, secondo interpretazioni più recenti e meno restrittive del concetto di “uomo” (cfr Cas. 27539/2019). 

Per differenziare quindi il reato da procurato interruzione di gravidanza a omicidio ci deve essere il passaggio dalla vita intrauterina a quella extra uterina con la manifestazione del primo atto respiratorio. In altre parole il feto deve nascere vivo.

Pertanto, la legge italiana attualmente non prevede il riconoscimento del duplice omicidio in caso di assassinio di una donna in gravidanza, indipendentemente dal mese di avanzamento della stessa.

Da qui il sorgere in queste ore di un vasto movimento d’opinione atto a promuovere, nelle nelle opportune sedi governative, la richiesta di un intervento legislativo, affinché venga riconosciuto il duplice omicidio quando la vittima è una donna in gravidanza in stato avanzato e giungere ad infliggere pene più gravi.

  • l’Italia, purtroppo, non è nuova a casi di questo genere: 2001, Silvia Cattaneo 26 anni di Arese, 2003 Monica Ravizza 24 anni di Milano, 2006 Jennifer Zacconi 22 anni di Olmo di Martellago, 2017 Irina Bakal 21 anni di Formeniga, solo per citarne alcuni. 

La posizione del diritto penale di fronte ai temi dell’inizio e della fine della vita umana è accomunata non solo dalle zavorre ideologiche che, almeno in certi casi, sono in grado di “appesantire” l’opera dell’interprete e/o del legislatore, ma anche, su un piano per certi aspetti opposto, dalla necessità di fare i conti con gli incalzanti progressi della scienza e della tecnica. 

Rispondere ai quesiti “quando si nasce?” e “quando si muore?” in una prospettiva giuridica è divenuta un’operazione particolarmente complessa, visti, da una parte, gli studi sempre più dettagliati sull’embrione e, dall’altra, le tecniche che consentono di prolungare le funzioni vitali di un individuo ben al di là di quanto fosse anche solo immaginabile ai tempi di compilazione del codice penale. 

Il codice penale, come s’è detto,  assume come discrimen di tutela della vita il momento della nascita, che segna anche l’applicazione della fattispecie di omicidio comune (art. 575 c.p.) o, in presenza di condizioni di abbandono morale e materiale, di infanticidio (art. 578 c.p.). La “nascita” deve essere intesa come il distacco del feto dall’utero materno, naturale o indotto: prima di questo momento possono trovare applicazione i delitti di aborto, dopo questo momento si apre la via all’applicazione dei delitti di omicidio. 

Una legislazione ragionevole, forse, dovrebbe anzitutto predisporre una tutela il cui grado di incisività corrisponda ai diversi stadi di sviluppo del concepito, in accordo con gli interessi di cui è titolare la madre (rectius, la donna), senza contare la necessità di delineare un sistema intimamente coerente di tutela penale della persona in limine vitae e in limine mortis: pur nella consapevolezza che l’“equilibrio perfetto” non è un obiettivo giuridicamente raggiungibile, specie quando a venire in considerazione siano gli interrogativi essenziali relativi alla stessa condizione umana (Cos’è la vita? Cos’è la morte?). 

Attendiamo fiduciosi.

Pierfrancesco Impedovo

Giulia Tramontano: un femminicidio e un figlicidio figli della società dell’Ego.

Il nostro socio Prof. Michele Colasuonno, psicologo e teologo, ci accompagna in una riflessione struggente e schietta sulla genesi di questi tragici avvenimenti.

Mentre mi trovo davanti al foglio bianco, cercando le parole, sentendo le emozioni, sfogliando ogni sorta di manuale o libro che mi aiutino a commentare quanto accaduto a Giulia Tramontano, la Tv è accesa e il Tg riporta ancora un femminicidio, quello di Pier Paola Romano.

Una sola domanda mi sorge: dove stiamo andando?

In questi giorni, anche per via del mio ruolo di psicologo responsabile del trattamento degli offender per l’associazione fermiconlemani, approfondivo lo studio di un testo e mi sono imbattuto in un capitolo dal titolo “Uomini che esercitano violenza sulle donne: una lettura alla luce della teoria dell’attaccamento”, e l’autore con competenza e senso realistico, riporta anche dati sociologici: da sempre, da quando è nata la società maschilista la violenza sulle donne, purtroppo aggiungerei io, è stata socialmente accettata e taciuta, ma che forse non arrivava mai a tanta crudeltà e violenza, per vari motivi; ma come l’autore anche io mi chiedo può questo giustificare uno stile aggressivo, violento, predominante nelle relazioni?

Oggi ci troviamo non solo davanti ad un femminicidio ma anche ad un figlicidio, sì perché Giulia era al settimo mese di gravidanza.

Dove stiamo andando?

Lascio ad altro spazio tutto quello che può riguardare la teoria dell’attaccamento (sarei troppo prolisso), e mi chiedo che fine ha fatto il Super-Io di freudiana memoria, dove sia finita la scala dei valori che governa la mente e l’agito di ogni persona; il narcisismo ci sta portando verso la soddisfazione esclusiva dei nostri bisogni a scapito della vita delle persone che ci circondano e che, in certi casi, sosteniamo di amare e, ancora di più, a scapito della vita di un nostro figlio.

Non c’è più tempo. Urge fare qualcosa che fermi questa mattanza di valori, questa mattanza di rispetto, la solitudine del narcisismo ci sta portando verso una disumanizzazione dell’Umano.

Da docente di una materia che mi permette di entrare in contatto con i miei alunni  senza l’ansia della fine del programma, ritengo che la scuola possa essere uno dei luoghi dove ancora si potrebbe insegnare l’umanizzazione, dove oltre alle tante materie assolutamente utili e indispensabili, si potrebbe scalfire il narcisismo maligno dilagante, ma per poter fare questo bisogna fare scelte concrete e audaci, forse politicamente poco produttive, ma umanamente molto utili. 

Tutto già detto forse, lo sgomento e il dolore irromperanno nuovamente alla prossima notizia che ascolteremo.

Ma ora lasciatemi fluire tutto il dolore per il piccolo Thiago, questo il nome del bambino che Giulia aveva in grembo:

Caro papà, quando ero nella pancia di mamma non ho mai avuto paura. Lì era bello; ad ogni passo che lei faceva mi sentivo cullato, il battito del suo cuore era una musica dolce che ascoltavo prima di addormentarmi. 

Poi, a volte, sentivo qualcosa che mi toccava un piedino, o il braccio: erano le tue mani papà. Potevo riconoscerle, perché a differenza di quelle delle mamma, si muovevano con un po’ di timore. Forse avevi paura di farmi male o di darmi fastidio. Invece a me piaceva. Mi sentivo felice. Quando hai iniziato a parlarmi, piano piano ho imparato a riconoscere anche la tua voce; che buffo eri quando mi cantavi quelle canzoncine, o quando mi raccontavi delle domeniche che sarebbero arrivate, dei giochi con la palla, della scuola, delle gite. Che ridere papà. Anche la mamma rideva, forse anche lei pensava che tu fossi buffo. 

Un giorno è successo qualcosa di strano; ho fatto una capriola e avevo tantissima voglia di nuotare…sentivo la mamma un po’ ridere e un po’ piangere. Poi ho riconosciuto la tua voce. Dicevi alla mamma che era bravissima, che stava facendo un buon lavoro. Dicevi che da lì a poco, io sarei stato tra le sue braccia e che doveva mettercela tutta. 

Quando finalmente sono nato, vi ho sentiti. Ho sentito la pelle della mamma e il sapore del suo latte. Ho sentito cadere sulla mia testa gocce di lacrime. Ma eccole li: le tue mani. Le ho riconosciute perché si muovevano con lo stesso timore di quando mi accarezzavi attraverso la pancia. E finalmente mi sono sentito al sicuro.

Da quel momento ti sei preso cura di me. Hai smesso di andare alle partite di calcetto, ora giochiamo insieme a bubusettete. Hai smesso di guardare i film di paura, ora insieme leggiamo tanti libri di fiabe. Hai smesso di andare a dormire tardi perché ora, quello che ti piace, è addormentarti abbracciato a me. Quando mi cambi il pannolino, sei sempre il solito papà buffo che ho sempre pensato! Le tue smorfie mi fanno ridere un sacco! 

Ora sono un po’ più grande. Sto crescendo papà, e non ho paura. So di potere scalare il divano, perché tu sei vicino a me. So che posso fare le corse, perché se cado un tuo bacio fa passare il dolore. So che posso combinare tutti i disastri del mondo, perché quando la mamma mi rimprovererà, tu sarai mio complice e dietro di lei mi farai l’occhiolino. 

Papà, promettimi una cosa: promettimi che anche quando ti arriverò alle spalle non smetterai di raccontarmi di mostri e pirati, non smetterai di fare capanne con sedie e coperte ma soprattutto continuerai a fare ridere la mamma. Grazie papà, per avermi regalato te stesso. 

Con tutto il bene del mondo, il tuo bambino.” – Maria Russomanno –

Ecco tutto quello che ti sei perso, Alessandro Impagnatiello. 

Prof. Michele Colasuonno

la lettera citata è tratta da: https://www.chizzocute.it/lettera-al-papa-da-un-neonato/

Omicidio Giulia Tramontano

“Ciò che c’è fuori è il riflesso di come siamo dentro”…

Le riflessioni della nostra socia fondatrice Carmela Milone, pedagogista e psicomotricista.

Purtroppo siamo vittime di un sistema distorto e che distorce il nostro modo di condurre la vita.

Di fronte ad avvenimenti come quello capitato alla povera Giulia, leggo la rabbia, la delusione per non avere certezze e sicurezza, specie da chi è preposto a questo compito.

Alla luce degli avvenimenti ci sarebbe da rassegnarsi ad un modo di procedere senza futuro, senza speranza. Questo mi ha fatto riflettere e cercando dentro sento di condividere il mio pensiero.

Sono entrata in associazione come socia fondatrice perché credo che io posso fare la mia parte per creare un mondo migliore, almeno nel mio quotidiano e credo che questo può espandersi e influenzare chi mi circonda. Parliamo troppo spesso di avvenimenti negativi, alimentiamo inconsapevolmente il negativo e non ce ne rendiamo conto.

Cerchiamo tutti la pace l’armonia, il bello ma quanto spazio e quanto tempo vi dedichiamo? Cominciando da noi stessi. Come parliamo a noi stessi? Come ci comportiamo con noi? Il mondo è il riflesso di ciò che noi siamo dentro.

Ci sono delle leggi universali che non possiamo prescindere: “Come è dentro così è fuori, come è sopra così è sotto…etc..”; quindi vediamo la guerra, la violenza, il malessere ma ci siamo chiesti quanto ci tutto ciò è dentro di noi?

Ci sono esperienze ed esperimenti che sono stati fatti, di cui non si parla, che dimostrano come cambiando la realtà personale l’ambiente intorno cambia.

Io sono qui in questo progetto perché credo che cambiando me stessa contribusco a cambiare la realtà esterna. Mettendo un seme di luce e occupandomi di farlo splendere sempre di più.
È un impegno, una fatica, avvolte ma non per questo voglio sottrarmi al mio scopo.
Sono sicura che questo si aggiunge ai tanti piccoli semi di luce che nel mondo, nell’universo brillano di già.
Abbiamo bisogno di fiducia, di pace, di amore e ciascuno può fare la differenza se non altro per onorare le vittime e far si che questi eventi non si ripetano.
Posso sembrare una illusa, ma credo fermamente che l’unione di intenti è molto potente. Per questo ci vogliono azioni che partano dal cuore.


Non vorrei dilungarmi ancora ma ho sentito di esprimere le mie emozioni e pensieri anche per tutte coloro che sono andate nell’oltre.. che ringrazio e benedico per il loro sacrificio.

Carmela Milone

COME ELEVARE GLI OUTFIT BASICI: 4 SEMPLICI ED ECONOMICI TRUCCHETTI

Ce li svela la nostra esperta d’immagine e personal shopper Ottavia Ditroia

È fondamentale avere nell’armadio degli ottimi capi basici che formano una Capsule Wardrobe adatta ad ogni stagione.

Senza capi basici di ottima qualità e in tonalità  neutre, è molto difficile creare un outfit e spesso è questo uno dei motivi per i quali molte di noi non riescono a vestirsi al mattino pur avendo un armadio pieno di vestiti.

E’ anche vero che fare shopping di capi basici non è esattamente eccitante; è senz’altro più divertente comprare capi che rispondono alle ultime tendenze, particolari e meravigliosi, ma è proprio in questo momento che vi viene in soccorso una brava personal shopper, che sa esattamente dove comprare i pezzi giusti e soprattutto, come trasformare forse noiosi capi basici in outfit stratosferici e dall’effetto wow.

Oggi, infatti, parliamo proprio di questo: vi dimostrerò, per esempio, che anche una semplice camicia bianca in cotone potrebbe diventare il pezzo forte di un outfit se abbinata in maniera corretta.

Ecco come fare:

  1. ATTENZIONE ALLA VESTIBILITA’: un modo efficace e veloce per trasformare un capo basico in un outfit è senz’altro la vestibilità. Tante volte vi ho sottolineato l’importanza di acquistare facendo attenzione alla forma del corpo, perché da questo deriva l’effetto finale. Un blazer che ci calza a pennello, per esempio, assume già un aspetto migliore indossato rispetto ad uno troppo largo o troppo stretto o troppo corto o troppo lungo. Ciò accade per qualsiasi capo, che sembra immediatamente più scialbo se non vi veste come un guanto. Questo discorso non ha niente a che fare col prezzo d’acquisto: se un paio di jeans che costano € 10 vi stanno benissimo ed esaltano la vostra figura, sono sicuramente ciò che fa per voi;
  2. GIOCARE CON LE TEXTURE: semplicissimo ma davvero d’effetto ed economico. Non dovete far altro che creare un outfit composto da capi basici ma con tessuti diversi e il gioco è fatto! Provate ad immaginare che meraviglia un outfit composto per esempio da: pantalone/gonna in pelle, semplice camicia in seta e cappotto in lana. Come potete vedere, sono sì sempre capi basici, ma il mix di texture rende immediatamente tutto l’abbinamento molto più interessante, oltre che assolutamente chic, femminile e raffinato. Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che con questo outfit rispondiamo anche ad uno dei trend di stagione preponderanti: la pelle. Più semplice ed economico di così!
  3. ACCESSORI:  mai sottostimare la fondamentale importanza che hanno gli accessori nella composizione di un outfit. Anche un semplice abbinamento tra jeans e t-shirt bianca si trasforma immediatamente in un outfit da diva se aggiungiamo una bella cintura che magari riprende le tonalità di un foulard/sciarpa e/o degli occhiali da sole, oppure una bella collana brillante che si abbina alle scarpe, o ancora un paio di orecchini che esaltano il nostro incarnato e che si abbinano al nostro accessorio per i capelli. Gli esempi sono molteplici, ma vi invito a giocare con i vostri accessori e vedrete che differenza: l’outfit noioso si trasforma in meraviglioso;
  4. INCORPORARE I COLORI E I METALLI: un semplice outfit basico dalle tonalità neutre risulterà molto più interessante e armonico se inseriamo un (massimo 2) elemento colorato o con paillettes o metallizzato. Per esempio: jeans flare neri e maglioncino in cachemire nero; se aggiungiamo un blazer color corallo o bluette o fucsia con cintura abbinata e scarpe metallizzate (o con profili metallici) sarà sicuramente molto più d’impatto e meno scontato; oppure un outfit composto da un pantalone nero con camicia classica bianca sarà più valorizzato da un cardigan con filo metallizzato o con applicazioni in paillettes e scarpe metallizzate (o con profili metallici).

Ottavia Ditroia

Pillole di dress code… COSA INDOSSARE  IN UFFICIO IN PRIMAVERA (QUASI ESTATE 😜)

a cura della nostra socia Ottavia Ditroia, esperta d’immagine e personal shopper

Se anche voi avete dei dubbi e la mattina vi svegliate senza avere idea di cosa indossare, allora è bene continuare a leggere, perché ho dei consigli utili che potrebbero esservi d’aiuto.

Certo, non tutti gli uffici sono uguali, sia a livello strutturale che di dress code.

Ci sono quelli più casual e informali e quelli in cui è richiesto un abbigliamento più smart e ufficiale, ma i suggerimenti che seguono cercheranno di essere abbastanza universali.

  1.  Evitate di indossare calzature che lasciano troppo scoperto il piede. Lo so, fa caldo, ma non è propriamente chic mostrare tutto il piede quasi nudo in un ufficio, qualsiasi sia il livello di informalità che vige. Sarebbe meglio preferire un paio di mules alle infradito, oppure un bel paio di sneakers in tela leggera ai sandali con fascette sottili, oppure un paio di sling back anche flat ad un sandalo molto scollato. Per rendere più leggera alla vista una calzatura chiusa, sceglietela in nude, beige o nel colore che più si avvicina a quello della vostra pelle. In questo modo otterrete anche un effetto allungante della figura, che non guasta mai!
  2. È necessario evitare i pantaloncini e i vestitini troppo corti. Ci sono delle soluzioni migliori che permettono di affrontare al meglio gli sbalzi di temperatura durante la giornata, come indossare tessuti leggeri come il lino o il cotone ed evitare come la peste i tessuti sintetici, sia per motivi di ecosostenibilità sia perché non sono traspiranti;
  3. Se nel vostro ufficio c’è aria condizionata a tutto gas, non dimenticate di portare con voi un cardigan in cotone o uno scialle colorato in lino, seta o cotone che vi aiuterà a non ammalarvi e, in più, vi donerà anche un tocco di colore che in estate è l’ideale, anche in ambienti di lavoro molto formali;
  4. Anche le scollature profonde non sono proprio l’ideale in qualsiasi tipo di ufficio. Piuttosto, preferite canotte da indossare come sotto giacca, entrambi di tessuti leggeri e traspiranti;
  5. Se vi sembra che il vostro outfit sia troppo serio o noioso, aiutatevi con bijou colorati ma sempre senza esagerare;
  6. Non eccedete MAI col trucco o con acconciature troppo elaborate. Ricordate sempre: less is more!

Ottavia Ditroia

L’autostima passa anche attraverso il prendersi cura della propria immagine

Parola di Ottavia Ditroia, la nostra socia esperta in consulenza d’immagine e personal shopping che ci svela cosa non deve assolutamente mancare nel guardaroba femminile.

Lo ripeto ogni volta a costo di diventare noiosa: quando si parla di moda e di stile, non ci sono mai regole uguali per tutti perché ognuno di noi è differente e conduce la propria vita in modo diverso.

 

La moda rispecchia lo stile di vita e la personalità di ogni individuo, anzi è proprio uno dei modi con cui ognuno di noi comunica la propria personalità,

perciò non leggerete qui di seguito un elenco asettico di capi da avere necessariamente nell’armadio, ma semplicemente vi darò il consiglio che do a tutte le mie clienti: in base a come si gestisce la vita quotidiana e in base alla propria personalità, bisogna cercare di avere nell’armadio i capi basici, pronti e utili per qualsiasi evenienza. 

Ve le ricordate le proporzioni? Ne abbiamo parlato tante volte: 80% di capi basici e 20% di capi fashion. Ecco, un armadio perfetto deve contenere capi in queste proporzioni.

I basics, in quanto tali, cercano di essere perfetti per la maggior parte dei guardaroba, ma anche qui: ognuno di noi ha i propri basics in base anche ai propri colori e alla forma del corpo.

Diciamo, quindi, che in linea generale, i basici dell’estate sono:

  1. BLAZER IN LINO NERO CON E SENZA MANICHE
  2. BLAZER IN LINO BIANCO CON E SENZA MANICHE
  3. TOP LINGERIE BIANCO
  4. TOP LINGERIE NERO
  5. TOP LINGERIE FANTASIA
  6. TOP CON SCOLLATURA PARTICOLARE: MONOSPALLA, SCOLLA A BARCA, SCOLLO HALTER….
  7. CANOTTA BIANCA
  8. CANOTTA NERA
  9. T-SHIRT BIANCA SCOLLO A V O TONDO
  10. CARDIGAN TONI NEUTRI IN COTONE O IN TESSUTI LEGGERI
  11. MAGLIONCINO IN COTONE DALLE TONALITÀ BRILLANTI
  12. CAMICIA BIANCA MANICHE LUNGHE IN LINO
  13. PANTALONI IN LINO DAI TONI NEUTRI, DAL TAGLIO PIÙ CONFACENTE ALLA FORMA DEL CORPO, MA MAI TROPPO ADERENTI
  14. PANTALONI IN COTONE NERI O IN TONALITÀ SCURE, MODELLO MORBIDO CON PINCES O A SIGARETTA
  15. BERMUDA IN COTONE O IN LINO IN TONALITÀ BRILLANTI
  16. MINIGONNA O GONNA AL GINOCCHIO IN DENIM
  17. MAXI-DRESS A PORTAFOGLIO FANTASIA MICRO-FIORATA O TINTA UNITA
  18. TUBINO NERO O BIANCO
  19. MAXI-GONNA GITANA
  20. 5/6 COSTUMI DA BAGNO
  21. 5/6 COPRI-COSTUME ABBINATI AL COSTUME 
  22. BORSA CAPIENTE IN PAGLIA PER IL MARE O LA PISCINA
  23. PANTALONI PALAZZO CON MICRO FANTASIE
  24. SANDALO NUDE CON E SENZA TACCO
  25. SANDALO NERO CON E SENZA TACCO
  26. SNEAKERS BIANCHE
  27. SANDALI GIOIELLO
  28. SANDALI INFRADITO PER LA PISCINA O IL MARE
  29. BORSA STRUTTURATA NERA E BIANCA
  30. POCHETTE DA SERA
  31. FOULARD DAI TONI BRILLANTI
  32. ACCESSORI VARI: CINTURE E BIJOUX O GIOIELLI PICCOLI E RAFFINATI, MAI TROPPO VISTOSI

Forse non sarà perfetto proprio per tutte, ma ricordate sempre che a questi capi e accessori basici e imprescindibili, dobbiamo aggiungere un tocco di brio con capi e accessori fashion, sempre però solo il 20%.

Ottavia Ditroia

“Pro-fessione” d’amore…

Una riflessione etica del nostro socio Prof. Michele Colasuonno, teologo e psicologo.

Dott.ssa Barbara Capovani – Pisa 2023

Dott.ssa Paola Labriola – Bari 2021

Cosa hanno in comune questi due nomi, entrambe uccise sul lavoro, entrambe psichiatre, entrambe uccise da pazienti.

Ripercorrere gli avvenimenti mi sembra una ripetizione, tanti gli articoli anche in rete che li descrivono dei dettagli.

Scrivere delle patologie dei due una ripetizione anche questa, cercare di cosa si tratta per quel che i manuali dicono, sono tanti i siti che li descrivono.

Scrivere di tutto quello che andrebbe cambiato per far funzionare le cose e della tanta burocrazia che non permette di lavorare come si dovrebbe, mi sembra inutile e non questo il posto giusto.

E allora ho pensato di riflettere su tre termini:
Amore (carità);
Rischio;
Passione.

amore, non solo amore per il lavoro, amore per il sapere, o una semplice “philia” generalizzata, ma amore inteso come carità, amore profondo, che muove ogni cellula di chi decide di mettere tutto se stesso al servizio di un certo tipo di persone, quelle che il dott. Andrioli definisce persone di vetro, persone che hanno bisogno di tanto amore, persone che per quanto la burocrazia ce lo imponga, non possono essere semplicemente incasellate in aride classificazioni per i sintomi clinici che manifestano. Persone che ogni volta decidono di sedersi su una poltrona di uno psichiatra o di uno psicologo, portano ogni loro paura, timore, angoscia, valore, idea, pensiero; ogni loro parte la mettono a nudo, e forse per la prima volta si sentono veramente ascoltati fino in fondo, vengono e ci aprono l’anima, ed è per questo che c’è bisogno di tanto amore, amore che supera ogni giudizio, amore che chiunque fa un lavoro del genere deve portare, provare e muovere in ogni istante.

Rischio, si, se è vero che in un lavoro del genere c’è bisogno di tanto amore, bisogna mettere in conto un pizzico di rischio, rischiare in una valutazione, rischio che quella persona di vetro sia troppo fragile e andando in frantumi ti colpisca con una scheggia di vetro. Rischio che metti in conto, rischio che accetti, e che possa oscurare la luce della passione per quello che si fa.

passione per un lavoro che ogni giorno si rivela nuovo e pieno di sfide: passione per le persone, passione per l’inoltrarsi nelle stanze più nascoste dell’anima, stanze che a volte neanche la persona stessa conoscere; passione per portare nel buio di quelle stanze una piccola luce.

Sì, per lavorare con le persone di vetro c’è bisogno di amore, rischio e passione ed anche se ciò che è accaduto non è giusto, non ha senso e non può avere una giustificazione, stare accanto alle”persone di vetro” è quello che tanti professionisti fanno ogni giorno, forse anche per far continuare a vivere nella memoria e nei cuori di tutti noi coloro che non ci sono più per amore della propria missione.

Michele Colasuonno